domenica 23 giugno 2013
Cinque saggi su Schumpeter: la recensione di Toni Negri
Adelino Zanini: Principi e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter, Il Mulino, pp. 205, euro 16
Risvolto
Quale che fosse la fondatezza della profezia
schumpeteriana circa le sorti infauste del capitalismo, essa era frutto
di una scrupolosa analisi dello svolgersi dei processi di
«democratizzazione». In essi l’autore austriaco aveva individuato la
causa principale dell’implodere del sistema sociale cresciuto a ridosso
del primo conflitto mondiale e giunto a maturazione negli Stati Uniti
del secondo dopoguerra. Una tale interpretazione, per molti aspetti
debitrice nei confronti di numerosi autori di lingua tedesca, si
esplicò, in particolare, nella formulazione di una peculiare teoria del
ciclo economico. Richiese però anche una concomitante definizione degli
strumenti interpretativi delle scienze sociali, sviluppatesi e impostesi
tra Otto e Novecento. A esse Schumpeter diede un contributo di rilievo,
interrogandone la storia, problematizzandone i metodi, delineandone i
possibili contenuti. Alla ricostruzione dettagliata di tale impegno è
dedicato il presente volume. Accanto ai testi più noti sono prese in
considerazione le loro varianti ed è analizzato un ampio numero di
scritti «minori» e di semplici abbozzi, grazie ai quali è possibile
definire in modo adeguato l’impegno profuso da Schumpeter nei confronti
del dibattito sulle Sozialwissenschaften.
Adelino Zanini insegna Filosofia
politica e Storia del pensiero economico all’Università Politecnica
delle Marche (Ancona). Ha curato l’edizione italiana di opere di
classici quali Adam Smith e Joseph A. Schumpeter. Tra le sue
pubblicazioni più recenti: «Filosofia economica. Fondamenti economici e
categorie politiche» (Torino, 2005; trad. ingl. Oxford, 2008), «L’ordine
del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di
governo in Michel Foucault» (Verona, 2010).
JOSEPH SCHUMPETER
La titanica impresa dell'innovazione
APERTURA - Toni Negri il manifesto 2013.06.21 - 10 CULTURA
La figura e l'opera
dell'economista austriaco sono ripercorse in un denso saggio di Adelino
Zanini. L'immagine dell'imprenditore e il nodo da sciogliere del
Politico nella prospettiva della crisi e del fragile e fluttuante
rapporto tra capitalismo e democrazia
Sono cinque capitoli diversi, meglio,
sembrano diversi ma rinviano ad un unico filo, un filo spezzato, nel
senso che l'un capitolo rinvia ad un altro come su una scala sghemba. Il
grande Joseph Schumpeter percorre un labirinto, a zig-zag,
sperimentando, provando e facendo, di questo suo cercare, la teoria. Ma
dove va? Questa la questione posta da Adelino Zanini nel volume Principi
e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter (Il Mulino,
pp. 205, euro 16).
Alla ricerca di un programma per le scienze
sociali. Siamo all'inizio del secolo scorso ed in mezzo alla
Methodenstreit: ci si chiede come causalità e/o innovazione, scienza e/o
politica possano percorrere la storicità fluente del reale e, lì
dentro, spezzandola ma al tempo stesso integrandola, fondare la scienza
sociale - come ogni altro linguaggio scientifico. «Il dato non
analizzato è muto». È la questione che da allora ha percorso tutto il
ventesimo secolo e Schumpeter si muove in questa problematica dal suo
inizio: coglie la molteplicità delle scienze sociali, dei loro metodi,
guarda con attenzione ai mutamenti rapidi che subiscono ed allo statuto
incerto che mostrano. Adelino Zanini nota che in questo cercare si
sviluppa quasi l'invenzione (comunque una modalità) di «sociologia del
conoscere» (Wissenssoziologie). Essa qui appare non come conclusione ma
come condizione di una qualsiasi metodologia delle scienze sociali, al
cui interno - non secondariamente - deve bilanciarsi la scienza
economica. È in questa luce conoscitiva che l'impressionismo
fenomenologico, lo sperimentalismo radicale e la convivenza di
metodologie diverse si ritrovano nello stabilire un terreno di ricerca
compiuto. D'altra parte, è solo in questo modo che l'economia politica
può liberarsi - sostiene Schumpeter - dagli aspetti giuridici ed
istituzionali dentro i quali essa, nel mondo germanico, si era formata e
configurata. (Non sarà la stessa operazione metodologica che dovremmo
fare oggi dinnanzi all'«Europa-tedesca»?). È solo la combinazione dei
vari fattori metodologici, recuperati nella realtà, che ci permette una
«creazione» scientifica potente. Il futuro ha il cuore antico se è
capace di stringere, andando oltre il grigiore della ripetizione, una
conoscenza storicamente costruita di esperienze paradossalmente
invariabili, dall'arbitrarietà, alla casualità ed all'imprevedibilità.
