domenica 25 gennaio 2015

Recensori d'Italia: solo perché Hitler arrivò prima Stalin non riuscì a sterminare gli ebrei

La teoria del totalitarismo spiegata al popolo dalla fam. Nierenstein [SGA].

Israel J. Singer: A oriente del giardino dell'Eden. Traduzione di Marina Morpurgo, Bollati Boringhieri 2015. Collana «Varianti». Prezzo €18,50


Risvolto

Mattes Ritter è un venditore ambulante che percorre dal lunedì al venerdì le campagne della Polonia barattando cianfrusaglie con cibo, pelli e qualche spicciolo. Per poi tornare al suo villaggio, alla sua capanna e alla sua famiglia per lo Shabbat. La capanna pullula di bambine accettate solo per rispetto alla volontà divina, e di poco altro. La moglie, Sarah, è stremata dalle gravidanze e dalle fatiche domestiche. Non ci si stupisce quindi che nella nascita di un figlio maschio, Nachman, Mattes riponga le speranze di una vita, deciso a fare del piccolo un dotto e stimato rabbino.
Quando però Nachman viene sedotto da Hannah, e dalla sirena non meno potente del credo socialista, le speranze di Mattes cominciano a svanire. Ancora di più quando la bella, intelligente e avventurosa figlia Sheindel, che lavora come domestica a Varsavia, rimane incinta di un soldato russo, costringendo tutta la famiglia a trasferirsi nella grande città. Dove l’altra figlia, Reisel, incontra un destino ancora peggiore.
A Mattes, chiamato a combattere nella Prima guerra mondiale, resta solo un desiderio, che si porta dietro scritto su un pezzetto di carta: alla morte, venire sepolto come un ebreo. Ma anche questa speranza finirà in una fossa comune.
Nachman, diventato un agitatore socialista, finirà nelle prigioni polacche, e poi, rilasciato, inseguirà il suo sogno in terra sovietica, accolto a braccia aperte solo del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni. Di nuovo arrestato e poi rilasciato con l’aiuto di Daniel, un leader socialista polacco, verrà alla fine espulso dal paradiso sovietico e si troverà a vagare nella terra di nessuno tra il confine russo e quello polacco.
Autore di quel bellissimo affresco, indimenticabile per ampiezza di visione e intenti, che è I fratelli Ashkenazi, Israel J. Singer offre di nuovo il quadro di una comunità perseguitata, calpestata, ma animata da un fuoco segreto, da un fervore che motiva le azioni di ogni personaggio. Dimostrando ancora una volta una straordinaria conoscenza degli abissi della povertà, e del modo di pensare e agire di uomini prigionieri dei livelli più bassi della comunità ebraica polacca. Implicito nel racconto è il giudizio su chi permette a queste disuguaglianze e ingiustizie di esistere, in modo particolare degli ebrei prosperosi che vivono nello stesso villaggio della poverissima famiglia di Mattes.
l'autore
Israel Joshua Singer (1893-1944), polacco, fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis, esordì nel 1922 con i racconti Perle, in yiddish, e continuò a scrivere in quella lingua anche dopo che si trasferì a New York (1933). La raccolta postuma di sue corrispondenze per il quotidiano «Jewish Daily Forward», Da un mondo che non c’è più (1946), costituisce una sorta di autobiografia. I fratelli Ashkenazi, ritenuto universalmente il suo capolavoro, è stato pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2011.
Con l’opera pubblicata nel 1938 Israel Joshua Singer dipinge il ritratto di un ebreo polacco comunista in cerca del paradiso

