lunedì 19 gennaio 2015

Greci, Cinesi e smemorati di Bologna

La solita mania del coniglio dal cilindro, la solita mancanza di memoria.
Per carità, ci faremo andar bene tutto, per quel poco che può durare. Ma è bene ricordare che anche Cofferati ha condiviso le linee guida della stagione blairiana e che la Cgil finiva per consentire al centrosinistra ciò che impediva al centrodestra e ha non poche corresponsabilità nella crisi italiana. Ma il discorso sarebbe lungo e in questo momento suonerebbe come sparare sulla Madonna Pellegrina [SGA].

 
Il Cinese: “È un partito alla frutta il modello Renzi compra i voti”“Vogliono esportare in Liguria il modello nazionale renziano delle larghe intese con il centrodestra comprando i voti” “Non mi dimetto da Strasburgo perché quei 120 mila voti sono miei. All’Europarlamento per scelta personale”Intervista di Umberto Rosso a Sergio Cofferati Repubblica 19.1.15
ROMA Onorevole Cofferati, si è così polemicamente dimesso dal Pd in realtà perché ha perso le primarie in Liguria, come l’accusano i vertici del suo ormai ex partito?
«Vedo che Renzi va in televisione a darmi dell’ipocrita, che i vicesegretari bollano come inspiegabile e ingiustificato il mio addio al Pd. Solo insulti e offese. Se un partito, invece di chiedersi le ragioni delle dimissioni di uno dei suoi fondatori, reagisce così, siamo alle frutta. Anzi, ormai al digestivo».
Ha denunciato irregolarità e brogli nelle primarie a favore della sua concorrente Raffaella Paita. Perché solo a fine gara, non prima?
«Ma io per un mese e mezzo ho informato la Serracchiani e Guerini, i due vice di Renzi, dello scempio che si stava consumando in Liguria, dei rischi di inquinamento del voto, della partecipazione organizzata del centrodestra con l’Ncd e anche Forza Italia alle nostre consultazioni per votare e far votare la Paita, con la partecipazione attiva di certi fascistoni mai pentiti, e la presenza perfino di personaggi in odor di mafia ai gazebo e ai seggi».
E dal vertice del Pd, di fronte ad uno scenario simile, davvero non hanno fatto una piega?
«Mai. Nessuna risposta. Così i pericoli che temevo, si sono puntualmente avverati. Il risultato in tredici seggi, dove per una manciata di euro sono stati convogliate file di poveri stranieri, è stato annullato dalla commissione di garanzia. Sta indagando la procura di Savona e forse anche quella di Genova si muoverà. Ed è scesa in campo anche la Dda, la direzione distrettuale antimafia».
Tutto organizzato contro di lei? Da chi e perché?
«Era stata pianificata una vittoria a tavolino, con l’appoggio del centrodestra. Alcuni suoi esponenti, come il segretario regionale Ncd Saso, l’ex senatore forzista Orsi, il fascista Minasso, lo avevano pubblicamente dichiarato. Quando io ho dato la mia disponibilità e sono entrato in campo, ho scompaginato i loro disegni. E l’organigramma di potere era già pronto».
Vuol dire che avrebbe vinto, senza le irregolarità che ora denuncia?
«Non lo so. Io ho preso circa 24 mila voti. Chi ha vinto, circa 28 mila. Però nel 2011 a Napoli per irregolarità denunciate in tre seggi, dico tre, Bersani annullò le primarie. Perché a Genova deve essere diverso che a Napoli?».
Cos’è, una conventio ad excludendum contro Cofferati pilotata dalla segreteria nazionale?
«Da quella ligure, di sicuro. La segreteria nazionale è stata, diciamo, assente, distratta, lontana. Salvo negli ultimi giorni, quando è piombata il ministro Pinotti a sostenere la Paita e una formula politica per la regione che mai si era discussa qui, e che io mai avrei appoggiato: le larghe intese con il centrodestra, l’esportazione anche in Liguria del modello nazionale renziano».
Però questa è appunto una linea politica, che si può o meno condividere, che c’entra con i brogli?
«Certo, ma per imporre, realizzare questo modello politico si è fatto ricorso in modo spregiudicato al sostegno del centrodestra nelle primarie del nostro partito. E anche all’inquinamento con voti comprati. Sta tutta qui la ragione delle mie dimissioni, la ferita politica che si è aperta nel Pd, e non solo in Liguria. Sono stati cancellati i valori stessi su cui è nato il Partito democratico. E io che ne sono stato uno dei 45 fondatori, e non c’era certo Renzi, me ne vado con dolore. Sono stati ormai distrutti i principii e gli strumenti per la loro affermazione, e cioè proprio le primarie. E non parliamo del rispetto personale: ogni giorno della campagna sono stato insultato, in particolare dal sindaco di La Spezia».
Lei lascia il Pd ma non il seggio a Strasburgo dove è stato eletto proprio con i voti del partito. Non dovrebbe farlo?
«Alle elezioni europee, dove molti fanno finta di dimenticare che si vota con le preferenze, sono stato rieletto con 120 mila voti. Alcuni hanno segnato il mio nome perché era nella lista nella Pd. Molti altri perché hanno scelto Cofferati e di conseguenza la lista del partito».
I voti per l’europarlamento sono soprattutto “suoi” e non del Pd?
«Credo proprio di sì. Ma si chiede solo a Cofferati di lasciare il seggio, mentre in altri casi non c’è problema. Non si chiedono dimissioni da deputato, che ne so, per Gennaro Migliore eletto con Sel ma passato al Pd».
Eppure quando era sindaco di Bologna giurava che mai avrebbe lasciato la città per un seggio a Strasburgo.
«Ma quella fu una scelta personale. Volevo stare con la mia famiglia a Genova. L’allora segretario del Pd Franceschini mi offrì con insistenza l’eurocandidatura. Mi resi conto che, da Strasburgo, nei week end sarebbe stato più facile stare a Genova con i miei. E dissi di sì».

