lunedì 4 maggio 2015
La ricostruzione dell'Europa borghese nel libro di Simona Colarizi sul Novecento
Simona Colarizi: Novecento d’Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza, Laterza
Risvolto
La storia del Novecento in Europa parte da est, dai grandi imperi
multietnici dove le idee di nazione rompono gli equilibri secolari,
innescano le scintille di due devastanti conflitti e portano alla
distruzione di tutte le potenze europee, un tempo padrone del mondo.
Vista così, l'Europa del Novecento è un continente incendiato e
distrutto, ricostruito e nuovamente disseminato di rovine, povertà,
ingiustizie, massacri, odi e orrori. Eppure cento anni di divisioni non
hanno spento la civiltà europea, né interrotto il percorso per
l'affermazione dei valori democratici, né soffocato la speranza di un
futuro di giustizia e di benessere per tutti. La storia di questo secolo
in Europa è anche il racconto del coraggio di donne e uomini che negli
ideali di libertà e nei diritti hanno creduto. È la storia del riscatto
dalla povertà e dall'oppressione di milioni di europei che acquistano
coscienza di sé, istruzione, piena cittadinanza e pari diritti. È anche
il racconto di una civiltà che cambia sulla scia di due rivoluzioni
industriali e di una terza tecnologica e informatica: le prime segnano
la scomparsa del mondo contadino, mentre l'ultima, dalla fine degli anni
Settanta, marca l'avvento di una nuova era post moderna, l'era della
comunicazione e della conoscenza.
Il libro di Simona Colarizi Novecento d’Europa
di Antonio Carioti Corriere 4.5.15
A cominciare dalla questione sociale e dal mutamento della condizione
femminile, sono diversi i fili conduttori che innervano il libro di
Simona Colarizi Novecento d’Europa (Laterza, pagine 483, € 25), un’ampia
sintesi delle vicende che il nostro continente ha attraversato nel
secolo scorso. L’autrice fornisce un ricco resoconto dei fatti politici e
dei conflitti bellici, materia quanto mai complessa e difficile da
padroneggiare lungo un arco di ben cento anni, ma al tempo stesso
esplora le trasformazioni dell’economia, della cultura, del costume,
poiché la storia non può essere considerata solo dal punto di vista dei
governanti, in quanto concerne direttamente anche l’esistenza quotidiana
dei governati.
Si può dire anzi che il Novecento, non solo in Europa, si caratterizzi
nettamente come il secolo in cui le masse fanno irruzione nella vita
pubblica. Tanto che le quattro epoche in cui Simona Colarizi suddivide
il XX secolo sono costantemente percorse dalla dialettica tra domande di
partecipazione e spinte oligarchiche.
Si comincia con «l’età dell’illusione», tra il 1900 e il 1918. Periodo
nel quale un’Europa che sembrava avviata stabilmente sulla via del
progresso scientifico e sociale incappa invece nell’immane tragedia
della Prima guerra mondiale. Non solo perché lo sviluppo aveva destato
tensioni difficili da governare, ma perché l’evoluzione liberale e
democratica dei sistemi politici era ben lontana dal realizzarsi
appieno. Cruciale per esempio, nel meccanismo che conduce allo scoppio
del conflitto mondiale, è l’influenza di una casta sottratta al
controllo popolare come i militari di ogni nazione, che nella crisi
dell’estate 1914 si mostrano, nota Simona Colarizi, «decisi a cogliere
l’occasione per vivere il loro momento di massimo potere, cioè la
guerra».
Furono autentici apprendisti stregoni, perché la terribile
conflagrazione che ne seguì spalancò le porte a quella che l’autrice
chiama «l’età dell’odio», tra il 1918 e il 1940. L’esperienza traumatica
delle trincee aveva trasformato milioni di giovani «in killer
potenziali, in preda a un’agitazione continua». E la loro pressante
domanda di partecipazione, che non poteva certo esprimersi nell’alveo
della democrazia parlamentare, trovò una risposta nell’ascesa dei regimi
totalitari, dispotici e strutturalmente aggressivi. Non poteva che
scaturirne un’altra guerra, ancora più distruttiva.
Eppure la fase che si apre nel 1940, al culmine dell’espansione nazista
in Europa, non è solo «l’età della disperazione», ma anche quella «della
speranza». Benché il continente esca distrutto e diviso dall’immenso
carnaio provocato dal Terzo Reich, benché non conti più come un tempo
negli equilibri geopolitici del pianeta, ormai dominati dal duopolio tra
Stati Uniti e Unione Sovietica, gli anni successivi, almeno per
l’Europa occidentale, sono l’epoca aurea dello sviluppo, della
democrazia e del Welfare. Si afferma un modello keynesiano — sposato in
pieno dai partiti socialdemocratici, ma anche da buona parte delle forze
moderate, specie quelle di matrice cattolica — che coniuga le libertà
individuali con l’intervento dello Stato a protezione del cittadino.
Sembrava la quadratura del cerchio, ma portava con sé i subdoli germi di
un’ulteriore crisi. Infatti il ruolo crescente della mano pubblica
comporta l’ascesa di una nuova oligarchia burocratica e tecnocratica,
alla quale gli organi rappresentativi finiscono per delegare gran parte
delle decisioni più rilevanti, comprese quelle che toccano da vicino la
vita delle popolazioni. Il caso più eclatante in questo senso è
l’integrazione europea, che procede con notevole successo a partire
dagli anni Cinquanta, ma sconta un forte deficit democratico, destinato a
pesare sempre di più con il passare del tempo e con l’affievolirsi dei
ritmi di crescita dell’economia.
Secondo Simona Colarizi nel 1960 si apre dunque un’«età
dell’incertezza», nella quale ancora viviamo: mentalità e tradizioni di
antica data sono state travolte da mutazioni impetuose; un impero
gigantesco e apparentemente solido come quello sovietico si è
sbriciolato; i limiti del modello industriale fordista e dello Stato
sociale sono venuti alla luce anche nei Paesi più ricchi ed efficienti
del Nord Europa.
Soprattutto è entrata in crisi la politica, che ha perso gran parte del
suo richiamo sotto il profilo ideale e si è ridotta a gestione mediatica
del consenso, mentre le scelte di sostanza sono sempre più
condizionate, se non dettate, da poteri finanziari tutt’altro che
trasparenti. Anche se quasi nessuno mette in discussione apertamente le
istituzioni rappresentative, si è aperta «una forbice sempre più ampia»
tra i cittadini e la classe dirigente, che preoccupa Simona Colarizi. Il
contrasto tra aspirazioni democratiche e meccanismi verticistici di
governo, che accompagna tutto lo svolgimento del suo libro, permane
infatti come una tensione irrisolta dalle forme cangianti. E proprio per
questo più insidiose.
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