martedì 19 febbraio 2013
Gramsci: ancora Guido Liguori sul libro di Lo Piparo
Una spy-story colma
di congetture irrisolte
GUIDO LIGUORI
18.02.2013
•
Un saggio tinto di
giallo. Protagonisti Sraffa e Togliatti, colpevoli di aver fatto sparire
degli scritti dal carcere. «L'enigma del quaderno. La caccia ai
manoscritti dopo la morte di Gramsci» di Franco Lo Piparo
Da qualche tempo ha corso negli studi gramsciani quella che potremmo
definire una «storia congetturale»: una ricostruzione dei fatti basata
su deduzioni non verificabili. A ciò si è accompagnata e sovrapposta una
lettura dei testi fondata sulla convinzione che in essi non si dica ciò
che letteralmente si legge, ma vi siano messaggi nascosti. Il che a
volte è vero: si tratta però di vedere quanto esteso possa essere il
ricorso a questo tipo di lettura «esopica», come si dice ripetendo una
espressione della cognata di Gramsci, Tania. Si tratta di due
metodologie - storia congetturale e lettura esopica - che hanno prodotto
anche esiti interessanti, ma a cui bisogna accostarsi con cautela,
proprio perché i loro risultati non poggiano su basi certe. Alla ricerca
di un «Gramsci sconosciuto» è tra gli altri Franco Lo Piparo, che torna
in libreria con un lavoro di taglio investigativo: L'enigma del
quaderno. La caccia ai manoscritti dopo la morte di Gramsci (Donzelli,
pp. 161, euro 18). Se si parla di taglio investigativo non è per
sminuire il libro, ma perché fin dal titolo è l'opera stessa che si
propone come un «giallo» (viene anche citato E. A. Poe) ed è l'autore a
creare un'atmosfera da spy story , dipingendo alcuni dei «personaggi»
(così li definisce, come in una fiction ) della vicenda gramsciana come
protagonisti di un romanzo di Le Carré. Un problema di etichetta Il caso
più eclatante è quello di Sraffa, ritratto da Lo Piparo come «agente
segreto, di alto rango, del Comintern. È una affermazione impegnativa.
Essa viene forse fatta perché negli Archivi di Mosca è stato trovato un
documento che rende palese questo lato nascosto del grande economista?
Niente di tutto ciò. È solo una «congettura», che scaturisce soprattutto
dal fatto che essa bene si colloca nel mosaico interpretativo di Lo
Piparo. È possibile, e forse probabile, che Sraffa fosse un «militante
coperto» del Pcd'I, già incaricato di gestire i finanziamenti
provenienti da Mosca. Ed erano tempi, indubbiamente, in cui un comunista
di qualsiasi nazionalità si sentiva anche un militante del Comintern,
di quel partito comunista mondiale non ancora del tutto russocentrico.
Ma da qui a farne una «agente segreto» ce ne corre. Può anche essere, ma
ci vogliono i documenti per affermarlo. La tesi del libro è la
seguente: oltre ai trentatré quaderni noti ve ne sarebbe stato un altro
fatto sparire per il suo contenuto imbarazzante. Sarebbe stato scritto
nella clinica Quisisana di Roma, dove Gramsci è dal 1935 al 1937, anno
della morte. Da dove nasce questa tesi? In primo luogo dal fatto che sui
quaderni le etichette poste da Tania per numerarli mostrano
incongruenze e in qualche caso sono coperte da altre etichette con
diversa numerazione. In secondo luogo, perché i «personaggi» della
vicenda parlano o scrivono a volte di trenta, a volte di trentadue, a
volte di trentaquattro quaderni. Lo Piparo respinge le ipotesi che Tania
abbia pasticciato nel numerare i manoscritti e che i protagonisti della
vicenda fossero stati approssimativi nell'indicare il numero dei
quaderni perché in altre e più importanti faccende affaccendati, oltre
che per il fatto che i quaderni sono a numerazione variabile, a seconda
che si sommino in tutto o in parte i ventinove teorici, i quattro di
sole traduzione, i due bianchi e quello usato da Tania per un indice
provvisorio. Lo Piparo cerca di seguire la storia dei manoscritti dopo
la morte di Gramsci, formula ipotesi (interessanti) sui loro percorsi e
sui loro tempi di arrivo a Mosca, a tutt'oggi non chiari. Egli ritiene
che Sraffa, sapendo che un quaderno aveva contenuti pericolosi (accuse a
Togliatti? critiche allo stalinismo? una riabilitazione del fascismo?),
lo avrebbero fatto sparire. Non essendo in grado di portare prove,
l'autore ripete più volte frasi del tipo: «è poco verosimile», «non
dovrebbe essere troppo azzardato congetturare», «le cose potrebbero
essere andate in questo modo». Un castello di congetture, dunque. Molti
sono gli episodi che Lo Piparo interpreta in un modo forzato perché
convalidino la sua tesi. Un esempio: se il 7 luglio 1937 Tania scrive a