Le due spine di Renzi: opa-Cofferati a sinistra e calo di voti a destra
Sceso al 34% nei sondaggi, e Fassina lo avvisa che la minoranza farà le barricate sul Quirinale
di Fabio Martini La Stampa 19.1.15
Landini candida Cofferati «Può diventare lo Tsipras italiano»Il segretario della Fiom: «Dobbiamo andare oltre gli schemi classici. Le primarie pd dovevano aiutare la partecipazione. Ora per vincerle si fanno votare lobby e fascisti»intervista di Fabrizio Roncone Corriere 19.1.15
 
Il sondaggio Passo indietro del Pd: perde 6 punti, scende a 34,8%
La Lega a un passo da Forza Italia Il centrodestra se fosse unito, varrebbe 36,3% contro il 38,6 del centrosinistra Nel Pd perde forza la connotazione «acchiappatutto»
M5S stabili al 20%
di Nando Pagnoncelli Corriere 18.1.15

Lo strappo di Cofferati non cambierà la sinistra
di Dario Di Vico Corriere 18.1.15L’uscita di Sergio Cofferati dal Pd è un colpo, più che al partito, alla credibilità dello strumento delle primarie.
Le lunghe file ai gazebo in questi anni avevano fatto sognare quanti nel centrosinistra si sono battuti con caparbietà per tentare di ricucire la cesura tra politica e società e per affidare alla partecipazione popolare la selezione della classe dirigente nazionale e periferica. Purtroppo quasi tutte le ultime edizioni delle primarie in chiave locale hanno visto emergere una forma di caporalato etnico-elettorale che ha alimentato battute sarcastiche e calembour ma che non può che allarmare, anche perché traduce in farsa la grande tragedia contemporanea della difficoltà di integrazione dei migranti. E ciò va detto al di là del riconoscimento delle proporzioni del successo di Raffaella Paita in Liguria. Per il Cinese si tratta di una nuova amarezza che bissa quella che lo ha portato ad abbandonare il municipio di Bologna, lasciandosi dietro una scia di polemiche e veleni che non sono stati ancora riassorbiti.
Ma esaurite le tematiche di giornata, la domanda forse più intrigante è se l’approdo di Cofferati nel campo della sinistra scontenta e radicale sia destinato a cambiare qualcosa in termini di audience e di gerarchia dei potenziali leader. La risposta che viene immediata è che assai difficilmente l’ex leader della Cgil rappresenterà l’Oskar Lafontaine della seconda sinistra. Non esce infatti dal Pd con un bagaglio di idee nuove o con particolari legami sociali tali da rimescolare le carte negli accampamenti civatiani e vendoliani.
In fondo l’unico personaggio che potrebbe far crescere significativamente la sinistra alternativa al Pd resta un sindacalista ancora in pieno servizio come Maurizio Landini, capace di destreggiare con abilità il mezzo televisivo e che ha dietro di sé un’organizzazione come la Fiom, abituata alle incursioni nel campo più strettamente politico. Ma Landini, almeno per ora, pensa alla Cgil, e non a scendere in campo.

Cofferati Verso una piattaforma dei delusi del Pd
di Jacopo Iacoboni La Stampa 18.1.15
 
Sinistra verso una casa comune 
L'Altra Europa. L’addio di Cofferati emoziona i partecipanti. «E’ il punto di non ritorno tra Pd e mondo del lavoro
—  Riccardo Chiari, il Manifesto INVIATO A BOLOGNA, 17.1.2015
Negli ampi spazi del Nuovo cinema Nosa­della, esau­rito in ogni ordine di posti per l’assemblea dell’Altra Europa con Tsi­pras, può suc­ce­dere anche di tro­vare nel retro­bot­tega il poster di un film uscito la scorsa estate. Dimen­ti­ca­bile (a par­tire dalla cop­pia di pro­ta­go­ni­sti Barrymore/Sandler) ma con un titolo piut­to­sto ade­rente agli svi­luppi della gior­nata: «Insieme per forza». Anche per amore. «Per tutti noi — ricorda fra gli applausi Panos Lam­prou di Syriza — il movi­mento con­tro la glo­ba­liz­za­zione è stato un inse­gna­mento. E siamo con­vinti che la sini­stra ita­liana possa sor­pren­dere ancora il mondo».