Il soggetto dello sviluppo
Ecco
allora un primo scarto: se un centro costruttivo del sapere economico
può nascere solo andando oltre il tessuto giuridico-istituzionale dentro
il quale la Methodenstreit si era sviluppata, abbiamo bisogno di
un'agente storico che scuota e rompa questa determinazione storica.
L'imprenditore sembra poter rappresentare questo motore ontologico
della/nella società capitalista. Il secondo articolo svolge variazioni
sulla teoria dell'imprenditore, la segue in Franz Brentano, in Werner
Sombart e flirta qui con Max Weber. Ma il punto di vista di Schumpeter è
dall'inizio l'esaltazione di una potenza del tutto liberata, contro gli
addomesticamenti ragionevoli che configurano, nei suoi contemporanei,
l'idea di imprenditore. L'imprenditore è piuttosto un artista, nel suo
agire c'è un edonismo che va oltre ogni ethos e/o volontà routinière, ma
anche al di là di ogni piacere del possesso come del consumo.
Tutti
gli economisti, e anche ogni intellettuale, riconoscono la figura
dell'imprenditore schumpeteriano. Ma nella banalità di questa conoscenza
risiede erroneamente una diffusa memoria nietzschiana piuttosto che la
specifica intenzionalità teoretica di Schumpeter: quest'ultima vuole dar
sostanza, pratica e costruttiva, all'attività creativa dell'attore
economico e quindi andar oltre l'incertezza metodologica e le derive
istituzionali e giuridiche che le condizioni delle scienze sociali
offrivano all'economista. C'è un'ontologia specifica - molto astratta ma
non meno efficace - che qui è in gioco. Schumpeter la rivendica a più
riprese. La mia teoria, dice, «non ha affatto a che vedere con i fattori
di mutamento, bensì con il modo in cui essi si impongono, con il
meccanismo di mutamento. Anche l'imprenditore non è qui un fattore di
mutamento, bensì il portatore del meccanismo di mutamento». Un'ontologia
che spinge il metodo verso un quasi-marxiano processo di «astrazioni
determinate» che colloca l'imprenditore nella sfera del denaro,
nell'orizzonte monetario e considera l'innovazione continua del sistema
economico come un processo sempre più spersonalizzato, creditizio e
bancario, legato ad un paradossale general intellect capitalistico.
Nuovo
scarto, nuovo passaggio ad un reale più vero, alla teoria delle classi
(e subordinatamente - ma qui non possiamo parlarne - all'esperienza
dell'imperialismo). Schumpeter va in cerca di una verifica della sua
teoria dell'imprenditore, della performatività della sua attività
confrontata alla composizione sociale e politica della civiltà borghese.
Ma questa civiltà è in crisi. Essa ormai ha sempre più bisogno
dell'irruzione di una potenza viva per ricomporsi, l'urgenza di sintesi
forzose. Evento del politico? Talvolta sembra di udire da Schumpeter
parole che Lenin esclama quando eccita le capacità creative del partito
di classe: solo che nei due casi si parla di classi diverse...
Il nemico interno
Quanto
a Schumpeter, egli conosce bene i suoi polli, sa quanto sporco (ed
ineluttabile) può essere il politico nella crisi dello Zeitgeist
borghese: in quel «resto» che la crisi rivela, c'è dell'atavismo, c'è un
senso del potere che non vuole riconoscere altro da sé, né tempi, né
modi, né intelligenza, né soggetti. Probabilmente qui finisce
quell'imprenditorialità che sola, nella sua figura creativa, aveva
onorato il capitale nel suo sviluppo. Su questo limite storico, «il
capitalismo - scrive Schumpeter - anche quando sia economicamente
stabile, e addirittura accresca la sua stabilità, crea, razionalizzando
la mente umana, una mentalità e uno stile di vita incompatibili con le
sue stesse condizioni fondamentali, con i suoi movimenti e le sue
istituzioni sociali».
Va forse qui aggiunta una notazione che vale
per il presente. Analizzando il passaggio economico-politico, Schumpeter
nota come la tendenza generale del capitalismo costringa all'unità
composizione tecnica e composizione politica dello sfruttamento. Ma «le
difficoltà che insidiano questo cammino devono essere chiaramente
comprese. La nostra argomentazione potrebbe essere intesa nel senso che i
processi economici e quelli "politici" sono esattamente modellati l'uno
sull'altro. Al contrario, le discrepanze tra i due sono tra i più
importanti fattori esplicativi della storia umana». Quante volte, dal
punto di vista delle moltitudini proletarie, abbiamo colto questa
discrepanza! Non sta a noi ritrovare la sintesi: anzi... non si
preannuncia piuttosto, proprio in questa differenza, l'insorgenza
rivoluzionaria?
