mercoledì 21 gennaio 2015

Tra consumismo sistemico e populismo subalterno, non ce n'è uno sano

Puri da morire
La vita lontano dalle città la rinuncia alla corrente e al gas, i lunghi digiuni come quello che ha ucciso un uomo vicino a Ivrea Dagli Elfi ai “villaggi ecologici”, ecco le comunità che inseguono miti antichi fino a trasformare, talvolta i loro riti in rischi fatalidi Jacopo Ricca e Vera Schiavazzi Repubblica 21.1.15
«NON siamo matti. Potete vederlo da soli, stiamo preparando la cena ». Emelio indica le sue figlie, Louise e Ayla, che al tavolone di legno illuminato dalle luci delle candele affettano le verdure per il minestrone. In Valchiusella, sopra Issiglio, non vive solo la coppia francese che ha portato all’estremo i digiuni di purificazione, con la morte di Alain Roussé. Qualche tornante dopo la loro casa, percorrendo una strada sterrata, si raggiunge Ravenwood, l’ecovillaggio. Un insieme di case, roulotte e tende dove abita poco più di una dozzina di persone che ha scelto di vivere secondo gli insegnamenti di Anastasia, una donna russa che ha scritto diversi libri sulla vita «a contatto con la natura».
Della morte di «Djesaelè», il nome preso da un rivo qui vicino da Alain Fourré, sanno poco o nulla: «Ne siamo rimasti sconvolti e molto intristiti» racconta un po’ in inglese e un po’ in italiano Emelio, giacca tecnica e lampada frontale per illuminare dove mette i piedi nel buio del bosco. La scelta del digiuno non vuole commentarla: «Sono decisioni molto personali, ma non fanno parte di riti. La nostra è una vita il più possibile a contatto con la natura, crediamo nella pace e nell’amore». Dopo più di quarant’anni in Germania, Emelio ha deciso di abbandonare tutto e con la sua famiglia si è trasferito tra le montagne del Piemonte: «Abbiamo deciso di abbandonare tutte le pene che ci impone la società e tornare a uno stile più vicino a quelli che sono i reali bisogni dell’uomo». In casa loro non c’è acqua corrente, né elettricità, «ma metteremo dei pannelli fotovoltaici appena possibile». Una scelta estrema che sua moglie Freya considera estremamente razionale: «Può darsi che in futuro tutti saranno costretti a portare avanti una vita simile alla nostra, se non sarà per una catastrofe sarà per la crisi economica ». In Valchiusella stanno utilizzando i risparmi di tutta la vita per vivere, e mentre il loro figlio più piccolo frequenta la scuola loro coltivano, cercano di rendere più confortevole la loro casa e «si avvicinano alla natura ». Sul sito di Ravenwood si parla di un rapporto con la «sacra fonte», la Sorgente Bianca che ha una «connessione energetica » con una fonte simile a quella di Glastonbury in Inghilterra: «Il guardiano della fonte è una donna e si chiama Mary», ma nessuno degli abitanti risponde a questo nome. Una setta? Non proprio: «Qui viviamo con uno stile simile e certamente siamo contenti quando c’è il solstizio o la luna piena torna a sorgere — spiega Emelio — Ringraziamo la natura per questo e magari andiamo anche nel bosco ad accendere delle candele per celebrare lo scandire delle stagioni, ma la nostra è una scelta sia di cuore che di razionalità ».
L’ecovillaggio di Issiglio non è certamente l’unico in Italia dove si vive senza luce o senza gas, dove si mangiano solo le cose coltivate intorno a sé o i frutti selvaggi e dove si pratica una vita totalmente alternativa a quella delle città, dei supermercati, del lavoro a orario fisso e del cibo globale. L’idea della purezza, di modi di vivere che spesso si richiamano al passato o addirittura si ispirano alle storie di Tolkien, l’abbandono del cibo “deperibile” e del consumo indiscriminato sono all’origine di moltissimi modi di vivere. Nei villaggi, appunto, ma anche nelle città, dove si moltiplicano gli adulti che credono nelle medicine energetiche anche e soprattutto quando si tratta dei bambini. «È un fenomeno molto più diffuso di quanto crediamo, che in qualche modo dovrebbe preoccuparci — racconta lo scrittore Marco Franzoso, che col suo Il bambino indaco (Einaudi) ha ispirato il film Hungry Hearts - Ho frequentato alcune di queste persone che cercavano di nutrirsi il meno possibile, convinte dell’idea che fosse ragionevole vivere di luce o non curare, ma anzi accogliere, le proprie malattie. Qualcuno nel tempo era morto, qualcun altro non poteva più camminare e aveva perso il lavoro. Casi estremi? Forse sì, ma che non sembrano esserlo più quando anche nelle grandi città senti parlare di bambini indaco, e poi arcobaleno, e poi cristallo, e di come la pranoterapia li avrebbe guariti benissimo dall’influenza ». L’idea è quella che il cibo «commerciale» sia da bandire, da sostituire magari con le cose crude o con le noci e le bacche che si possono raccogliere. Forse, alla fine, dietro a questi comportamenti c’è un desiderio narcisistico che non riesce neppure ad accogliere i bambini per quello che sono, creature bisognose di cibo e di carezze.
Sull’Appennino Pistoiese vive una delle più longeve comunità alternative d’Italia, che per trattare con le amministrazioni pubbliche e dotarsi di un’identità ha deciso di ribattezzarsi Comunità degli Elfi. Nati negli anni 80, gli Elfi vivono come i contadini di sessanta o settanta anni fa a Pesale, un paesino ormai abbandonato al confine tra la Toscana e l’Emilia, ribattezzato Gran Burrone. «Abbiamo sempre respinto ogni tentativo di integrarci in un progetto, per noi è meglio l’autosufficienza», dice Mario Cecchi, un elfo anziano, membro del Movimento comunitario italiano che raccoglie molte di queste realtà.
E poi ci sono case editrici come Mediterranee o periodici come la Nuova Terra che propagandano l’accostamento tra medicine non tradizionali e oncologia, o il crudismo come unica alternativa all’obesità, reti come la Famiglia Rainbow che propone «un nuovo modo di vivere in un luogo con caratteristiche adatte, selvatico, lontano dalle strade» e attribuisce valore «alla madre terra più che al materialismo». C’è la Rive, Rete italiana villaggi ecologici, dove ogni villaggio è un “laboratorio”, e il Cir, Corrispondenze e informazioni rurali, che vuole organizzare un bagaglio di conoscenze del popolo contadino. Ma ci sono anche i seguaci di Jasmusheen, la donna australiana che dal 1993 «vive di aria e di luce», sostenendo che il prana sia la forma di energia già tramandata dai cinesi e che negli anni ha conquistato sempre più ammiratori, non ultime due donne che in Svizzera e in Scozia sono morte per imitarla. E ci sono i digiuni rituali, spesso di ventuno giorni, ai quali si può essere invitati: a Piacenza si possono «seguire soggiorni igienisti individuali o di gruppo », durata minima una settimana, prenotazione via email. Il digiuno, con pratiche di avvicinamento e altre di allontanamento, è praticato negli ecovillaggi come in tante cliniche di rémise en forme, con assistenza e terapie mediche o alla fai da te, come dev’essere capitato nella casa di Alain Fourré. Ma le filosofie che le ispirano sono le stesse: rinascita, amore spirituale, contatto con la natura. Teorie talvolta salubri, quando si coltiva e si vuole soltanto staccarsi dalla stretta cittadina. Ma talvolta micidiali, quando si ha un obiettivo spirituale e ci si rifiuta di nutrirsi.

Nessun commento: