giovedì 24 aprile 2014

L'uomo che Renzi ha nominato nel Cda dell'Eni ha scritto un libro per dire che ci vorrebbe più liberismo...


Fatta (male) l’Europa facciamo gli italiani 

Nel suo nuovo libro Luigi Zingales denuncia il pericolo che l’unione monetaria affondi l’Italia e il Sud della Ue nel sottosviluppo: ma la responsabilità è nostra

Francesco Manacorda La Stampa 23 maggio 2014


«I più pericolosi nemici d’Italia non sono i Tedeschi, sono gl’Italiani. E perché? Per la ragione che gl’Italiani hanno voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina». Non è un caso che un secolo e mezzo dopo l’Unità Luigi Zingales chiuda con questa citazione da I miei ricordi di Massimo d’Azeglio il suo Europa o no (in uscita domani per Rizzoli, pp. 215, € 18), dedicato ai destini - che vede assai incerti - della moneta unica.
Così come il Risorgimento italiano è stato una grande incompiuta che ha acuito le differenze tra il Sud e il Nord invece di ridurle - è la tesi dell’economista da anni voce di un liberismo temperato - con «la Sicilia, che nel 1871 aveva un reddito pro capite uguale a quello dell’Emilia Romagna» e «nel 1911 se lo ritrovò inferiore del 21%...», anche l’unione monetaria nata da Maastricht rischia di affondare l’Italia e in generale il Sud Europa verso un futuro di sottosviluppo sotto il peso di politiche monetarie e di bilancio che generano deflazione, ossia un calo generalizzato dei prezzi dagli effetti negativi (specie per i Paesi con alto debito) quanto o più dell’inflazione.
Ma a imporre queste politiche non sono proprio quei «Tedeschi» - in alcune edizioni dell’opera di D’Azeglio si parla in verità di «Austriaci» - che il politico risorgimentale paradossalmente assolveva per sottolineare le responsabilità delle nostre élite nazionali? Sì, perché «esportando più di quello che importa - scrive Zingales - la Germania tende a ridurre la domanda aggregata negli altri Paesi, favorendo una riduzione dei prezzi e quindi una deflazione. In altre parole i tedeschi hanno deciso unilateralmente di esportare deflazione in tutti i rimanenti Paesi dell’area euro». Una pratica simile a quella delle svalutazioni competitive italiane ai tempi della lira, che si basa però non sul tasso di cambio ma sul livello dei prezzi e che mette una formidabile arma economica in mano a Berlino. 
Se la Germania può permettersi questa strategia conforme ai Trattati ma di fatto ostile verso i partner della moneta unica, è però soprattutto perché riesce a tenere i prezzi bassi grazie al fatto che nel periodo 1995-2011 la produttività oraria tedesca è cresciuta dell’1,5% annuo, mentre quella italiana si è fermata a un aumento dello 0,4% annuo. 
Ecco dove entrano in gioco le responsabilità «degl’Italiani». «La mancata crescita della produttività è il vero male» della nostra economia - spiega Zingales - e l’euro, che pure è stato introdotto in contemporanea con questo rallentamento della produttività e che ha in ogni caso garantito un decennio di tassi bassi e inflazione sotto controllo, «non sembra essere il responsabile della malattia italiana». Se una colpa si può dare alla moneta unica, allora, «non sta nell’aver reso non competitive le merci italiane, ma nell’aver permesso alle nostre istituzioni poco competitive di sopravvivere immutate», senza incidere sui vizi nazionali.
Le cose non sono dunque destinate ad aggiustarsi da sole. Anzi: «la gabbia di un cambio fisso e di un’economia rigida non è sostenibile nel lungo periodo. E quando qualcosa non può continuare per sempre, prima o poi… Indipendentemente dall’essere pro o contro l’euro, bisogna accettare questa realtà. O qualcosa cambia radicalmente o ci schianteremo anche noi come si è schiantata l’Argentina», legatasi con un cambio fisso al dollaro con esiti disastrosi. 
Dare l’addio all’euro, allora, come molte voci - non solo in Italia - propongono proprio alla vigilia delle elezioni europee? Zingales, che non si annovera certo tra i «fideisti» dell’euro, ritiene un’uscita dalla moneta unica tutto sommato possibile dal punto di vista tecnico, senza nemmeno che l’Italia rischi necessariamente il default. Ma giudica che per l’Italia i costi di un abbandono dell’euro supererebbero i benefici, compreso quello di una svalutazione della rinata lira, che molti nostalgici sventolano come il toccasana per uscire dalla crisi. «Una svalutazione della nostra moneta rispetto al resto dell’Europa ci darebbe un vantaggio temporaneo, ma non risolverebbe il problema: la nostra produttività non cresce».
Come si fa allora a svincolare economie che girano a velocità diverse e hanno bisogno di misure differenti, pur mantenendo l’unione monetaria? La ricetta è quella di un’Europa flessibile - à la carte, si potrebbe dire - per la quale Zingales si ispira ampiamente a una figura che non siede di norma nel Pantheon comunitario, come Margaret Thatcher. «Deleghiamo all’Europa i compiti in cui l’Unione ha dimostrato un vantaggio comparato, o in cui è facile prevedere che ce l’abbia», è la proposta di Zingales, con l’obiettivo non «di omogeneizzare e uniformare i Paesi europei, bensì di farli prosperare nella loro diversità». 
Ma quale che sia la struttura istituzionale, quale il rapporto tra economie nazionale in una moneta unica, non potrà risolvere il dramma di un’Italia ferma. «Il vero problema è che sono vent’anni che la produttività nel nostro Paese non cresce... Il vero dibattito politico non dovrebbe essere sull’euro o sull’Imu, ma su cosa possiamo fare per far ripartire la crescita della nostra produttività». Fatta non al meglio l’Europa, commenterebbe un apocrifo D’Azeglio, facciamo gli italiani. 

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