Chi in par­tenza pen­sava che si trat­tasse di un appun­ta­mento più sim­bo­lico che di con­creta azione poli­tica, fis­sato nell’imminenza delle ele­zioni gre­che spe­cial­mente per rin­sal­dare il legame con il nuovo pos­si­bile primo mini­stro Ale­xis Tsi­pras, non aveva cal­co­lato una sedi­men­tata costante: la capa­cità della sini­stra ita­liana di essere al tempo stesso con­flit­tuale (soprat­tutto al suo interno), un po’ bizan­tina, senza un lea­der ma con tanti aspi­ranti al ruolo. Sin­goli o col­let­tivi.
Al tempo stesso, nelle pie­ghe di una discus­sione molto intensa, e nella diver­sità di posi­zioni rap­pre­sen­tata ad esem­pio dall’intervento «basi­sta» di Bar­bara Spi­nelli («non c’è più tempo da per­dere, dob­biamo par­tire subito»), e dalla rea­li­stica rispo­sta di Luciana Castel­lina («non rico­strui­remo la sini­stra se non rico­struiamo un ter­reno comune della sini­stra»), è pos­si­bile capire quali poten­zia­lità avrebbe una forza uni­ta­ria. Poi, per i tanti appas­sio­nati di modelli orga­niz­za­tivi — meglio Syriza o Pode­mos? — vale la rispo­sta di Paolo Fer­rero: «Io penso che l’Altra Europa sia la cosa migliore fatta negli ultimi dieci anni. Ma una sog­get­ti­vità poli­tica non si costrui­sce in ter­mini buro­cra­tici. Né può essere il frutto di una dina­mica ’pat­ti­zia’ fra i ver­tici. Va costruita nel paese«.
Sarà un’impresa, nell’Italia del patto del Naza­reno. Però ci sono fatti grandi e pic­coli che con­tri­bui­scono a tenere accesa la fiamma della spe­ranza. Non solo le ele­zioni gre­che e i son­daggi spa­gnoli. C’è ad esem­pio la pre­senza qui a Bolo­gna del sena­tore ex pen­ta­stel­lato Fran­ce­sco Cam­pa­nella. E c’è l’addio di Ser­gio Cof­fe­rati al Pd. Il segre­ta­rio con­fe­de­rale del Circo Mas­simo, dei tre milioni in piazza con le ban­diere della Cgil per difen­dere l’articolo 18, agli occhi dell’assemblea cer­ti­fica con la sua deci­sione la rot­tura finale fra il mondo del lavoro e il suo par­tito di rife­ri­mento. «C’è grande emo­zione in sala — sin­te­tizza il bolo­gnese Ser­gio Caserta — certo l’avesse fatto dieci anni fa…». E Nanni Alleva, neo con­si­gliere regio­nale dell’Altra Emi­lia Roma­gna, ampli­fica il con­cetto: «E’ l’ultima dimo­stra­zione del fatto che il Pd è un posto infre­quen­ta­bile. Anche un poli­tico navi­gato come Cof­fe­rati alla fine si è tro­vato di fronte a una situa­zione impos­si­bile. Ora l’importante è che molti ita­liani che si sono ’messi in scio­pero’, non votando, capi­scano che c’è un’alternativa: la sini­stra. Unita».
«Cof­fe­rati – osserva sul punto Cur­zio Mal­tese – è l’unico che ha tratto le con­se­guenze del fatto che nel Pd esi­ste una que­stione morale e, subito dopo, una que­stione poli­tica. Ber­lin­guer avrebbe detto che ’esi­ste una que­stione morale nel par­tito demo­cra­tico’: basti pen­sare alla Ligu­ria, all’Expò, alla Tav, allo scan­dalo del 3%». Quanto alla que­stione poli­tica, è l’intervento intro­dut­tivo della gior­nata di Marco Revelli a segna­larla pun­tual­mente: «In Ita­lia si è ria­perto il con­flitto sociale: nel milione di piazza San Gio­vanni, nello scio­pero gene­rale, nello scio­pero sociale. E in que­sti mesi si è anche con­su­mata una frat­tura sto­rica, fra il mondo del lavoro e il par­tito che sto­ri­ca­mente ne rac­co­glieva le istanze. Un par­tito che oggi invece par­te­cipa alla mano­mis­sione della Costi­tu­zione demo­cra­tica, e all’attacco al lavoro».
Revelli rias­sume anche il com­pito dell’Altra Europa: «Costruire una casa comune, acco­gliente, della sini­stra. E un nuovo lin­guag­gio. Per­ché da decenni la sini­stra ha smar­rito il suo, anzi ha assunto quello del neo­li­be­ri­smo». Il socio­logo tori­nese è fra i primi fir­ma­tari del mani­fe­sto «Siamo a un bivio» pre­sen­tato ai 700 par­te­ci­panti all’assemblea, fra i quali si notano Franco Turi­gliatto e Anto­nio Ingroia. A fir­mare anche Paolo Cento: «L’abbiamo sot­to­scritto dopo una discus­sione nel par­tito — spiega il pre­si­dente dell’assemblea di Sel — per­ché vanno valo­riz­zati gli sforzi di lavo­rare in un pro­cesso poli­tico, aperto e inno­va­tivo, ’della sini­stra e dei demo­cra­tici ita­liani’. Tanti che sono qui oggi saranno anche a Human Fac­tor. E noi pen­siamo di poter dare il nostro con­tri­buto, rite­nen­doci impor­tanti ma non certo esclu­sivi, per allar­gare lo sguardo e gli spazi a sini­stra».
Molti ma non tutti fir­mano il «mani­fe­sto Revelli», che pone la sca­denza di una nuova assem­blea a marzo per avviare il futuro per­corso della forza poli­tica, con chi ade­rirà, sul duplice bina­rio locale e nazio­nale. Non firma Bar­bara Spi­nelli che dà voce a un gruppo di comi­tati locali, cri­tici verso quelle che giu­di­cano len­tezze ecces­sive nel pro­cesso costi­tuente di un nuovo par­tito. I gio­vani under 35 di Act bat­tono invece il tasto del com­pleto rin­no­va­mento del comi­tato ope­ra­tivo dell’Altra Europa. Sul punto la discus­sione va avanti per l’intera gior­nata, e pro­se­guirà anche oggi.

Le svolte continue del «cinese» 
La Storia. Dal ritorno in Bicocca all’addio a Bologna. Lasciare il Pd è solo l’ultima scommessa. Coraggio e ambizione hanno sempre guidato un uomo poco coerenteMassimo Franchi, il Manifesto ROMA, 17.1.2015
Non sem­pre coe­rente, di certo corag­gioso. Nella ormai lunga car­riera del 66enne Ser­gio Cof­fe­rati suc­cessi e delu­sioni si alter­nano. Se i tre milioni del Circo Mas­simo sono un tra­guardo ormai ine­gua­glia­bile per qual­siasi mani­fe­sta­zione, gli impro­peri che ancora gli inviano i bolo­gnesi per il suo unico man­dato da sin­daco e la «miste­riosa» fuga ne fanno il pari nega­tivo. Il perito indu­striale della Pirelli ha per­corso in lungo — da Milano a Roma, poi fino a Bru­xel­les — e in largo — da Bolo­gna a Genova — l’Italia del sin­da­cato e della poli­tica. Essendo per­ce­pito con un spet­tro di rea­zione che è andato dal «peri­colo ever­sore» allo «sce­riffo che sgom­bra con la forma le donne rom». Il filo rosso di un tale pere­gri­nare fisico e poli­tico è quello di voler rima­nere sem­pre sulla brec­cia, incu­rante di tutto e per un mal­ce­lato pro­ta­go­ni­smo. E di aver com­piuto per smi­su­rata ambi­zione scelte tutt’altro che scon­tate e sem­pre controcorrente. 
Riper­cor­rerle è dove­roso per capire dove l’ultima potrà por­tare lui e chi lo seguirà. A soli sei mesi da quel 23 marzo 2002 in cui la sua Cgil arginò il ten­ta­tivo di Ber­lu­sconi e Sac­coni di can­cel­lare l’articolo 18 — ora abbat­tuto da Renzi — Cof­fe­rati decise di tor­nare in fab­brica, al posto di lavoro alla Bicocca di Milano da cui aveva ini­ziato la sua car­riera sin­da­cale, nono­stante le chiavi della sini­stra che buona parte dell’elettorato e dei gior­nali — Repub­blica in testa — gli ave­vano già con­se­gnato. Ma da «sem­plice cit­ta­dino» non mancò di fare poli­tica, quella che non potè ono­rare in prima per­sona nel con­gresso dei Ds del 2001 con­tro Mas­simo D’Alema, par­te­ci­pando però alla crea­zione del “cor­ren­tone” che portò alla can­di­da­tura per­dente di Gio­vanni Ber­lin­guer con­tro Piero Fassino. 
Alla Bicocca — e alla «coe­renza» — rimase poco fedele. Meno di due anni. Accetta di can­di­darsi a sin­daco di Bolo­gna, città in cui il suo nome nel 2002 era stato sbian­chet­tato da chi — il quin­di­ci­nale Zeroin­con­dotta, vicino a quei cen­tri sociali che poi lo con­te­ste­ranno — rese pub­bli­che le let­tere con cui Marco Biagi denun­ciava di «sen­tirsi in peri­colo» e chie­deva che gli fosse ripri­sti­nata la scorta. La can­di­da­tura rende «aria fritta» la pro­messa fatta di «non entrare in poli­tica», scol­pita per­fino nel titolo del libro — «A cia­scuno il suo mestiere» — scritto a quat­tro mani con un altro ex Cgil diven­tato sin­daco, quel Gae­tano Sate­riale da Fer­rara ora tor­nato a Corso Ita­lia. Un’entrata nel mondo della poli­tica da una porta late­rale, seb­bene spia­nata, per far ricon­qui­stare alla sini­stra un sim­bolo mon­diale, la Bolo­gna finita, per insi­pienza degli eredi di Zan­gheri e Imbeni, nelle mani di Guazzaloca. 
Solo la teo­ria fun­zio­na­li­sta — un sin­daco vira per forza a destra — spiega il suo ope­rato. Mai amato dai bolo­gnesi, scap­perà quat­tro anni più tardi per andare nella Genova, città della sua nuova com­pa­gna Raf­faella, dove cre­scerà Edoardo, suo secondo genito. 
Qui, riac­qui­stando parole d’ordine di sini­stra — «lavoro e dignità», fin dai tempi della bat­ta­glia Fiom-Fiat — Cof­fe­rati accet­terà la can­di­da­tura Pd a par­la­men­tare euro­peo, poi rin­no­vata con suc­cesso a mag­gio scorso. Ruolo troppo stretto e poco visi­bile per chi ancora si sente e aspira ad essere un padre nobile della sinistra. 
La can­di­da­tura a pre­si­dente della Ligu­ria è invece un salto nel vuoto. Fatto ascol­tando più il cuore — e gli adu­la­tori — che la ragione. La scon­fitta — sep­pur con tutti gli stra­sci­chi — è la natu­rale, e forse cal­co­lata, con­se­guenza.
Ser­gio Cof­fe­rati ieri ha aperto le acque. Se la sua dipar­tita dal Pd pro­vo­cherà una sla­vina o una sem­plice libe­ra­zione per chi lo con­si­de­rava già sull’uscio, è dif­fi­cile pre­ve­derlo. Di certo per la sini­stra ita­liana — quella vera — è un giorno sto­rico. Che va cer­chiato in rosso. Una pos­si­bile rinascita.

