domenica 29 marzo 2015

L'archivio di Edoardo Sanguineti

Risultati immagini per edoardo sanguinetiAutoritratto in un archivio 

Trentacinquemila libri raccontano Sanguineti ma rimangono senza sede. E Zanzotto resta a casa

Domenica 29 Marzo, 2015 LA LETTURA © RIPRODUZIONE RISERVATA

Pensare che le carte di due tra i maggiori poeti del Novecento, come Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto, non sono ancora consultabili, dà un po’ di tristezza. Sanguineti, morto nel 2010, aveva destinato la sua biblioteca alla città di Genova: sua moglie Luciana Garabello ha sottoscritto nel 2012 un accordo con il Comune, che ha concesso in comodato d’uso gli oltre 35 mila volumi alla Biblioteca universitaria. 
Da allora, i primi scatoloni con 7 mila libri sono stati traslocati ma sono rimasti chiusi in attesa degli scaffali, il cui arrivo è stato bloccato per 18 mesi da bandi e ricorsi vari. La maggior parte dei libri, dunque, rimane in casa Sanguineti, così come le 12 enormi scatole gialle e grigie con centinaia di manoscritti, taccuini, epistolari di grande valore culturale, a cominciare da quelli con Pavese e Ungaretti, preziosi libri d’arte, composizioni giocose di artisti, tra cui Baj, Guttuso e Berio, persino una decina di quadri firmati da Carol Rama. Un tesoro che non è ancora stato destinato, in attesa che si sblocchi il grottesco caso degli scaffali. Intanto Federico, il figlio del poeta, dantista di fama, si è dimesso dal Comitato scientifico per protestare contro le inadempienze della Biblioteca. 
Diversa la vicenda Zanzotto: il Centro Manoscritti di Pavia sarebbe pronto ad accogliere tutto (già detiene i manoscritti delle poesie consegnati in vita dall’autore), ma la situazione conflittuale tra gli eredi impedisce una soluzione. Così, le carte delle prose e il gigantesco corpus dei carteggi sono inaccessibili. 
Si tratta di due casi esemplari: negligenza delle istituzioni da una parte e problemi familiari dall’altra. I lasciti documentari dei protagonisti della cultura letteraria del Novecento hanno spesso una vita difficile. Intanto, L’autore e il suo archivio (edito da Officina Libraria, pagine 215, e 25), un bel volume con interventi di studiosi vari, a cura di Simone Albonico e Niccolò Scaffai, affronta, in una nuova prospettiva, alcuni argomenti sensibili relativi a questi «organismi complessi» che costituiscono un intreccio di pubblico e privato. Fondi che finiscono per riflettere interi percorsi esistenziali e intellettuali e che permettono di ricostruire contesti di cultura altrimenti ignoti. 
Sono veri e propri autoritratti d’autore, come li chiama Myriam Trevisan, che possono nascere da una cura maniacale, da un’attenzione parziale o da una generale trascuratezza e che sono destinati a diventare fonti storico-letterarie sorprendenti. Da memoria di sé a memoria-fonte. All’ordine o al disordine d’autore si aggiungono in genere gli interventi postumi dei parenti, spinti da un’ampia gamma di sollecitazioni tra il sentimentale e il banalmente economico a imporre criteri propri. Il che rischia di compromettere l’opportunità di trarre informazioni essenziali. 
E ci sono anche le biblioteche, a dirci passioni e idiosincrasie intime: Niccolò Scaffai si sofferma suoi modi di conservare gli autografi da parte di Montale, autore tutt’altro che «archiviomane», ma guardando alla collezione di libri del poeta (conservata alla Sormani di Milano) osserva che la frequenza di dediche «può funzionare anche come una sorta di mappa del campo letterario al centro del quale Montale si collocava». Per esempio, sarà utile apprendere che le dediche di Pasolini vanno diradando con gli anni e che tra gli esponenti del Gruppo 63 solo Eco gli invia volumi con dedica. E un ricco patrimonio di indizi proviene anche dalle postille aggiunte ai libri posseduti. 
Trattando di Carlo Emilio Gadda, Claudio Vela segue «i materiali superstiti della sua vita di uomo e di scrittore», distribuiti in una pluralità di archivi tra i luoghi della sua biografia, Milano, Firenze e Roma, a cui si aggiunge dal 2010 la «scoperta» straordinaria del fondo posseduto a Villafranca di Verona dall’erede Arnaldo Liberati, nipote della governante dello scrittore. Ordinamenti sistematici voluti dall’autore (fondamentale quello del 1933) e poi altri tentativi successivi mostrano l’angoscia crescente per quel «cumulo delle memorie» sentito come sempre più caotico e indomabile. In altri casi il «fanatico bisogno di ricostruire» si impone: e come dimostra Chiara Lungo, Luigi Meneghello è il suo archivio, e l’archivio è Meneghello tale e tanta è l’ossessione autorappresentativa dello scrittore di Malo, che non a caso produsse diversi volumi di Carte. E poi: anche Gianfranco Contini, Giorgio Manganelli, Enrico Filippini, Vittorio Sereni e altri ancora vengono raccontati nel rapporto con il loro archivio, inaugurando così un nuovo possibile filone di studi che promette sviluppi proficui. 
