venerdì 14 novembre 2014

Il tempo continuo della storia: il libro postumo di Jacques Le Goff

Il tempo continuo della storia Jacques Le Goff: Il tempo continuo della storia, Laterza

Risvolto
La storia è una e continua o dobbiamo necessariamente dividerla in età e periodi? Periodizzare la storia non è mai un atto neutro o innocente. Periodizzare la storia è a sua volta un appassionante tema di storia.

L’ultimo libro di un grande maestro.

«Né tesi né sintesi, questo libro è il punto d’arrivo di una lunga ricerca: una riflessione sulla storia, sui periodi della storia occidentale, nel corso della quale il Medioevo mi ha accompagnato fin dal 1950. Si tratta quindi di un’opera che porto dentro di me da molto tempo, alimentata da idee che mi stanno a cuore.

Scritto in un momento in cui gli effetti quotidiani della globalizzazione stanno diventando sempre più tangibili, questo libro è una cavalcata nel tempo che torna a riflettere sulle diverse maniere di concepire le periodizzazioni storiche: le continuità, le rotture, i modi di pensare la memoria della storia.»



Le arbitrarie convenzioni che scandiscono il Medioevo 
Saggi. «Il tempo continuo della storia» di Jacques Le Goff per Laterza. Edito dopo la morte dello storico francese è un libro che tira le fila di un’epoca assai controversa

Marina Montesano, 14.11.2014 

Nata con intenti pole­mici, la parola «Medioevo» ha con­ti­nuato a far liti­gare. La inven­ta­rono gli uma­ni­sti del Quat­tro­cento, i quali svi­lup­pa­rono l’idea già anche petrar­che­sca (e che del resto aveva illu­stri pre­ce­denti anti­chi) della deca­denza della civiltà fino a giun­gere alla con­clu­sione – per allora nuova e rive­la­trice che il mondo della grande cul­tura, l’acme della quale era stato segnato dall’impero romano e dalla nascita del Cri­sto – era finito: e la coscienza della rot­tura rispetto all’età antica e della neces­sità di risa­lire la china della deca­denza sino a far rivi­vere in forme nuove l’antico splen­dore (quel che sarebbe stato chia­mato più tardi «Rina­sci­mento») li con­dusse a trat­tare i lun­ghi secoli «di mezzo» come media aetas, media tem­pe­stas, media tem­pora. 
Durante il Cin­que­cento, eru­diti e pole­mi­sti tanto cat­to­lici quanto pro­te­stanti – il car­di­nale Baro­nio e i «Cen­tu­ria­tori di Mag­de­burgo», ad esem­pio – con­ti­nua­rono a liti­gar fero­ce­mente sul mede­simo pre­sup­po­sto: accet­tando entrambi che i secoli suc­ces­sivi alla caduta dell’impero romano erano stati lun­ghi tempi di bar­ba­rie e d’ignoranza, si rin­fac­cia­vano reci­pro­ca­mente la respon­sa­bi­lità di tale deca­denza, che per i cat­to­lici erano stati quei popoli nor­dici dai quali sarebbe poi par­tita anche l’altra scia­gura, la Riforma, men­tre per i pro­te­stanti causa di tutto era la cor­ru­zione della sede pontificia. 
Nel Set­te­cento illu­mi­ni­stico, «Medioevo» divenne sino­nimo di ogni sorta di super­sti­zione, di fana­ti­smo e d’ignoranza; nell’Ottocento roman­tico, al con­tra­rio, si vol­lero vedervi invece fede, bel­lezza, spon­ta­neità natu­rale, gioia di vivere. Ecco in che senso, in fondo, quando con­ti­nuiamo a pole­miz­zare su que­ste cose, e usando ancora que­ste vec­chie astra­zioni, restiamo un po’ tutti figli di Vol­taire o di Novalis. 
D’altronde, una delle ragioni non ultime della com­ples­sità e della con­fu­sione su cui si basa que­sta plu­ri­se­co­lare pole­mica sta nel fatto che il cosid­detto «Medioevo» abbrac­cia nella perio­diz­za­zione più dif­fusa un intero mil­len­nio, dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476) alla sco­perta dell’America (1492). Un mil­len­nio nel quale sono acca­dute troppe cose: è mai pos­si­bile che due per­so­naggi come il goto teo­do­rico e Lorenzo il Magni­fico ven­gano acco­mu­nati dal fatto di poter essere defi­niti entrambi «medie­vali»? In mille anni ne suc­ce­dono, di cose: tutto e il con­tra­rio di tutto. E allora, come si fa a par­lare di un «uomo medie­vale», di una «società medie­vale», di una «cul­tura medie­vale» e così via, come se fos­sero qual­cosa di com­patto e di coe­rente? Infatti, non si può. Anzi, per­fino la con­ven­zio­nale parola «Medioevo» è un rebus insen­sato. Chi l’ha inven­tata, più che una defi­ni­zione, ha inteso dare una non-definizione. Medio-Evo: età di mezzo, periodo di tran­si­zione fra le sole età che con­tano, l’antica e la moderna. Ma la natura con­cet­tuale di que­sta non-definizione rende arduo l’uscire dal suo cerchio. 
Ci ha pro­vato con pas­sione, nella sua car­riera di sto­rico e medie­vi­sta insi­gne, Jac­ques Le Goff; non è quindi casuale che la sua ultima opera, che in Ita­lia esce postuma con il titolo Il tempo con­ti­nuo della sto­ria (Laterza, pp. 156, euro 15), sia una rifles­sione breve ma arti­co­lata sul con­cetto di perio­diz­za­zione, sul «lungo Medioevo» che non si esau­ri­sce nelle date cano­ni­che, sulla falsa con­trap­po­si­zione tra Medioevo e Rina­sci­mento: anche quest’ultimo un’invenzione, seb­bene tar­diva, otto­cen­te­sca, desti­nata a grande for­tuna negli studi della prima metà del Novecento. 
Le Goff ci mostra come le radici di un modo nuovo di pen­sare l’essere umano, la svolta della Moder­nità, affonda le radici nei secoli d’oro che l’Europa ha vis­suto tra XII e XIII: «que­sto deci­sivo orien­ta­mento di pen­siero che non con­ce­pi­sce la teo­lo­gia senza l’umanesimo si è pro­dotto fin dal Medioevo. La rina­scita del XII secolo, insi­stendo sull’idea che l’uomo è fatto ‘a imma­gine di Dio’, non­ché tutta la grande sco­la­stica del XIII secolo, e in par­ti­co­lare san Tom­maso, riten­gono, e affer­mano, che il loro vero oggetto di rifles­sione, attra­verso Dio, è appunto l’Uomo. L’umanesimo dipende da una lunga evo­lu­zione che si può far risa­lire all’antichità». 
A tale evo­lu­zione Jac­ques Le Goff ha dedi­cato larga parte della sua opera, buon suc­ces­sore di Marc Bloch e della sua imma­gine dello sto­rico che, al pari dell’orco delle fiabe, fiuta odore di carne umana.


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