Troppo facile, tuttavia, chiudere in una qualsiasi
sorta di spenglerismo tragico il discorso di Schumpeter. Altro scarto
nella narrazione di Zanini. Che cos'è, pur data questa crisi di sviluppo
(che è anche crisi di umanità), il futuro del capitalismo? Lungi dalle
derive pessimistiche e dalle fantasie «destinali» che caratterizzano la
cultura tedesca dell'emigrazione americana, Schumpeter svilupperà (negli
States dove termina il suo insegnamento) la sua analisi del capitalismo
in senso democratico. C'è una sussunzione della società nel capitale -
egli insiste - e questa sussunzione capitalistica si svolge - nella
crisi sistemica - togliendo definitivamente all'imprenditore la sua
capacità creativa. È una vera e propria patologia del capitalismo quella
cui assistiamo. Di contro, nel 1942 Schumpeter pubblica il suo libro
sulla democratizzazione del capitalismo: se il capitalismo è entrato
nella fase di «sussunzione reale» della società in termini
capitalistici, e tale sussunzione si dice «socializzazione», come render
democratica questa socialità? Eccoci qui, prima di tutto, a fronte di
una pesantissima critica della proprietà privata. Puro fenomeno
ideologico, ormai, essa non si trova ad avere più senso laddove la
realtà dello sviluppo consiste ormai nella massificazione dei processi
produttivi e distributivi. La guida del sviluppo, se vuol esser
democratica, non potrà quindi darsi che in maniera pianificata: «la
proprietà smaterializzata, sfunzionalizzata e assenteista non imprime né
suscita fedeltà morale, come invece faceva la forma vitale della
proprietà. Un giorno non ci sarà più nessuno al quale prema veramente
difenderla - nessuno all'interno e all'esterno dei confini delle impresi
giganti». Solo la pianificazione può difendere la democrazia e la
burocratizzazione diventa (weberianamente) elemento indispensabile della
democratizzazione della società capitalista.
Processi discontinui
Torniamo
alla sociologia della conoscenza: nell'ultimo capitolo Zanini produce
di nuovo quello scarto che aveva al principio promesso. Nel rapporto tra
razionalità e ideologia, volendone evitare l'immedesimazione,
Schumpeter torna definitivamente ad insistere sull'indeterminismo del
metodo. Egli è qui al bordo di una conclusione della sua opera che
risuona una periodizzazione alla Kuhn, salvo che in Schumpeter il
pensiero dell'innovazione è sempre discontinuo, intensivo e ontologico
piuttosto che storiografico e narrativo. Solo una scienza può dunque
permetterci di uscire dall'indeterminatezza del reale, ma questa
scientificità non sarà mai più che la sigla, ovvero la qualificazione
funzionale di una cassetta di attrezzi. Un neokantismo brutalmente
materialistico, dunque, questo di Schumpeter? Oppure la pesante
rivendicazione (quasi-scettica) di una scienza che non possa risolversi
in altro che in approssimazioni, una volta demistificate ed esaurite le
grandi alternative presentate dagli eroi eponimi Savigny e/o Schmoller,
Menger e/o Weber?
Qui siamo arrivati. A questo punto, secondo Zanini,
Schumpeter ha bisogno di una filosofia politica. Ma di quale filosofia
politica? A me sembra che Schumpeter, nella lettura di Zanini, ci abbia
portato fino alla soglia di un pensiero dell'attualità che esalta il
«punto di vista» dell'osservatore, di un «sapere situato» in
un'ontologia storica determinata: questo è un forte scarto
dall'ortodossia non solo economica ma delle scienze sociali. Ma questo
scarto rispetto al sapere della scienza economica e delle scienze
sociali non riesce ancora a porsi in una prospettiva metodologica che
muova «dal basso». Zanini lo aveva già segnalato nel capitolo dedicato a
Schumpeter della sua Filosofia economica (Bollati Boringhieri). Ma
soprattutto ce lo aveva fatto capire quando, lungi da Schumpeter nel suo
«Invarianza neoliberale», ultimo capitolo del suo L'ordine del discorso
economico (ombre corte), egli aveva alluso ad una foucaultiana
metodologia delle scienze sociali che potrebbe davvero ora esser ripresa
come conclusione di questo studio su Schumpeter.
L'imprenditore e i cicli economici
BREVE il manifesto 2013.06.21 - 10 CULTURA
Il nome di Jospeh Schumpeter è associato
all'analisi dei processi innovativi nelle imprese capitalistiche.
Centrale è la figura dell'imprenditore, anche se nel suo ultimo saggio
«Capitalismo, socialismo, democrazia», tale figura è fortemente
ridimensionata a favore dei processi innovativi favoriti da una attenta
pianificazione. recentemente sono stati riproposti, dopo una lunga
assenza dalle librerie: «Passato e futuro delle scienze sociali»
(Liberilibri; «Il capitalismo può sopravvivere? La distruzione creatrice
e il futuro dell'economia globale» (Etas); «Teoria dello sviluppo
economico»; « Capitalismo, socialismo e democrazia» (Etas); «Storia
dell'analisi economica» (Bollati Boringhieri).
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