L’attesa per le mosse degli altri delusi: poi valuterò
di Erika Dellacasa 
Corriere 18.1.15L’uomo del Circo Massimo e la tentazione di fare il padre nobile di una forza alternativa
GENOVA Un passo alla volta. Cofferati lascia il Pd e frena sulle mosse successive ma solo perché i tempi li vuole dettare lui. È finita la conferenza stampa e preme per tornare a casa dal figlio, a chi lo incalza ripete di essersene andato «da solo» e che tale resterà. Anche se c’è già tutto un ribollire a sinistra, Sel, civatiani, tutti delusi di queste primarie e del Pd.
Cofferati pattina sulle domande da politico: «Diventare il punto di riferimento di una formazione nuova? Oggi questa formazione non c’è e io non promuovo né fondo niente. Ma quando e se ci saranno fatti concreti, li esaminerò, li valuterò e deciderò». È già un mezzo sì all’ipotesi di fare da padre nobile. Che si candidi contro Paita sembra però improbabile anche se un «no» netto non è arrivato.
Sornionamente, il Cinese seduto su un divano del Carlo Felice — lui che è un appassionato di lirica ha alle spalle un manifesto della Vedova allegra — sottolinea che «il tempo da qui a maggio è ancora lungo». E spiega che attraverso un’associazione culturale («siamo in un teatro, no?») dirà la sua, non solo sulle Regionali: «La mia critica e il mio impegno vanno ben oltre maggio, come diceva sempre Ingrao, se lo ricorda? Allora si coniò il termine benoltrismo . Ecco, è così per me. Vado ben oltre e parlo di ben altro che del qui e ora e di un pugno di voti. Me ne vado ma non scappo. La politica continua». È stata una giornata convulsa, dal Pd hanno provato a trattenerlo. Per ore si è impegnato il segretario regionale Giovanni Lunardon, che aveva apertamente appoggiato l’ex sindacalista alle primarie («Ho tentato di fermarlo fino allo stremo», si rammarica). Poi si è mossa Roma: «Mi hanno chiamato dalla segreteria nazionale — dice Cofferati —. Non Renzi. Alla fine i dirigenti si sono mossi. E hanno offerto: parliamone. Ma di cosa? Dopo tanto assordante silenzio. Solo perché hanno letto sui giornali che me ne andavo e il problema non poteva più essere ignorato. Troppo tardi e per i motivi sbagliati».
Ora che ha provocato reazioni a valanga, si sente come l’autolesionista Tafazzi, evocato da Renzi? «No», risponde seccamente. Il governatore Burlando invece è preoccupatissimo: «Ma Cofferati vuol farci perdere?». Certo, che Paita vinca a Cofferati non sta bene. Il resto è futuro incerto. Eppure il Cinese è calmo, sorridente, raccoglie gli applausi dei supporter più convinti, il deputato Luca Pastorino che avrebbe voluto uscire subito dal Pd, l’ex sindacalista e membro della direzione nazionale Andrea Ranieri che ha perorato la causa nel silenzio di Roma. «Andarsene non è stato facile», dice Cofferati e ricorda: «Sono entrato nel Pci nel ‘73, sono stato fra i 45 fondatori del Pd. È una vita. Nel 2002 dicevano che stavo per fondare un partito, era una bufala, di partiti ce n’è fin troppi. Ma questo cambio di pelle non lo posso accettare, io a votare con i fascisti non ci vado. E poi mi sono rotto una spalla, mi fa un male del diavolo, non dormo, sto sveglio tutta la notte a pensare e forse divento anche un po’ cattivo. L’altra notte ho pensato a lungo e la conclusione l’avete sentita». Poi si apparta con Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto e, anche, possibile candidato di quella magmatica formazione che si sta delineando nelle frenetiche riunioni di questi giorni.

Nichi Vendola In Liguria hanno costruito accordi con Scajola e la destra. I dem si sono rottiQuanto accaduto è un segnale per noi: si apre un’altra fase “Adesso Sergio venga con noi insieme rifaremo un nuovo soggetto”
intervista di Giovanna Casadio Repubblica 18.1.15
ROMA «Se Cofferati fosse disponibile, attorno a lui si può ricostruire un centrosinistra vero in grado di vincere in Liguria. Paita si prenda per intero la responsabilità di avere snaturato e ucciso il centrosinistra». Per Nichi Vendola, il leader di Sel, siamo a un passaggio politico chiave, in cui «il Pd ha cominciato a rompersi».
Vendola, sapeva che Sergio Cofferati stava per lasciare il Pd?
«Non sono sorpreso da questa scelta. Percepisco il turbamento e il dolore con cui Sergio dà l’addio al suo partito, dopo avere guardato negli occhi questa nuova creatura che è il Pd di Renzi».
E cos’è il Pd renziano, secondo lei?
«Un esorcismo di ciò che è sinistra. Sinistra c’è se c’è limpidezza, chiarezza programmatica, se attorno a un programma di governo si costruisce un blocco sociale e un sistema di alleanze che rendano credibile anche quel programma. Quanto è successo nel Pd ligure, e anche sta accadendo nelle altri parti d’Italia per le regionali, è costruire alleanze che sono una Arca di Noè del trasformismo. In Liguria l’antagonista di Cofferati alle primarie, Raffaella Paita - con l’imprimatur autorevole di Roberta Pinotti e Claudio Burlando - ha costruito accordi neppure segreti con gli uomini di Scajola e con pezzi della destra compromessi anche dal punto di vista morale».
Chiederà a Cofferati di candidarsi con una lista della sinistra e di Sel?
«Se fosse disponibile, per noi è non solo una bandiera, ma resta un punto di riferimento per vincere e governare fuori dalle alleanze scellerate e nel segno della discontinuità. È incredibile la sottovalutazione che il Pd nazionale ha fatto della vicenda ligure».
Nascerà un nuovo movimento della sinistra in vista delle politiche?
«Quanto accaduto in Liguria, è un segnale per tutta Italia. Si apre un’altra fase».
Avete definitivamente deciso di non allearvi con il Pd in Liguria?
«Sarà impossibile per noi sostenere l’ammucchiata che si raccoglie attorno alla Paita».
Ma se Paita facesse un passo indietro sarebbe possibile ancora l’alleanza del centrosinistra?
«Di passi indietro ne ha fatti già, nel senso che ha abbracciato un brutto passato.
Sel si assume la responsabilità di far perdere il centrosinistra in Liguria?
«La Paita si è già assunta questa responsabilità. Se la prenda per intero» Ma una sinistra di governo è possibile rompendo con il Pd?
«La notizia oggi è che il Pd ha cominciato a rompersi dalla Liguria. Cofferati non è un ragazzo in carriera, è un pezzo della storia, uno dei simboli della sinistra italiana. È brutta inoltre tanta incredibile teppistica maleducazione negli attacchi a Sergio».
Siete accusati di settarismo?
«E perché? Con il cattivo realismo il centrosinistra ha perso tante volte e soprattutto ha perso l’anima. Siamo di fronte a passaggi politici inauditi nella loro gravità. A fine settimana prossima con Human Factor cerchiamo un rilancio forte a sinistra».
Non crede che, se il centrosinistra si spacca, scompare anche la sinistra di governo?
«Così dicevano di Tsipras, mentre il ciclopico Pasok è ora al 4%».
Proporrebbe Cofferati presidente della Repubblica?
«Non gioco al toto nomi per il Quirinale nel teatrino del Palazzo».

Il dissidente Civati: il rischio scissione cresce ogni giorno ma non ci saranno conseguenze per riforme e Quirinale
«Ora il nuovo partito a sinistra è un’ipotesi molto concreta»
«Per quanto mi riguarda, questo non è solo un fatto regionale. Fa parte di una lunga serie di episodi in cui mi sono trovato distante dall’attuale segreteria del Pd»intervista di Francesca Schianchi 
La Stampa 18.1.15Pippo Civati, molti renziani insistono nel dire che non si va via quando si è sconfitti, bisogna saper perdere…
«E’ una lettura superficiale. Il problema è ben più grosso e liquidarlo in modo così leggero contribuirà a portare persone a non votare più Pd».
Qual è il problema?
«Sull’analisi sono d’accordo con Cofferati. In questi giorni ho anche cercato qualche sponda nazionale nel Pd per una lettura critica e più rispettosa di chi non ha votato la Paita di quanto è successo, ma ho trovato il contrario. C’è un’unica cosa su cui non sono d’accordo con Cofferati».
Che cosa?
«Non è vero che c’è stato silenzio da parte della dirigenza del partito: è stato detto il contrario di quello che ci aspettavamo. Il ministro della Difesa Pinotti ha detto la settimana scorsa che con il Nuovo centrodestra già governiamo, mentre Sel è all’opposizione… Loro vogliono fare il partito se non della Nazione, della Regione, mentre noi vogliamo fare il centrosinistra».
Il problema allora non sono i seggi contestati, ma proprio la linea politica.
«Entrambe le cose. Se annulli tredici seggi non si tratta solo di un problema quantitativo, ma anche qualitativo. E non ho sentito parole di condanna rispetto ai seggi annullati. Ai tempi delle primarie a Napoli ricordo un’intervista di Orlando in cui diceva “abbiamo sentito puzza di bruciato per cui abbiamo annullato”, con questo non dico che bisognasse annullare le primarie anche in Liguria, ma mi aspettavo un atteggiamento più attento».
Cosa si aspetta che faccia ora il segretario Renzi?
«Non lo so. In Direzione ha detto “caso chiuso”: ora chiunque lo riaprirebbe, ma non so se lo farà lui».
Cresce l’ipotesi di una nuova forza a sinistra?
«E’ un capitolo aperto da tempo. La domanda è se riguarda un pezzo di Pd: in Liguria temo sia un’ipotesi molto concreta. Ed è possibile che ci siano sviluppi a livello nazionale. Per capire le conseguenze bisogna aspettare un po’».
Tra le conseguenze potrebbe esserci una sua uscita dal Pd?
«Diciamo che questa vicenda non è un aiuto a saldare i rapporti con la dirigenza del partito».
Ci saranno conseguenze nei rapporti tra minoranza e maggioranza nei prossimi appuntamenti, il voto sulle riforme e sul capo dello Stato?
«Non penso, perché nei giorni scorsi non ho rilevato da parte degli altri della minoranza una grande solidarietà verso Cofferati…».

Fassina: io resto ma molti voti andranno via
«Cofferati lo seguiranno in tanti, ma a Renzi non sembra interessare. Io resto, per cambiare rotta», dice Stefano Fassina «Preferisco combattere dall’interno. E i militanti ora alzino la voce nei circoli»
intervista di Alessandro Capponi Corriere 18.1.15ROMA Non rassegnatevi, ribellatevi; non scappate, alzate la voce. Stefano Fassina per parlare alla base usa altre parole ma il concetto è quello: adesso, dice lui, bisogna rimanere nel Pd e cambiarlo, ma dall’interno. Per farlo c’è un’unica strada: «Voglio dire agli iscritti, ai nostri più impegnati, di farsi sentire: andate nei circoli, nelle sedi del partito, e ovunque, e discutete in modo attivo, alzate la voce, dite chiaramente che questo non è il Pd che immaginammo anni fa, che questo non è il Pd che vogliamo. Dite a tutti, a voce alta, che perdere Sergio Cofferati e prendere l’ex senatore Pdl Franco Orsi, allergico alle celebrazioni della Resistenza, altro non è che una sconfitta storica».
Viceministro dell’Economia nel governo Letta, deputato, membro della direzione nazionale del Pd: le posizioni di Stefano Fassina, in merito alla linea del partito, sono note. Così quando Sergio Cofferati deve ancora ufficializzare la sua uscita dal Pd, lui ha già deciso da che parte stare.
Fassina, cosa ne pensa?
«Penso che venerdì in direzione quanto accaduto in Liguria è stato derubricato a ordinaria amministrazione, che si è gettato discredito morale su Cofferati, e Renzi ha dato l’avallo politico all’operazione: Paita ha vinto cambiando le alleanze, Pinotti ha prospettato la costruzione di un’alleanza nazionale con Ncd dentro. Un ribaltamento delle alleanze, con l’allontanamento del baricentro dalla sinistra. E, quindi, bisogna fare attenzione: non è un problema locale, e la decisione di Cofferati è indice di un malessere profondo e diffuso: Sergio è un esponente di peso al nostro interno e nel sistema politica la sua fuoriuscita può spostare voti».
Gli elettori fuggiranno?
«È già evidente l’abbandono di pezzi rilevanti di elettori. In Emilia-Romagna ne abbiamo persi 700.000, dimezzando il voto delle Europee: l’allontanamento è conclamato, ma evidentemente non interessa al segretario, il quale probabilmente è convinto di poter attrarre i delusi di centrodestra. Il problema è che non lo fa attraendoli sulla nostra piattaforma ma la cambia pur di piacere alla destra. Ciò che sta accadendo in Liguria non è che una conferma che il Pd si sposta sugli interessi più forti del Paese: l’avevamo già capito con la delega al lavoro che non dà nulla ai precari e colpisce gli altri lavoratori, con il decreto fiscale che premia i grandi evasori e colpisce le partite Iva individuali... Di certo, ecco: se continuiamo con la linea di Renzi in direzione è inevitabile che sia destinata ad ampliarsi l’area di chi abbandona il Pd. La scelta che oggi è di Cofferati è stata già fatta da un bel pezzo del nostro popolo, ma credo che a Palazzo Chigi non ne siano dispiaciuti: probabilmente la leggono come la conferma della ricollocazione del Pd verso gli interessi più forti del Paese».
Lei cosa farà?
«Io continuo nel Pd per cercare di correggere la rotta, perché quella di adesso è sbagliata sia per il Pd, sia per i lavoratori, sia per il Paese. Anzi, non solo è sbagliata: fa male sia al Pd sia al governo».
Se la situazione è così negativa come si può pensare di correggere la rotta?
«Secondo me ci sono i margini per cambiare, io spero che nell’appiattimento conformistico del nostro gruppo dirigente ci sia qualche incrinatura».
Cosa serve per correggere la rotta?
«Un impegno coerente al Pd che avevamo immaginato, la stessa coerenza, ad esempio, che hanno avuto i 40 di noi che non hanno votato la delega al Lavoro. E con l’impegno quotidiano dei nostri militanti, segretari di circolo, amministratori».


Il leader del Pasok e vice-premier
“Tsipras è come Harry Potter ma se vince ci coalizziamo”Venizelos: “Il rischio Grexit non esiste. Nessuno può cacciarci dall’Euro” La Grecia vota il 25 Manca una settimana al voto e il risultato appare quanto mai incertointervista Tonia Mastrobuoni La Stampa 19.1.15
Vicepremier Evangelos Venizelos, se Tsipras vincesse le elezioni, accettereste un’alleanza con lui?
«C’è bisogno di un governo di unità nazionale con tutte le forze democratiche, se possibile progressiste, che credano nel futuro della Grecia nell’euro. Non siamo il passepartout di chiunque. Abbiamo portato il peso e sofferto danni enormi per governare la crisi. Appoggeremo il prossimo governo se non crea rischi per il futuro della Grecia e dell’Unione europea e se segue l’unica strategia plausibile, un piano di uscita dalla crisi, in collaborazione con i nostri partner. Chi vincerà domenica dovrà allearsi ed evitare nuove elezioni: quelle sarebbero un disastro».
Chiedereste anche di rinegoziare il debito? Tsipras è il favorito e alcuni politici e banchieri centrali cominciano a dire che se ne può discutere.
«L’eurogruppo si è già impegnato a discutere come ridurre il debito, se la Grecia completa il programma. Ero ministro delle Finanze ed ebbi un ruolo di primo piano nel 2012, quando negoziammo il taglio della quota in mano ai privati, ben 180 miliardi di euro, l’80 per cento del prodotto interno lordo! Il più grande taglio del debito della storia. Abbiamo raggiunto gli obiettivi decisi dall’eurogruppo; ora dobbiamo andare avanti. Estendere i tempi di rimborso, abbassare gli interessi e fare altri interventi tecnici che rappresentano un taglio del debito. Tecnicamente, il debito è sostenibile, paghiamo il 40 per cento in meno di interessi rispetto al 2010. Il punto di dissenso con Syriza è questo: loro sostengono che la Grecia non sarà mai in grado di ripagare tutto il debito. Ma qual è il Paese che ripaga il suo debito? Ciò che lo rende sostenibile è che se ne onorino le scadenze. Nel caso della Grecia, solo il 10 per cento, circa 35 miliardi di euro, è in mano a speculatori. Il 90 per cento è in mano a Stati o istituzioni, al sicuro».
Perché Syriza è riuscito ad attirare così tanti voti del Pasok?
«Dal ritorno della Grecia alla democrazia, nel 1974, il Pasok ha governato per metà del tempo, contribuendo enormemente alla modernizzazione del Paese. Molti cittadini associano al Pasok il costante miglioramento delle proprie condizioni di vita ma non hanno riflettuto sui problemi economici emersi nel frattempo. Quando è esplosa la crisi, nel 2010, Pasok aveva appena preso in mano il governo da Nea Demokratia, dopo 5 anni di governo disastroso. Non capimmo l’enormità dei rischi che stavamo per affrontare. Per la prima volta dovemmo imporre tagli delle pensioni e degli stipendi, cancellazione dei benefici, eccetera. Poi arrivò il primo piano di salvataggio. Gli elettori non ce l’hanno perdonato. Nella testa delle persone è stato esso a creare la crisi e non viceversa. Il nostro più grande errore è stato voler affrontare quella situazione da soli, senza coinvolgere il maggiore partito d’opposizione, Nea Demokratia, responsabile di tutto ciò che era successo. Ci prendemmo l’onere dei sacrifici. E il partito estremista Syriza, con il suo 4 per cento, accolse la rabbia degli elettori. Tsipras promise il paradiso in terra senza sacrifici, un recupero della prosperità in modo magico, come se fosse Harry Potter. In più, la sua carta vincente è non aver mai governato e non essere “responsabile” della crisi. Ma è associabile alle cause che portarono ad essa».
Cosa pensa del nuovo partito di Papandreou? L’ex premier sostiene che Pasok è diventato “parte del sistema” ma sembra prendere voti dal suo partito.
«Solo il Pasok entrerà nel prossimo Parlamento. Il tentativo di sabotaggio è fallito. I greci hanno una buona memoria. Ricordano esattamente chi ha fatto che cosa negli ultimi cinque anni».
Pensa che ci sia un rischio “Grexit”? Alcuni politici affermano che non è più una minaccia, per l’area euro.
«Non esiste il Grexit. Nessuno può cacciare un Paese dall’eurozona. E’ molto irritante leggere scenari del genere sulla stampa straniera o nelle dichiarazioni di politici europei. Danneggia non solo la Grecia, ma l’euro. Questa spudorata mancanza di responsabilità deve finire ora. L’unico pericolo in Grecia è che qualcuno si comporti in maniera irresponsabile e commetta errori che ci lascino senza un soldo mentre siamo nell’euro. Essere nell’euro, senza un euro: quello sarebbe il disastro e potrebbe costringere un governo irresponsabile a considerare soluzioni disperate. Non ci voglio neanche pensare».

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