mercoledì 29 ottobre 2014
Extra Angliam nulla salus: Bobbio, il dibattito con Ingrao, la "democrazia minima" e le radici antichissime della Bestia
Democrazia, come piace a noi, è molto di più che votare ogni 5 anni come sembra piacere a papa Zagrebelksy [SGA].
Nell’elogio della discordia l’anima kantiana di Bobbio
Tra
le grandi lezioni del filosofo italiano c’è il concetto di “democrazia
minima” contro l’idea dell’unità a tutti i costi che annulla pluralismo e
differenze
di Gustavo Zagrebelsky Repubblica 29.10.14
TUTTI i concetti generali della politica — libertà, uguaglianza,
giustizia, nazione, stato, per esempio — sono usati in significati
diversi, con la conseguenza di confusioni inconsapevoli e di inganni
consapevoli. Gaetano Salvemini, lo storico antifascista che Bobbio
include nel pantheon dei suoi “maestri nell’impegno”, ha scritto: «La
parola democrazia è adoperata per indicare dottrine e attività
diametralmente opposte a una delle istituzioni essenziali di un regime
democratico, vale a dire l’autogoverno. Così noi sentiamo [parlare] di
una cosiddetta “democrazia cristiana” che, secondo la Catholic
Enciclopedia, ha lo scopo di “confortare ed elevare le classi inferiori
escludendo espressamente ogni apparenza o implicazione di significato
politico”; questa democrazia esisteva già al tempo di Costantino, quando
il clero “dette inizio all’attività pratica della democrazia
cristiana”, istituendo ospizi per orfani, anziani, infermi e viandanti.
I fascisti, i nazisti e i comunisti hanno spesso dato l’etichetta di
democrazia, anzi della “reale”, “vera”, “piena”, “sostanziale”, “più
onesta” democrazia ai regimi politici d’Italia, della Germania e della
Russia attuali [siamo nel 1940], perché questi regimi professano
anch’essi di confortare ed elevare le classi inferiori, dopo averle
private di quegli stessi diritti politici senza i quali non è possibile
concepire il “governo dei popoli”».
Invito al colloquio è il titolo del primo saggio di Politica e cultura (
Einaudi), un’espressione che riassume l’intera attività
politico-intellettuale di Bobbio. Ma, il colloquio, affinché non si
svolga in acque torbide, deve sapere qual è l’oggetto e che cosa, per
non intorbidirle, ne deve stare fuori. Per questo, una definizione è
necessaria, ma una definizione troppo pretenziosa non aprirebbe, bensì
chiuderebbe il confronto. Ecco l’attaccamento di Bobbio alle
“definizioni minime”. Sono minime le sue definizioni di socialismo,
liberalismo, destra e sinistra, ad esempio. Ed è minima la definizione
di democrazia; potremmo anzi dire minimissima: a) tutti devono poter
partecipare, direttamente o indirettamente, alle decisioni collettive;
b) le decisioni collettive devono essere prese a maggioranza. Tutto qui.
Oltre che minima, questa definizione è anche solo formale: si riferisce
al “chi” e al “come”, ma non al “che cosa”. Riguarda soltanto — come si
usa dire per analogia — le “regole del gioco”.
In uno scambio epistolare con Pietro Ingrao sul tema della democrazia e
delle riforme costituzionali che ebbe luogo tra il novembre 1985 e il
gennaio 1986 (P. Ingrao , Crisi e riforma del Parlamento , Ediesse),
troviamo una dimostrazione di ciò a cui serve il “concetto minimo”.
Serve, da una parte, a includere, e dall’altra, a escludere e, così
facendo, a chiarire. I punti del contrasto riguardano quello che allora
era il progetto d’Ingrao, descritto in un libro dal titolo
significativo: Masse e potere ( Editori Riuniti, 1977) che allora ebbe
grande successo e che ora — mi pare — è dimenticato: la democrazia di
massa o di base, unitaria e capace di egemonia. Ma gli argomenti
chiamati in causa possono riguardare, in generale, tutte quelle che
Bobbio avrebbe considerato degenerazioni della democrazia, alla stregua
della sua definizione minima, come ad esempio, la “democrazia
dell’applauso” di cui egli parla nel 1984, a proposito della conquista
del Partito socialista da parte del suo segretario di allora), o la
democrazia dell’investitura plebiscitaria e populista dei tempi più
recenti.
Si prenda la “massa”. Bobbio chiede «che cosa si possa intendere mai per
democrazia di massa di diverso da quel che s’intende per democrazia
fondata sul suffragio universale»; che cosa si dica di più e di meglio
«rispetto a quel che s’intende quando si parla di un sistema politico in
cui tutti i cittadini maggiorenni hanno il diritto di voto»? Se non
s’intende nulla di diverso, la democrazia di massa è perfettamente
compatibile, anzi è la definizione formale della democrazia nella quale i
cittadini possono riunirsi e associarsi per svolgere attività politica.
