mercoledì 3 settembre 2014

Un Marx comunitarista?

L'altro MarxIn realtà Marx considera l'obscina un punto di partenza per la socializazione solo nella misura in cui questa forma associativa e produttiva entra nel mondo moderno [SGA].

Ettore Cinnella: L’altro Marx, Della Porta, pagine 181, euro 15

Risvolto
A partire dagli anni '70 e fino alla morte nel 1883, Marx comincia a mettere in forse i risultati delle sue opere precedenti e a nutrire seri dubbi sulla possibilità di una rivoluzione proletaria in occidente. Di qui lo studio appassionato della comune contadina in Russia e del mondo primitivo; di qui i suoi legami con i militanti di "Volontà del popolo", nota a tutti per le spettacolori azioni terroristiche, che culminarono nell'assassinio dello zar Alessandro II. Assillata da dubbi, il 16 febbraio 1881, Vera Zasulic scrive a Marx che da lui dipende il destino personale dei rivoluzionari russi. La risposta di Marx sarà occultata e resterà nascosta per oltre quarant'anni. Sulla base di una vasta e rara documentazione, Ettore Cinnella ricostruisce gli anni del ripensamento e la sorprendente metamorfosi intellettuale dell'ultimo Marx.


Marx il “primitivo”: un fondamentale libro di Ettore Cinnella
 2 AGOSTO 2014 | di Dino Messina Corriere on line

“A grandi linee – scriveva Karl Marx nel 1859 -, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e moderno possono essere designati come epoche progressive della formazione economica della società”. Secondo la concezione della storia enunciata dal filosofo di Treviri (1818-1883) nelle opere della maturità, “Per la critica dell’economia politica” (1859) e i “Grundisse” (1857-1858), manoscritti rimasti inediti per quasi un secolo, il modo di produzione borghese era una tappa necessaria del processo economico, la sola da cui avrebbe potuto scaturire la rivoluzione proletaria. Una concezione deterministica (ed eurocentrica) che tuttavia non fu del tardo Marc, come per primi notarono in Italia Bruno Bongiovanni e in Gran Bretagna Teodor Shanin e ora Ettore Cinnella, uno dei maggiori studiosi della cultura e della storia russe nel saggio “L’altro Marx”, appena edito da Della Porta (pagine 181, euro 15).
Scopo del libro di Cinnella è dimostrare, attraverso una serie di carteggi con gli amici e corrispondenti russi, come l’autore del “Capitale” nell’ultimo decennio di vita abbandonò il suo determinismo per arrivare a una rivalutazione delle forme economiche cosiddette primitive. Al centro della questione ci sono il ruolo della comune agricola russa (l’obscina) e i rapporti con il movimento populista. L’autore racconta il complesso rapporto di Marx (e Engels) con i corrispondenti russi: da una iniziale diffidenza se non una vera e propria ostilità verso il mondo slavo, il filosofo tedesco maturò prima un graduale interesse all’approfondimento dello studio del modo di produzione nell’impero zarista, al punto da imparare in tarda età il russo, poi un radicale cambiamento.
Cruciali in questa evoluzione intellettuale sono tre nomi: Nikolaj Francevic Daniel’son, “colto e serio economista, noto soprattutto per la violenta polemica di Lenin contro di lui”, che si sobbarcò il peso della traduzione in russo del “Capitale” e fornì al filosofo che abitava a Londra una serie di testi sui quali egli avrebbe aggiornato le sue teorie; lo studioso Maksim Maksimovic Kovalevskij, autore del libro “La proprietà comunitaria della terra: cause, svolgimento e conseguenze della sua dissoluzione”, uscito a Mosca nel 1979 e che fu alla base della definitiva “conversione” di Marx; infine, la rivoluzionaria Vera Zasulic, responsabile di un attentato contro il governatore di Pietroburgo. Fu questa audace rivoluzionaria, uscita insperatamente assolta dal processo, a scrivere a Marx il 16 febbraio 1881 un’angosciata lettera in cui chiedeva al padre del comunismo lumi sulla “comune rurale”: “delle due l’una, o questa comune rurale, affrancata dalle smodate esazioni del fisco, dai tributi ai signori e dagli arbìtri dell’aministrazione, è capace di svilupparsi in senso socialista, vale a dire di organizzare gradualmente la produzione e la distribuzione dei prodotti su basi collettivistiche… o se è destinata a perire, al socialista in quanto tale non resta che abbandonarsi a calcoli più o meno malcerti per appurare tra quante decine d’anni la terra del contadino russo passerà dalle sue mani in quelle della borghesia…”.
La risposta di Marx fu sorprendente: “L’analisi data nel “Capitale” non offre motivi né a favore né contro; ma lo studio speciale che io vi ho dedicato, e i cui materiali sono andato cercando nella fonti originali, mi ha convinto che questa comune è il fulcro della rigenerazione sociale in Russia. Ma perché possa svolgere tale funzione, bisognerebbe dapprima eliminare le influenze deleterie che l’assalgono da ogni parte e, poi, garantirle le condizioni normali d’uno sviluppo spontaneo”.
A questo punto la vicenda della corrispondenza tra l’anziano filosofo e la rivoluzionaria russa storia si tinge di giallo. La lettera di Marx fu ricopiata e spedita a Georgij Valentinovic Plechanov, che aveva preso le distanze dal movimento rivoluzionario populista in nome del marxismo. Ma il padre del marxismo russo cominciò la sua carriera occultando la lettera di Marx. Le prime notizie dell’importante documento si ebbero a partire dal 1911 quando alcuni abbozzi della lettera a Vera Zasulic furono trovati tra le carte lasciate dal filosofo tedesco al genero Paul Lafargue.
Il cambio di prospettiva dell’ultimo Marx, osserva Cinnella, non riguardano soltanto l’obscina, ma tutto le comunità precapitalistiche. Il filosofo aveva letto, grazie a Kovalevskij, l’”Ancient Society” dell’antropologo Lewis Henry Morgan e si era convinto che forme vitali di economia erano state distrutte non solo da fattori economici ma soprattutto da brutali interventi politici.
A proposito delle comunità rurali russe, commenta in conclusione Ettore Cinnella, “fu lo Stato bolscevico – il quale diceva di ispirarsi a Marx – a progettare e attuare negli anni Trenta del Novecento, il furioso assalto al mondo contadino, che provocò un’ecatombe umana di proporzioni gigantesche e distrusse le basi materiali dell’economia sovietica”.