In marcia per l’Eden il rabbino mancato arriva nell’Urss 
SUSANNA NIRENSTEIN Repubblica 25 1 2015
ISRAEL Joshua Singer, che per Harold Bloom, come sapete, è stato «assai più talentuoso » del fratello minore e premio Nobel Isaac Bashevis, alla fine degli anni Venti, dopo la ferocia delle critiche lanciate su di lui dal mondo rivoluzionario ebraico (universo a cui aveva aderito profondamente, andando nel 1918 a Mosca e tornandoci ancora come reporter sempre più perplesso e dubbioso), decise di rinunciare alla letteratura yiddish (in cui secondo i suoi nemici metteva troppa politica, e troppo poco romanticismo alla Peretz) e di dedicarsi invece al giornalismo. Quattro anni dopo, nel 1932, il ripensamento. Perché, come diceva Isaac, che allora faceva poco più del correttore di bozze, «era un narratore nato». Ed ecco il romanzo Yoshe Kalb, centrato tra sinagoghe e colori quasi fosse un affresco medievale, su un ebreo partorito dal chassidismo che, non riconoscendosi più nelle tradizioni, non riesce a trovare né un luogo, né un’identità. Fu un enorme successo, come il successivo e stupendo Fratelli Ashkenazi del 1936. E subito arrivò anche Khaver Nakhmen, ovvero “Compagno Nachman” (1938), pubblicato l’anno dopo in inglese come East of Eden, tradotto solo ora in maniera straordinariamente empatica da Marina Morpurgo.

A oriente del giardino dell’Eden (dove, secondo la Genesi, il Creatore pose i cherubini a proteggere la via all’albero della vita, ma certamente “a Oriente” anche come il sole nascente dell’Urss) è un ritorno senza appello sui temi che gli erano stati contestati poco tempo pri- ma. La prima parte del lungo racconto è dedicata a Mattes Ritter, un ambulante pio, ingenuo, devoto fino a sembrare quasi un decerebrato, un povero ebreo polacco scalzo, con la barba e gli occhi neri: non ha di che nutrire la moglie e le figlie, ma ringrazia continuamente Dio per la sua bontà. Con lui camminiamo per le pianure polacche. Con lui mangiamo tozzi di pan secco. Ci mettiamo i filatteri per le preghiere. Siamo presi in giro dai passanti gentili. Ci laviamo e ci percuotiamo con rametti di salice nei bagni pubblici dello shtetl prima dello Shabbat. Un quadro chassidico animato da una sorta di dignità, del sapere di essere nel giusto, vicini a Dio, eppure maledettamente disgraziato.
Arriva un figlio maschio, Nachman. E Mattes sogna per lui, mingherlino, schivo, un futuro da rabbino, si ingegna a nuovi sacrifici. È la figlia maggiore Scheindel a rompere lo schema tramandato da generazioni. Se ne va a Varsavia a lavorare, risparmia, si rallegra, cade nelle trappole della città, con un tocco di nobiltà d’animo che non l’abbandonerà mai.
Non vi racconteremo tutto, sta di fatto che è tutta la famiglia a spostarsi nella capitale, ad essere travolta dalle guerre mondiali e da quelle imperiali. Ma è soprattutto Nachman a cambiare. La passione che da ragazzo chiuso in se stesso aveva imparato per la religione, ora diventa amore per la lotta sociale, per il comunismo. Non pensa ad altro, non fa altro, oltre a lavorare come panettiere. Quando parla sembra un foglio di propaganda, anche con la moglie Hannah. Galera, torture, niente lo piega. Spirito temprato nell’acciaio. Finché non raggiungerà l’amata Unione Sovietica, a costo di tutto.
Dire che non ci trova il paradiso terrestre è dir poco, ma, pur abitato lentamente dal dubbio, non ha neppure il coraggio di dirsi deluso. Se la nomenklatura vieta di denunciare le ingiustizie del regime, in lui è la fede ad impedirglielo. Il personaggio di Nachman è un ritratto perfetto. Tutti sono perfetti. Di carne e ossa. Con amore, ironia, amarezza.
E quante folle, quante strade attraversiamo: i cambiamenti dell’Europa di allora travolgono uomini e donne come onde marine e non si sa dove li porteranno. Singer però vede. Così come nel ’43, un anno prima di morire, con La famiglia Karnowski aveva saputo descrivere l’atroce illusione dell’integrazione dell’ebraismo europeo prima del nazismo, così nel ’38 fotografa il tuffo di tanti ebrei nel sogno del socialismo come via di emancipazione perenne, di giustizia messianica. E l’infrangersi buio delle speranze.

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