domenica 28 aprile 2013
Toni Negri legge la riscrittura della Repubblica di Platone di Alain Badiou
Il guardiano dell'idea assoluta
«La repubblica di Platone» di Alain Badiou pubblicata da Ponte alle Grazie ripropone il comunismo come alternativa al capitalismo in crisi. Ma nella riscrittura dell'opera del filosofo greco viene cancellata ogni prassi di trasformazione della realtà, alimentando una concezione consolatoria della società futura
ARTICOLO - Toni Negri il manifesto 2013.04.27 - 10
C'è, in questa riscrittura della Repubblica
di Platone - Ponte alle Grazie, pp. 432, euro 28 del filosofo francese
Alain Badiou un richiamo al «comunismo» come forma di governo, la
«quinta» oltre le quattro criticate dal fondatore dell'idealismo
filosofico: dunque, oltre la Timocrazia (o il governo degli eroi) e
l'Oligarchia (dei principi), oltre la Democrazia e la Tirannide (sempre
fra loro ciclicamente intercambiabili). È un bel concetto, questo, quasi
una innovazione teorica - essa ha, come molte proposte del postmoderno
avuto espressione in altri episodi della filosofia politica, come nelle
varie esperienze democratiche di costruzione di comunità ecclesiali, nel
Medioevo o nella Riforma, o nella «democrazia assoluta» spinoziana, o
nelle stesse utopie anarchiche e socialiste della modernità. Che un
solido Philosophe - ovvero un uomo dei Lumi, come a me pare Badiou -
rivendichi quest'ideale è non solo atteso ma bello. Nel suo libro, che
non è una trattazione sistematica della Repubblica di Platone, né un
ammodernamento del testo, né l'esperienza di un dialogo amoroso del
filosofo con Amantea (figura femminile e «repubblicana», invenzione
davvero formidabile) - la si legge con gioia quest'avventura ideale,
solo relativamente appassita da qualche noioso esercizio antiquario. Le
sorgenti esaurite della modernità Nel libro c'è tanto comunismo «alla
francese», un comunismo che congiunge ad un raffinato metodo
razionalista un afflato giansenista e la commozione sensista per una
sorta di sublimazione comunitaria. Ma anche - va aggiunto subito - una
totale assenza di spirito dialettico, di pratica antagonista e di
dispositivi costituenti. Questo comunismo, questa repubblica ignorano la
lotta di classe. Che cosa vuol dire? Significa, prima di tutto, che qui
è assente ogni segno di soggettività, meglio, di passione soggettiva.
L'ideale comunista è ricercato ma non costruito, l'amore per l'ideale è
una contemplazione e non un agire costitutivo. Manca cioè la passione.
Da questo punto di vista, paradossalmente Hannah Arendt risulta più
comunista di Badiou. E la passione latita perché non c'è produzione, né
produzione di beni, né produzione di soggettività. Che il comunismo di
Badiou abbia poco a che fare con quello di Marx lo si sa da sempre, ma
qui manca anche quell'idea di produzione che (pur trattenuta nella
battaglia filosofica) Badiou, da buon althusseriano, avrebbe dovuto
comporre nelle articolazioni della «Teoria». Non basta ancora: perché
così si dissipano anche le sorgenti e le griglie della politica moderna -
che si dipanavano nelle forme della produttività della polis. Qui
piuttosto si fa un salto, meglio, ci si immerge nel profondo, in un
sorta di «arcioriginarietà» (come giustamente nota il curatore del
volume). Il comunismo, che cos'è allora? È un'ontologia ideale. È
qualcosa di ideologico e insieme di arcaico, un'utopia fuori dall'agire
collettivo, dalla modernità - radicalmente «de-saturato» (come ancora
nota il curatore) dalla storicità del movimento comunista, da ogni
reminiscenza materialmente e collettivamente rivoluzionaria. Con questo
libro, Badiou perviene ad un rinnovato essenzialismo del suo pensiero.
Ad esempio, toglie di mezzo anche la possibilità di «esemplificare
l'evento»: in quella tenebra della storicità che Badiou disegna,
scompaiono anche il Cristo dei Vangeli, il Napoleone di Hegel, il Mao
della O. (così si chiama l'organizzazione comunista dei badiousiani);
scompare anche quel tanto di simbolico che caratterizzava l'evento. E
con gli esempi del passato scompaiono anche quelli dell'avvenire: non si
capisce infatti da che lato dell'arcioriginarietà dell'idea esso possa
sorgere. Il disorientamento nel quale quell'iperbole dell'«evento» ci
aveva lasciato è ora totale, se non comica. Un contromito originario Se
il comunismo non è l'espressione produttiva delle singolarità che si
organizzano nel comune, ma è piuttosto un'immersione improduttiva
nell'ideale, insorgono alcuni problemi difficilmente solubili. Al
rifiuto di considerare il comunismo nella figura di un comune costruito
dal lavoro produttivo, attraverso l'organizzazione della cooperazione
del lavoro vivo, Badiou non può infatti che sostituire un comunismo
nella figura isomorfica, analogica dell'assoluto ideale. Eccoci al
punto: il comunismo è metessi , partecipazione all'idea, materialità
ideale. E di qui una serie di paradossali coniugazioni di
individuo/totalità, libertà/necessità, evento/limite,
attualità/infinito. Dice il commentatore: «il comunismo platonico è in
questo senso fedelmente riprodotto in un contro-mito co-originario al
gesto filosofico e in grado di cortocircuitare la mitografia spontanea
di una diseguaglianza tra gli uomini fondamentale e imprescindibile».