Ma non è tutto. Introdurre le masse al poa sto dei cittadini non lascia
capire esattamente di che cosa si stia parlando e nella zona grigia
dell’incertezza entrano atteggiamenti emotivi che difficilmente diremmo
democratici. Ingrao usa espressioni come «irruzione delle masse nello
Stato», «un fiume tumultuoso che rompe gli argini e spazza e travolge
ciò che trova nel suo corso», all’azione diretta della folla. Massa può
alludere a un corpo collettivo amorfo e indifferenziato, mentre il
soggetto principe di un regime democratico è il singolo individuo. «In
democrazia non ci possono essere masse: ci sono o individui, oppure
associazioni volontarie di individui, come i sindacati e i partiti». In
ogni caso, in democrazia gli individui pensano e vogliono a partire
dalla propria autonomia morale. Sanno affrancarsi dalla “psicologia
della massa” sulla quale si appoggiano e si sono appoggiati tutti i
demagoghi d’ogni tempo e luogo.
E l’unità? Che senso ha l’appello all’unità che il Partito comunista di
quegli anni insistentemente faceva proprio: compromesso storico,
alternativa democratica, oggi Pd o, addirittura, Partito della Nazione?
La democrazia è un regime d’insieme e «non può essere chiamato
democratico [si può aggiungere: nazionale] in una delle sue parti se non
costo di creare una notevole confusione. Se una di queste parti viene
chiamata “democratica” [o nazionale] è segno che la si considera una
parte che tende a identificarsi col tutto». L’unità sconfina nella
unicità. La democrazia richiede “distinzioni”, cioè pluralismo. «Senza
pluralismo non è possibile alcuna forma di governo democratico e nessun
governo democratico può permettersi di ridurre, limitare, comprimere il
pluralismo senza trasformarsi nel suo contrario». La sintesi è espressa
da Bobbio in termini assai forti, perfino scandalosi: «La discordia è il
sale della democrazia, o più precisamente della dottrina liberale che
sta alla base della democrazia moderna (per distinguerla dalla
democrazia degli antichi). Resta sempre a fondamento del pensiero
liberale e democratico moderno il famoso detto di Kant: “L’uomo vuole la
concordia, ma la natura sa meglio di lui ciò che è buono per la sua
specie: essa vuole la discordia”».
E l’egemonia? Qui Bobbio confessa che si tratta d’un concetto che gli è
“meno familiare”, ma ciò non gli impedisce di porre una domanda analoga a
quella posta a proposito della “massa”: «Mi piacerebbe che qualcuno mi
spiegasse in che cosa consista l’egemonia in un sistema democratico se
non nella capacità di ottenere il maggior numero di voti […] Se qualcuno
mi sa dire che cosa significhi in democrazia, entro il sistema di certe
regole del gioco, conquistare l’egemonia, oltre al conquistare il
consenso degli elettori, lo prego di farsi avanti».
Insomma: egemonia, massa, unità non appartengono al sistema concettuale
del pensiero liberal-democratico e appartengono invece alla tradizione
del pensiero marxista. Tutto si tiene in una concezione della democrazia
che contraddice l’universo politico che, in fin dei conti, era anche
quello di Ingrao de Partito comunista. La forza elementare delle
argomentazioni di Bobbio porta, alla fine, a una certa convergenza. Dice
Ingrao e certo Bobbio avrebbe concordato (cito dalla lettera che
conclude lo scambio): «”Democrazia minima”: dici tu. Ma anche quel
livello minimo (eguaglianza formale nella libertà di voto) può
realizzarsi senza chiamare in causa tutta una serie di condizioni, che
riguardano libertà di voto, modalità di voto, contenuti del voto,
conseguenze del voto, attuazione del voto? L’atto è quello. Ma il quadro
— sociale, politico, statuale — entro cui esso si svolge è decisivo,
perché esso possa essere non dico esaustivo (?), ma significante. Per
“minima” che sia la democrazia, quel voto ha bisogno di un prima e di un
poi che gli diano verità. Altrimenti la forma dell’uguaglianza rivela
il suo limite, la sua debolezza di contenuto». Questo dice Ingrao. Ma,
chi potrebbe dissentire? Chiunque s’ispiri a una concezione liberale
della democrazia — Bobbio in primis — non potrebbe non essere d’accordo.
Non è questa la sede per distribuire le ragioni e torti, anche se a me
pare, sommessamente, che sia stato Bobbio a condurre Ingrao sulla sua
strada, e non viceversa. In ogni caso, la definizione minima del primo
si è dimostrata feconda di dialogo con il secondo.
Torino, convegno su Bobbio «costituzionalista»
La Stampa 29.10.14
«Bobbio “costituzionalista”» è il titolo del convegno in programma
domani dalle 9,15 a Torino presso il Campus Einaudi (Lungodora Siena,
100). Interverranno tra gli altri Gustavo Zagrebelsky, che parlerà di
«Democrazia formale e sostanziale», Cesare Pinelli («Forme di governo
antiche e contemporanee»), Alfonso Di Giovine («Laicità e immanentismo
nel pensiero di Bobbio»), Michela Manetti («I diritti di libertà»),
Enrico Grosso («Democrazia rappresentativa e democrazia diretta», Mario
Losano («Diritto e democrazia nel filosofo del dialogo»).
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