Sraffa di aver «consegnato i quaderni (tutti quanti): ed anche il
catalogo che avevo iniziato», il nostro autore legge la frase così:
«Significa: ho eseguito l'ordine, non ho trattenuto nessun quaderno e,
naturalmente, non ho potuto consegnare quelli che avete portato con
voi». È una interpretazione molto esopica, troppo esopica, a mio avviso:
un puro volo di fantasia. Giudichi il lettore se vi è qualche nesso tra
la frase scritta da Tania e la lettura che ne dà Lo Piparo. A me sembra
solo che Tania, dopo una discussione su quanti quaderni consegnare «ai
compagni», tranquillizzi Sraffa di aver seguito le sue indicazioni e di
non averne trattenuto alcuno. Nell'impossibilità di accennare a tutti i
passi di questo tipo, di cui il libro è pieno, dirò i motivi principali
per cui l'ipotesi di Lo Piparo mi sembra da respingere. Primo , in tutta
la sua prigionia Gramsci si è dimostrato attentissimo a non scrivere
niente che potesse divenire un'arma nelle mani del fascismo - è qui
l'origine di alcune «scritture esopiche». Perché nella Quisisana sarebbe
venuto meno a questa norma, scrivendo un quaderno «esplosivo»? La
polizia poteva in ogni momento confiscare i suoi appunti. Il «linguaggio
esopico» su cui insiste Lo Piparo serve soprattutto a Gramsci per non
farsi portar via i quaderni, come esplicitamente Tania scrive alla
sorella Giulia, il 5 maggio 1937: «è riuscito a tenerli con sé (I
QUADERNI) scrivendo in linguaggio esopico». Tania si riferisce al
pericolo derivante da un sequestro della polizia fascista. Dilatare il
senso dell'«esopico» e affermare che tutti i quaderni sono una scrittura
esoterica a me sembra fuorviante. Secondo , perché, nella sua opera di
continua e faticosa riscrittura , G r a m s c i n o n avrebbe lasciato
altri segnali di una svolta politica tanto clamorosa? Il quaderno
scomparso sarebbe un corpo estraneo nel contesto delle duemila pagine (a
stampa) degli appunti carcerari. Una cautela postuma Terzo, il quaderno
mancante potrebbe accusare Togliatti. Si dimentica che era Gramsci a
essere sospettato di trockijsmo, era stata la sua memoria a dover essere
protetta e «salvata» dalla scomunica postuma. La lettera a Dimitrov che
Togliatti scrive il 31 aprile 1941, affermando che i quaderni andavano
curati per non essere usati contro i comunisti, indica la coscienza del
fatto che il marxismo di Gramsci era molto diverso dallo stalinismo e
che quindi la loro pubblicazione era un problema. Che sarà risolto con
l'edizione tematica, che cercava di rendere meno dirompente la
incompatibilità tra filosofia della praxis e Diamat . Eppure Togliatti
avrebbe potuto rinunciare a pubblicare del tutto Gramsci, e far sparire
non solo il presunto trentaquattresimo quaderno, ma anche «gli altri»
trentatré, seppellendoli negli archivi del Comintern. Quarto , se
Togliatti sa già dal luglio 1937 che deve far sparire un quaderno,
perché non lo distrugge a Parigi (dove, secondo Lo Piparo, Sraffa glielo
porta dopo averlo sottratto a Tania)? Perché, tornata in Urss, Tania -
che scrive anche direttamente a Stalin sulla gestione dei quaderni - non
denuncia la scomparsa del quaderno scomodo? Perché Togliatti non
distrugge il quaderno pericoloso almeno nel 1941, dopo la morte di
Tania, quando legge e rilegge i manoscritti di Gramsci? Perché lo
riporta in Italia (è l'ipotesi di Lo Piparo), decide di farlo sparire o
lo fa sparire, ma continua a parlare pubblicamente di trentaquattro
quaderni? La spiegazione di Lo Piparo per cui ancora nel 1948 Togliatti e
Platone sbagliano il numero dei quaderni indicandone trentadue nella
introduzione al primo volume dell'edizione tematica presso Einaudi («si
preferisce puntare sulla disattenzione dei lettori e degli studiosi e
continuare a usare il numero canonico trentadue ») è francamente
incredibile. Non è più ovvio pensare che sia stato un errore causato
dalla ripresa letterale della relazione fatta da Platone nel'46 per
Rinascita ? Senza nuovi ritrovamenti le congetture di Lo Piparo non
paiono sufficienti a ipotizzare un quaderno che non abbiamo e la spinta a
«immaginarlo» sembra motivata soprattutto dal rinnovato tentativo di
dimostrare che Gramsci era (diventato) liberale. Ma l'autore sardo è
tanto grande da trascendere la sua stessa parte politica e nutrire anche
culture diverse: lo ha scritto Togliatti già nel 1964, non vi è bisogno
di inventarsi un Gramsci che non esiste per sentirsene almeno in parte
eredi.
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