giovedì 24 settembre 2015

L'Italia nei documenti sovietici 1953-1970


Risvolto
 Alla morte di Stalin la leadership sovietica elaborò una politica estera più flessibile rispetto al passato, dando avvio a una nuova fase nella guerra fredda volta a perseguire la distensione tra i blocchi. A una politica bipolare aggressiva si sostituì gradualmente una nuova forma di competizione tra sistemi, nella quale l’Italia tentò di ritagliarsi spazi di azione “originali”, che rispondevano all’ambizione di giocare un ruolo di mediazione nelle relazioni tra Est e Ovest. La presenza di un grande partito comunista, l’eccellenza del «made in Italy» e la preparazione alla formula del centro-sinistra sin dalla metà degli anni Cinquanta suscitarono le attenzioni del Cremlino e innescarono nuove dinamiche nelle relazioni bilaterali. Maturò così un fitto intreccio di rapporti fra dirigenti sovietici – Chruščëv, Gromyko, Brežnev, Kosygin, Suslov – e i protagonisti politici italiani del tempo: Gronchi, Fanfani, Moro, Togliatti, Berlinguer. La nuova stagione corrispose anche all’espansione di grandi gruppi imprenditoriali italiani in Urss, fra tutti Eni e Fiat, che, guidati da Mattei e Valletta, svolsero la funzione di importante trait d’union tra politica ed economia.
La raccolta di documenti inediti provenienti dall’Archivio del Comitato Centrale del Pcus permette di ricostruire il punto di vista sovietico su quegli anni e analizzare da una nuova prospettiva diversi snodi della storia italiana del dopoguerra. Il ’56, la crisi di Berlino, la nascita del centro-sinistra, i legami Pci-Pcus, il ’68, sono solo alcuni dei temi che le pagine della raccolta permettono di approfondire.



No a Pertini, e Togliatti dettò la linea a Mosca 
8 gen 2016  Corriere della Sera Di Marco Gervasoni © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Nell’Italia della guerra fredda gli uni vivevano l’Urss come una presenza incombente, gli altri come una risorsa, entrambi convinti che a Mosca il Pcus fosse ossessionato da Roma. Tutt’altro sembrano dire invece i documenti degli archivi sovietici dal 1953 al 1970, scoperti, tradotti e pubblicati integralmente, da Fabio Bettanin, Michail Prozumenscikov, Adriano Roccucci e Alessandro Salacone, nel loro volume L’Italia vista dal Cremlino (Viella). 
Come gli studiosi scrivono nell’introduzione, l’Urss non annetteva eccessiva importanza al nostro Paese, considerato un fronte minore nella guerra fredda, semmai interessante per i rapporti commerciali, cominciati con il fascismo e che persino Stalin dopo la guerra non vedeva l’ora di riprendere. Almeno per il periodo coperto dal volume, neppure sul piano politico il Cremlino nutriva troppe illusioni riguardo la possibilità di cambiare la situazione. Tanto che, con l’avvio della distensione, l’Urss cominciò a interloquire direttamente con soggetti gravitanti attorno ai partiti di governo, oltre che con il Pci. 
Mosca era soprattutto interessata a che Togliatti e poi Longo mantenessero il controllo totale sull’opposizione e sulla sinistra. Da qui le preoccupazioni nei confronti dell’autonomismo di Nenni. Quando però l’ambasciatore sovietico nel 1957 informò Togliatti che i carristi, i socialisti filocomunisti ostili a Nenni, stavano per scalzare il segretario socialista per mettere al suo posto Pertini, più gradito dal Pcus, Togliatti bloccò l’operazione: Pertini per lui era «poco adatto a quel posto a causa del nervosismo e del comportamento incoerente». 
Un esempio di come il leader comunista non prendesse ordini da Mosca, ma semmai spesso ne desse, essendo una personalità centrale del vertice comunista mondiale. Un ruolo che il suo successore non aveva né la forza né l’autorevolezza per ricoprire: da qui i giudizi spesso poco positivi dei sovietici nei confronti di un Pci già in mezzo al guado, da qui la ricerca di nuovi interlocutori.

L’Italia vista dal Cremlino. Gli anni della distensione negli archivi del Comitato centrale del PCUS 1953-1970, a cura di Fabio Bettanin, Michail Prozumenščikov, Adriano Roccucci, Alessandro Salacone, Viella

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