Sono tante le ragioni che dovrebbero fare della cura degli archivi d’autore un impegno civile sistematico e coordinato, come del resto avviene in altri Paesi. Basti citare la Svizzera, dove per altro risiedono fondi importanti di autori italiani: Giuseppe Prezzolini, Ennio Flaiano e Guido Ceronetti sono espatriati, come si sa, a Lugano. E mentre Giovanni Testori e Lalla Romano hanno «amici» e/o eredi fedelissimi che se ne preoccupano, non si sarà mai abbastanza grati a istituzioni che sono veri «scrigni della memoria» e laboratori di studio, come lo storico Gabinetto Vieusseux di Firenze e la Fondazione Mondadori di Milano, il Centro Manoscritti creato quarant’anni fa da Maria Corti a Pavia e il milanese Centro Apice, nonché l’Archivio della Fondazione del «Corriere della Sera», che raccolgono preziosissimi fondi di autori e di case editrici. L’elenco non potrà mai essere completo, e me ne scuso, ma a sentire i vari responsabili i problemi restano comuni e coincidono soprattutto con tre voci: 1. risorse, 2. personale, 3. spazi. 
I 140 scatoloni di un altro autore non feticista e anzi piuttosto disordinato, Mario Luzi, arriveranno al Vieusseux nei prossimi giorni. La direttrice, Gloria Manghetti, è felice di aggiungere Luzi ai fondi dei grandi poeti del Novecento, Ungaretti, Caproni, Betocchi, Tozzi, Pratolini, Pasolini e dei critici, da Cecchi a Baldacci a Debenedetti, quasi a ricreare un ambiente culturale coerente. Senza dimenticare che alla stessa sede fiorentina Arbasino ha già promesso l’archivio, la biblioteca e i mobili del suo studio. Maria Antonietta Grignani, che al Centro pavese ha raccolto la difficile eredità della sua maestra Corti, non nasconde l’orgoglio delle nuove acquisizioni (Gilberto Finzi, Marcello Venturi, Romano Bilenchi, Carla Cerati); alla traduzione letteraria, con al centro la figura dell’anglista e poeta Roberto Sanesi, è dedicato il nuovo numero della rivista «Autografo», che da sempre accoglie gli studi usciti dall’archivio di Pavia. E Grignani segnala il continuo aggiornamento digitale degli inventari, disponibili in Rete. 
Quello del «Corriere» è indubbiamente un archivio sui generis, come spiega il direttore della Fondazione, Roberto Stringa: essendo cresciuto nel corso di oltre un secolo su un ventaglio enorme di tematiche e interessi, presenta un patrimonio di documenti da cui è possibile trarre informazioni incrociate, tra cultura, economia, arte, società, giornalismo, editoria, l’intreccio di relazioni intellettuali che innerva la storia culturale italiana. Si pensi ai materiali iconografici (illustrazioni, disegni originali, bozzetti preparatori delle testate periodiche, milioni di fotografie) e al patrimonio delle case editrici. Ma si pensi anche alle singole personalità: Fernanda Pivano, il cui archivio è appena stato acquisito, o protagonisti del giornalismo come Oriana Fallaci e Enzo Biagi, i cui lasciti sono disponibili in via Solferino con quello, tra gli altri, dello scrittore e artista Emilio Tadini. 
Luisa Finocchi, che dirige da vent’anni la Fondazione Mondadori, ha da poco concluso i lavori sull’imponente archivio del critico teatrale Franco Quadri (Ubu Edizioni comprese), si appresta ad acquisire le carte e la straordinaria biblioteca di Vincenzo Consolo e annuncia che nel polo archivistico lombardo di Morimondo, dove la Fondazione dispone di 2.500 metri lineari attrezzati, si aggiungeranno i fondi dell’editore Tiziano Barbieri e di Rosellina Archinto. 
Resta l’invito a riflettere su alcune questioni aperte: il rapporto con gli eredi; l’impostazione della conservazione che incide sulla lettura dei materiali; la coerenza dei filoni di ricerca per ogni archivio; la necessità di affidarsi alla figura «laica» dell’archivista; la crescente attenzione al coordinamento digitale nazionale; le risorse sempre più scarse in una fase di moltiplicazione dei documenti scritti indispensabili alla coscienza e alla memoria collettiva.  © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: