Se Sochi rievoca il genocidio nascosto del popolo circassoCosì l’impero russo attuò la pulizia etnicadi Paolo Valentino
giovedì 30 gennaio 2014
Putin - con Stalin e Kim Jong Un - responsabile anche dello sterminio dei Circassi del 1863
IL TERRORE DEI RUSSI
Buttafuoco 168 18-02-2014 la repubblica 47
Se Sochi rievoca il genocidio nascosto del popolo circassoCosì l’impero russo attuò la pulizia etnicadi Paolo Valentino
Se Sochi rievoca il genocidio nascosto del popolo circassoCosì l’impero russo attuò la pulizia etnicadi Paolo Valentino
Chi sono
I
circassi (detti anche adighé o adighi) sono uno dei più antichi popoli
autoctoni del Caucaso. Oggi oscillano tra i quattro e i cinque milioni,
quasi la metà vive in Turchia
Pulizia etnica
A metà del XIX
secolo gli abitanti della Circassia, nel Nordovest del Caucaso al
confine con l’impero Ottomano, furono costretti a lasciare la loro terra
dai russi vittoriosi in quello che viene definito il primo moderno caso
di pulizia etnica
I numeri
Tra il 1863 e il 1864 più di 700 mila circassi furono uccisi, 480 mila furono deportati e 80 mila rimasero nella propria terra
«La
guerra fu condotta con severità implacabile e senza pietà. Avanzammo
passo dopo passo, ripulendo irrevocabilmente fino all’ultimo uomo ogni
pezzo di terra su cui i nostri soldati mettevano piede. I villaggi dei
montanari vennero bruciati a centinaia, non appena la neve si scioglieva
ma prima che le foglie tornassero sugli alberi. Calpestammo e
distruggemmo i loro raccolti con i nostri cavalli. Spesso le atrocità
sconfinarono nella barbarie, tra le fiamme delle izba, le urla dei
bambini, i lamenti delle donne» (Mikhail Venyukov, ufficiale dello Zar).
Quando la prossima settimana Vladimir Putin aprirà con sfarzo e
solennità le Olimpiadi di Sochi, uno spettro aleggerà sulla più costosa
manifestazione sportiva della Storia. La scelta della località sul Mar
Nero, nell’immaginario russo la cosa più simile alla Costa Azzurra
dentro i confini della Federazione, evoca infatti un genius loci
ignorato e volutamente rimosso per un secolo e mezzo. Zarista, sovietica
o post-comunista, la narrativa ufficiale del Cremlino non ha mai
trovato spazio alcuno per uno dei massacri etnici più terribili ma meno
conosciuti dall’opinione pubblica mondiale.
Il genocidio dei
circassi si consumò tra l’ottobre 1863 e l’estate del 1864. Ed ebbe i
suoi momenti fatali, toccando le punte più estreme dell’efferatezza e
dell’aberrazione, proprio tra le montagne e le valli intorno a Sochi,
quelle che vedranno le imprese dei campioni dello sport. I sopravvissuti
di una delle più antiche etnie autoctone del bulbo caucasico parlano di
1 milione e mezzo di morti, ma recenti studi storici pongono la barra a
un minimo di 700 mila persone, cioè quasi la metà dell’intera
popolazione circassa dell’epoca, uccise, morte di stenti o decimate dal
tifo e dal morbillo.
Fu un genocidio deliberato e sistematico.
Decisi a chiudere per sempre la partita del Caucaso, la guerra coloniale
di conquista della regione che si protraeva da quasi cento anni, i
comandanti zaristi scelsero la strada delle deportazioni forzate di
massa delle popolazioni locali: gli abkazi, gli ubykh e gli adighi o
circassi, com’erano stati ribattezzati secoli prima dai mercanti
genovesi. Fu il comandante in capo in persona, il principe Mikhail
Nikolaevich, fratello dello Zar Alessandro II, a ordinare la pulizia
etnica.
«Il mito a lungo alimentato, che i comandanti russi diedero
ai circassi la scelta di insediarsi a nord del fiume Kuban, è smentito
dalle loro stesse testimonianze», spiega Walter Richmond, lo storico
dell’Occidental College di Los Angeles che ha scritto il primo lavoro
scientifico sul massacro. Come racconta nel passaggio in apertura
l’ufficiale Venyukov, la tragedia ebbe un copione bestiale e
sanguinario. E continuò anche sulla costa, dove i sopravvissuti furono
lasciati a morire di fame e di malattie. Dopo alcuni casi di contagio a
bordo delle loro navi, i russi smisero anche di trasportarli via mare in
territorio ottomano e lasciarono ai turchi il resto della deportazione.
Secondo Richmond, il principe Mikhail mentì anche allo Zar, che gli
aveva ordinato un’indagine per mettere a tacere le voci sul quanto stava
accadendo: «Rispose che non c’erano né epidemie, ne morti per fame,
nascondendo deliberatamente il crimine».
Né il processo genocida si
fermò dopo la mattanza del 1864: «Chi rimase nel Caucaso, forse il 5%
della popolazione circassa, fu sottoposto all’assimilazione forzata o
perseguitato dai cosacchi, cui fu permesso di insediarsi nella zona.
Dopo la rivoluzione bolscevica, il regime sovietico ha fatto di tutto
per impedire loro ogni possibilità di sviluppare una cultura unica: a
nessuno fu permesso di tornare dai territori dell’ex impero ottomano
dove si era diretta la diaspora».
Oggi la popolazione circassa
sparsa nel mondo oscilla tra i 4 e i 5 milioni di persone, di cui 2
milioni vivono in Turchia e neppure 700 mila nella Federazioni Russa,
dove agli occhi del potere rimangono invisibili. Quando Vladimir Putin
fece il discorso di accettazione della sede olimpica, disse che gli
abitanti originari della regione erano greci, come se dopo Giasone e gli
argonauti non fosse successo più nulla. E tace il moderno Zar anche di
fronte alla richiesta di asilo, che viene da migliaia di circassi in
fuga dalla Siria: solo in pochi sono stati accolti dal Cremlino, senza
facilitazioni per il transito e assistenza.
Resta l’Olimpiade, che
punterà le luci della ribalta internazionale sugli stessi luoghi dove
centinaia di migliaia di innocenti morirono senza ragione: dapprima
considerata uno sfregio dalle comunità circasse, la scelta di Sochi
viene ora invece vista come l’occasione per far conoscere al mondo il
genocidio di un popolo dimenticato.
25 gennaio 2014
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento