martedì 24 novembre 2015

La fine della vecchia Europa, già un secolo fa

Hotel Sacher. L’ultima festa della vecchia Europa
Monika Czernin: Hotel Sacher. L’ultima festa della vecchia Europa, Edt,

Risvolto

Nella Vienna di metà Ottocento, Anna Fuchs, figlia di un macellaio, sposa Edouard Sacher, figlio dell'inventore della celeberrima torta Sacher e proprietario di un elegante albergo con ristorante situato di fronte all’Opera, sulla Ringstrasse. Nel giro di pochi anni, «Frau Sacher», com’era universalmente conosciuta, diventa l'equivalente femminile di César Ritz, una della figure leggendarie della storia dell’hôtellerie e dell’ospitalità: con polso d'acciaio, buon gusto e intelligenza imprenditoriale trasforma il suo albergo nel simbolo di un’epoca indimenticabile della cultura, dell'arte e del buon vivere europeo: l’Hotel Sacher.
Monika Czernin racconta la storia del periodo d’oro di questa vera “istituzione” del turismo e della vita sociale, dagli anni ’70 dell’Ottocento alla fine delle Prima guerra mondiale, nella forma di una biografia di Anna Sacher: i personaggi che popolano queste pagine sono gli Asburgo, i Metternich, i Rothschild, Arthur Schnitzler, Gustav Mahler, Karl Wittgenstein, Gustav Klimt, Richard Strauss, Max Reinhardt, gli Ephrussi, i Castiglioni, insomma tutto quel mondo di immortale fascino che si identifica con l’Impero Austro-Ungarico, e che è stato reso immortale dalle pagine di Karl Kraus, Arthur Schnitzler, Joseph Roth e tanti altri scrittori. Coraggiosa e tenace, Anna Sacher riuscirà a tenere alto l’onore del suo albergo anche mentre quel mondo crollava sotto i colpi di una guerra devastante, consegnandolo alla modernità in tutto il suo ineguagliabile fascino.



Sacher, gli ultimi valzer della felix Austria 
In un libro la storia dell’hotel viennese e della sua demiurga Tra principi e magnati, intellettuali e ballerine, spie e amanti tutto il bel mondo tra Otto e Novecento passò di qui 

Bruno Ventavoli Stampa 23 11 2015

In una calda giornata d’estate Klimt invitò Rodin a pranzare al Sacher Garten. Con tipiche ragazze «Secessione», magre, bellissime, eroticamente enigmatiche. A fine pranzo, l’artista francese espresse tutta la sua meraviglia per l’indimenticabile giornata con arte, fanciulle, musica, squisito bollito di manzo in gelatina, pâté d’anatra. E intorno una gioia lieta, infantile. Che cos’è?, domandò quasi in estasi. Klimt rispose con una sola parola: «Austria». Avrebbe dovuto aggiungere, «Anna Sacher», la padrona di quel ristorante in giardino. Perché fu lei, insieme col marito, a inventare la leggenda dell’Hotel Sacher, il simbolo più fastoso e accogliente dell’eleganza viennese. Tanto solido nelle pietre di cui era costruito e nei fregi di cui era ornato da sopravvivere alla dissoluzione della Kakania, al rivolgimento totale della società (non solo mitteleuropea) ma dello stesso stile di viaggiare, visto che, con la sua torta, continua a essere un simbolo anche nell’era del low cost e di Airbnb.
Alla storia dell’Hotel Sacher. L’ultima festa della vecchia Europa, e della sua demiurga, è dedicato il libro scritto da Monika Czernin (discendente da un ministro della Duplice Monarchia) e pubblicato da Edt, che ricostruisce con brio il valzer di celebrità che passarono per quelle stanze.
La torta di Metternich
Tutto cominciò in tempo di Restaurazione. Quando un giovane aiuto cuoco, Franz Sacher, sfornò per Metternich la torta con marmellata di albicocche imprigionata in strati di cioccolata e una glassa di cacao. Dolcissima e tenace come l’impero che gli Asburgo volevano costruire nel cuore della vecchia Europa impastando popoli eterogenei e incazzosi. Dopo un periodo al servizio degli Esterházy e dopo la sconfitta delle rivoluzioni del ’48, Sacher aprì a Vienna una rinomata gastronomia. Lì mosse i primi passi il figlio Eduard, che a sua volta inventò un ristorante di successo rivolto all’aristocrazia. Quando però il proprietario dell’immobile, il magnate ebreo Eduard Todesco, rincarò l’affitto, decise di spostarsi in un edificio nuovo da costruire. Anche perché la Vienna di Francesco Giuseppe (che aveva finalmente fatto pace con i riottosi cugini magiari) vibrava di speculazioni borsistiche, investimenti immobiliari in attesa dell’Expo.
Sacher trovò finanziatori e terreno. Ma il suo sogno s’impigliò nella burocrazia imperiale. Poi esplose una delle solite bolle in Borsa. Ci fu persino un’epidemia di colera. Alla fine il tenace ristoratore l’ebbe vinta. L’Hotel de l’Opéra, questo il primo nome, nacque come luogo per somministrare alcolici (tranne l’acquavite) e giocare a tutti i giochi consentiti dalla legge (tranne il biliardo). Quindi ottenne l’autorizzazione ad «alloggiare estranei». E, passo dopo passo, crebbe fino a essere il gigantesco hotel degli Anni Venti che aveva inglobato sei palazzi vicini, diventando un immenso dedalo di stanze, velluti, specchiere, lampadari. 


Nel regno di Frau Anna

Come spesso succedeva nella Vienna del tempo, dietro un grand’uomo c’era una moglie. Nella nuova borghesia, ricchissima, ove i maschi sguazzavano nel rozzo materialismo dei denari, le consorti coltivavano il gusto, animavano salotti, sponsorizzavano artisti (come danno collaterale fiorivano adulteri di donne sempre più moderne, libere, consapevoli della loro sessualità, e delle pulsioni annidate nell’inconscio appena scoperto dalla psicoanalisi, proprio lì, in quella metropoli). Anna Fuchs, figlia di un macellaio, sedici anni più giovane del marito, invece sviluppò un magnifico talento per gli affari e il comando. 
Soprannominata Frau Sacher, gestiva con polso d’acciaio un esercito di servitori (da chi lucidava l’argenteria a chi manovrava gli ascensori), quadrava i conti, conquistava la soddisfazione degli ospiti, prima accanto al coniuge, poi, quand’egli finì all’altro mondo, da sola (fu lei a battezzare l’albergo «Sacher»). Salten, l’autore di Bambi, adorava il suo «viso da soubrette intelligentissimo, attraversato fulmineamente da mille idee diaboliche allo stesso tempo». Si circondava di piccoli bulldog che amava quanto il sigaro, anch’esso simbolo di emancipazione e potere per una donna.
Nel suo regno passarono principi e magnati, intellettuali e ballerine, amanti e spie. Si consumarono intrighi e illusioni. Si scrissero opere immortali, e si fece all’amore protetti dalla discrezione. E tutti, da Sissi ai Rotschild, da Schnitzler al Principe Rodolfo, da Kraus a Strauss, firmarono soddisfatti il registro delle presenze.


Il simbolo appannato

Poi il mondo andò in frantumi con la Grande guerra. E mestamente anche la stirpe dei Sacher, come in un romanzo di Roth. Negli Anni 20 Anna fece interdire il figlio Eduard, sifilitico, pieno di debiti, nevrotico (la figlia Franziska aveva fallito il matrimonio, e viveva sotto le sue ali). Nonostante il clima nazionale sempre più avvelenato, la guerriglia in piazza tra folle di rossi e bande di neri (che impressionavano il Canetti di Massa e potere), Frau Sacher teneva duro. Il suo hotel era un simbolo sempre meno luccicante. S’indebitò per adeguarlo ai nuovi standard, perché il lusso cambia col tempo: costruì un riscaldamento centralizzato e portò l’acqua corrente su tutti i piani. Si diceva che giocasse troppo ai cavalli e perdesse. Nel ’29 fu interdetta lei, nel ’30 morì. Nell’accuratissimo testamento pensò a molti. Anche all’albergo, che non doveva essere amministrato dai disgraziati figli. Ma ormai erano più i passivi che le ricchezze. E nel ’34 fu venduto in asta fallimentare a un avvocato, la cui discendenza gestisce ancora oggi marchio e leggenda.

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