Quando Marx si sdoppiò
L'autore del «Capitale» considerò inizialmente la Russia una nazione inadatta ad accogliere le idee marxiste. Poi cambiò ideadi David Bidussa Il Sole Domenica 21.9.14

Nel dicembre 1917 Gramsci scrive che Il capitale di Marx in Russia era il libro dei borghesi, di coloro che erano convinti della «necessità che in Russia si formasse una borghesia, s'iniziasse un'èra capitalistica, s'instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse pensare alla sua riscossa,..» (Antonio Gramsci, La città futura, Einaudi, pagg. 514).
Eppure all'inizio, quando esce la prima traduzione de Il Capitale in russo, nella primavera del 1872, non era questa la situazione. Ettore Cinnella con questo suo studio di scavo intorno a un Marx per molti sconosciuto (giusto il titolo L'altro Marx), ci aiuta a comprendere perché.
All'inizio Marx non ha un fascino per la Russia che relega a periferia della storia. Il futuro si gioca tutto sul continente, tra Germania, Francia e soprattutto Inghilterra, il luogo dove ha preso forma la società industriale.
Schema già consolidato alla fine degli anni '40 e che non si modifica nei successivi venti anni. La Russia gli appare sotto le spoglie di un mondo lontano e se non nemico, certamente avversario anche in quelle figure con cui si trova a confrontarsi: da una parte Alexander Herzen, l'esponente più importante della prima generazione del populismo; dall'altra Michail Bakunin, il rivoluzionario che gli ha sottratto l'egemonia politica in Spagna, in Italia (ma anche nella Svizzera romanda) negli anni della Prima Internazionale (1864-1876).
All'inizio degli anni '70, nell'ultimo decennio della sua vita, il suo quadro concettuale, ma anche la sua sensibilità culturale, cambiano radicalmente. Lo si comprende meglio partendo dalla fine.
Nel febbraio 1881 (Marx morirà due anni dopo, nel marzo 1883) Vera Zazuli (1849-1919), esponente di punta del movimento populista in avvicinamento a Marx gli scrive chiedendogli se sia necessario o no l'abolizione della vecchia comune agricola russa, perché si avvii un processo d'industrializzazione e si definisca nel tempo un percorso di avvicinamento al socialismo. In breve la domanda è se la Russia debba percorrere lo stesso iter economico e sociale dell'Occidente per giungere al socialismo. La risposta di Marx (che stende in più versioni) è possibilista, soprattutto rifiuta l'idea di un passaggio meccanico anche per la Russia come nel mondo economico occidentale dal XV secolo in poi. Solo se posta in condizione d'isolamento quel passaggio sarebbe obbligato. Ma la comune agricola russa, precisa Marx, può assorbire i vantaggi dello sviluppo economico e tecnologico permessi dal processo d'industrializzazione senza dover passare per lo stesso processo.
La rivoluzione, dunque, secondo una visione già allora "globalizzante" si direbbe oggi, ha più chance di avviarsi nei paesi "arretrati" che non in quelli avanzati (secondo un paradigma che poi sarà fatto proprio da Lenin e soprattutto da Trockij).
Marx alla vigilia della sua morte, dunque, non riconosce più una centralità del l'Occidente nel processo rivoluzionario. Un'affermazione, sottolinea Cinnella, che ha un riscontro con il dato che dopo la Comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871) Marx non accenni più alla possibilità della rivoluzione all'Ovest.
Secondo Cinnella, non è un segnale improvviso. È una convinzione che si è affermata lentamente, a partire dal 1872, segnata da un'immersione totale di Marx nella discussione russa e dal confronto con le figure del pensiero economico e politico russo.
Una riflessione cui sono indispensabili più che i testi pubblicati, i molti quaderni di appunti, soprattutto su temi di antropologia e etnologia, che Marx stende in quel decennio. Il risultato è l'approdo a una visione che segna uno stacco profondo rispetto alle convinzioni che fino a tutti gli anni '60 Marx ha avuto rispetto alle realtà economicamente arretrate o coloniali (esemplari sono le sue note sull'India) e che consente appunto, di parlare di un «altro Marx».

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