Boh, sarà! Certo è che quell'isoformismo, quell'analogia ontologica non
stavano alla base di quel comunismo «alla» Deleuze che Badiou rivendica
come proprio sodale teorico e politico. Per tornare ai punti centrali al
commento della Repubblica: colpisce in primo luogo la fretta con la
quale Badiou si libera di Trasimaco, il realista politico. Si sa, il
cinismo del sofista, quel suo irridere l'idea e di conseguenza
l'affermazione che la politica è geometria delle potenze e la giustizia
fisica delle forze, sono ipotesi facilmente attaccabili dal filosofo
idealista; e tuttavia non sono solo cialtroni quelli che ripetono queste
opinioni. Anzi, fra Tucidide, Machiavelli e Lenin, anche qualche
politico democratico radicale o comunista lo fa. Probabilmente il
comunismo induce ad una prassi concreta che si pone quel problema
piuttosto che considerarlo il frutto di un sofista sozzo e ubriacone,
come Badiou descrive Trasimaco. Un secondo punto è quello nel quale il
vecchio illuminista Badiou cede, forse alla maniera romantica, nello
stringere troppo violentemente la figura del filosofo e quella del «capo
politico», quella del saggio e quella del governante. Attraverso questa
strettoia i filosofi son costretti ad organizzare una forza specifica
(quella dei Guardiani) per condurre ogni cittadino alla verità, alla
saggezza, alla felicità. Il cinema della caverna Emerge così un'idea
quasi militare del conseguimento della giustizia. Ne viene, in terzo
luogo una specie di totalitarismo politico nel quale la giustizia
oggettiva dev'essere capace di aderire alla giustizia soggettiva, e,
viceversa, il carattere elitario della partecipazione all'idea (da parte
dei filosofi e dei capi) dev'essere reso possibile ed attuale per tutti
i cittadini. Facile obiettare che qui si va troppo rapidamente da
Platone a Pol Pot, passando per Roberspierre e che la destrutturazione
della reminiscenza comunista sembra confondersi con un processo di
rimozione di eventi rivoluzionari complessi, nei quali i comunisti hanno
dovuto costruire e ricostruire, spesso dolorosamente, dispositivi di
sovversione e di governo. Molto belle sono tuttavia le pagine nelle
quali Badiou porta a conclusione il sogno comunista: l'interpretazione
dell'apologo platonico della grotta, l'esperienza del grande «cinema
cosmico». Dovrebbe essere questo il luogo dove la storia si ricongiunge,
in modo «partecipativo», alla filosofia, all'etica, costruendo così
vita vissuta. Anche se nulla di tutto ciò accade, l'incitamento è forte e
la retorica efficace. «Ma allora, - interroga Glaucone preoccupato -
non ci sarà nessuno a dare vita alla nostra quinta politica? E Socrate:
Dipende dal nostro lavoro. Quando dico "noi", intendo dire i pionieri
dell'Idea comunista. Dobbiamo creare le condizioni - perché sappiamo che
il pensiero di chiunque vale quanto quello di chiunque - perché le
grandi masse si volgano verso il sapere che abbiamo definito
fondamentale, quello orientato dalla visione del Vero. Che tutti, con le
buone o con le cattive, escano dalla caverna! Che l'anabasi verso la
cima soleggiata sia di tutti! E se un'aristocrazia minoritaria raggiunge
da sola la vetta e lì gode dell'Idea del Vero, non le permetteremo ciò
che è stato permesso praticamente da sempre». Si capisce, leggendo
queste pagine, perché oggi l'opera di Badiou presti talora argomenti
nostalgici a coloro che, non sapendo uscire dalla sconfitta del
«socialismo reale», continuano a sognarsi comunisti, pur rifiutando di
ricominciare a lottare.
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2 commenti:
"Si sa, il cinismo del sofista, quel suo irridere l'idea e di conseguenza l'affermazione che la politica è geometria delle potenze e la giustizia fisica delle forze, sono ipotesi facilmente attaccabili dal filosofo idealista"
ahah machebbastardo, sfotte pure!
:-)
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