sabato 23 maggio 2015

Un viaggio nelle terre della Serenissima nel 1483

Marin Sanudo: Iti­ne­ra­rio per la Ter­ra­ferma vene­ziana (1483), a cura di Gian Maria Vara­nini, Viella, pp. 686 euro 50

Risvolto

Nella seconda metà del Quattrocento la Repubblica di Venezia era uno degli stati più potenti ed estesi d’Italia: la sua Terraferma comprendeva – dalla Lombardia orientale al Trentino meridionale, dal Veneto al Friuli – città e distretti tra i più ricchi, vivaci e popolosi della pianura padana e delle Alpi.
Questi territori sono descritti con straordinaria freschezza nel celebre testo qui riproposto: un diario di viaggio che un testimone d’eccezione, il diciottenne Marino Sanudo (in seguito fra i maggiori storici e cronisti del suo tempo), redasse in volgare nel 1483-1484, dopo aver accompagnato un gruppo di alti magistrati veneziani nel loro tour d’ispezione della Terraferma (inclusa l’Istria) per accogliere le richieste di appello dei sudditi. Si tratta di una testimonianza di particolare interesse non solo storico, ma anche culturale e linguistico: una manifestazione importante della “civiltà” veneziana colta in uno dei momenti più significativi della sua storia.
Il volume comprende una serie di saggi introduttivi e il testo critico dell’Itinerario – pubblicato per la prima e unica volta nel 1847 –, accompagnato da un ricco e aggiornatissimo commento di Gian Maria Varanini che dà conto, località per località, degli studi che sono stati condotti negli ultimi decenni. 


La Serenissima va alla guerra 


Scaffale. «Itinerario per la Terraferma veneziana» di Marin Sanudo, scritto nel 1483, torna nell'edizione critica di Gian Maria Varanini, con il commento di altri studiosi della città quattrocentesca, per Viella 
Marina Montesano il manifesto 23.5.2015Alla fine del Quat­tro­cento, Vene­zia era divisa tra istanze dif­fe­renti: con i tur­chi che ave­vano con­qui­stato Costan­ti­no­poli nel mag­gio del 1453 e can­cel­lato l’impero bizan­tino, nes­suna potenza cri­stiana poteva sot­trarsi all’obbligo di ade­rire alla Santa Impresa. Ma la Sere­nis­sima Repub­blica di San Marco, tal­lo­nata dalla con­cor­renza geno­vese e cata­lana, aveva troppi inte­ressi dalla vec­chia capi­tale impe­riale alle isole dell’Egeo fino ai porti del delta del Nilo per potersi per­met­tere il lusso d’inimicarsi sul serio chiun­que domi­nasse gli Stretti e desse segni con­creti di esten­dere la sua potenza dalla Siria ai Balcani.

La presa della città, certo, era stata una tra­ge­dia per tutte le comu­nità cri­stiane occi­den­tali. Anche il «bailo» Gio­vanni Minotto vi aveva perso la vita. Ma Vene­zia aveva fretta di rial­lac­ciare rap­porti: temeva che la rivale Genova la pre­ve­nisse, strap­pando con­di­zioni com­mer­ciali migliori. L’ambasciatore Bene­detto Mar­cello ottenne quindi da Mao­metto II I’insediamento di un nuovo «bailo». Tut­ta­via la morte del sul­tano, nel 1481, sem­brò dira­dare le ombre costi­tuite dal peri­colo turco. Vene­zia ne appro­fittò imme­dia­ta­mente per ripren­dere il pro­getto di espan­sione in ter­ra­ferma, per­se­guito costan­te­mente già dal secolo precedente. 
Ai primi del Quat­tro­cento, con la crisi dello stato mila­nese suc­ces­siva alla scom­parsa di Gian­ga­leazzo Visconti, i vene­ziani cre­det­tero giunto il loro momento per quanto riguar­dava l’espansione verso il nord, l’ovest e il sud-ovest: insomma verso la ter­ra­ferma. All’interno del ceto diri­gente vene­ziano l’opinione era divisa fra quanti con­si­glia­vano la poli­tica d’espansione in ter­ra­ferma e quanti, al con­tra­rio, insi­ste­vano sulla neces­sità di ripren­dere la tra­di­zio­nale linea della pre­senza in Oriente, dove le posi­zioni vene­ziane erano minac­ciate dalla con­cor­renza geno­vese e dall’avanzata otto­mana in Ana­to­lia e nella peni­sola bal­ca­nica. Nel 1423 divenne doge di Vene­zia Fran­ce­sco Foscari, il quale inau­gurò un lungo dogato, che sarebbe giunto al 1457: era il lea­der della fazione soste­ni­trice dell’espansione in ter­ra­ferma e della neces­sità di bat­tere la potenza mila­nese; e, sic­come pro­prio in que­gli anni la Milano viscon­tea era in fase di vigo­rosa atti­vità, Vene­zia si dette subito da fare per susci­tare una nuova Lega anti­vi­scon­tea, alla quale par­te­ci­pa­rono gli Estensi di Fer­rara, i Gon­zaga di Man­tova, il mar­chese di Mon­fer­rato, il duca di Savoia, la repub­blica di Firenze. 
Tale alleanza fu ege­mo­niz­zata e diretta dai vene­ziani, i quali ripor­ta­rono alcune vit­to­rie (come quella della bat­ta­glia di Maclo­dio del 1427), ma soprat­tutto riu­sci­rono a non risen­tire quasi per nulla della guerra, il peso mili­tare della quale era soste­nuto prin­ci­pal­mente dai loro alleati, men­tre quello finan­zia­rio gra­vava essen­zial­mente su Firenze. Furono d’altronde pro­prio i suc­cessi con­se­guiti dalla ener­gica poli­tica fosca­riana, che non tro­vava più un argine nello stato lom­bardo dopo il tra­collo di que­sto ai tempi dell’esperimento repub­bli­cano del 1447–50, a con­si­gliare i fio­ren­tini a tra­sfe­rire il loro appog­gio allo Sforza, nuovo padrone della Lom­bar­dia, in modo da ten­tare di rie­qui­li­brare la situazione. 
Dopo la morte di Mao­metto II, come detto, Vene­zia sem­brava poter con­si­de­rare estinto il peri­colo imme­diato e rivol­gersi nuo­va­mente all’entroterra, minac­ciando il ducato estense di Fer­rara che era feudo della Chiesa. Ne derivò un con­flitto durato due anni, dal 1482 al 1484. Sta­volta, a con­tra­stare il suo dila­gare, furono insieme Firenze, Milano e Napoli: Vene­zia dovette pie­garsi a fir­mare la pace di Bagnolo (1484), che le fece tut­ta­via gua­da­gnare il Pole­sine di Rovigo. 
È in que­sto con­te­sto di guerre che oppo­ne­vano le prin­ci­pali potenze dell’Italia centro-settentrionale che si col­loca l’Iti­ne­ra­rio per la Ter­ra­ferma vene­ziana, com­po­sto da Marin Sanudo nel 1483, che oggi pos­siamo leg­gere nell’edizione cri­tica di Gian Maria Vara­nini, con il com­mento suo e di altri stu­diosi della Vene­zia quat­tro­cen­te­sca (Viella, pp. 686 euro 50). Marin Sanudo il Gio­vane (il suo omo­nimo avo detto detto «il Vec­chio» era pure stato cro­ni­sta di rilievo) è noto soprat­tutto per i suoi volu­mi­nosi diari, che riper­cor­rono gli anni dram­ma­tici delle guerre con­tro la Lega voluta dal papa, del nascere della Riforma pro­te­stante, del sacco di Roma, delle lotte tra Carlo V e Fran­ce­sco I, dell’avanzata dei tur­chi nei Bal­cani e nell’Egeo e della prima parte del regno di Soli­mano il Magni­fico. Nell’Itinerario lo cono­sciamo gio­va­nis­simo (era nato nel 1466) alle prese con una descri­zione dei domini vene­ziani di ter­ra­ferma che soprende per l’attenta osser­va­zione del pae­sag­gio natu­rale e umano: una novità della cul­tura uma­ni­stica, per­fet­ta­mente inter­pre­tata da un talento che appare già maturo nono­stante l’età.
L’Iti­ne­ra­rio per la Ter­ra­ferma vene­ziana è dun­que un volume impor­tante, gra­zie anche all’apparato che l’accompagna, tanto per la sto­ria politico-amministrativa di Vene­zia, quanto per lo stu­dio della cul­tura dell’umanesimo italiano.

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