domenica 15 novembre 2015

Una raccolta di fantasmi dell'Ottocento

Fantasmagoriana, a cura di Fabio Camilletti 360 pp. 15,00 euro, Nova Delphi

Risvolto
Trascorsi l’estate del 1816 nei dintorni di Ginevra. La stagione fu fredda e piovosa e alla sera ci si riuniva attorno al fuoco scoppiettante e talvolta ci divertivamo a leggere storie tedesche di fantasmi… Questi racconti risvegliarono in noi un giocoso desiderio di imitazione.”
Così Mary Shelley ricorda l’impatto fulminante che lei e il piccolo gruppo di letterati riuniti a villa Diodati (Lord Byron, Percey B. Shelley, John Polidori e Claire Clairmont) ebbero con Fantasmagoriana, volume di immensa suggestione che raccoglieva otto storie del soprannaturale uscite in Germania a partire dalla fine del Settecento.
Pubblicato anonimamente a Parigi solo nel 1812 dal geografo Benoît Eyriès il libro si ispirava direttamente agli spettacoli di “fantasmagorie” che, attraverso la combinazione illusionistica di immagini, luci e suoni, evocavano spettri ed eccitavano i sensi con una verosimiglianza che verrà superata solo dal cinematografo. È da segnalare come questa sia la prima edizione completa della Fantasmagoriana ad apparire in libreria proprio da quel lontano 1812. Un accurato saggio introduttivo, apparati e note esplicative inquadrano le origini e le fortune del testo che - fra la Ginevra di Byron, Shelley e Polidori e la Parigi di Nodier, Dumas, Mérimée e Gautier – incrocia e orienta le origini stesse del fantastico moderno.



La «Fantasmagoriana» dimenticata che inventò la letteratura horror 

Dopo 200 anni si pubblica in Italia l’antologia di racconti ottocenteschi Spinse Byron e gli Shelley alla mitica gara di scrittura gotica aVilla Diodati 
15 nov 2015  Libero MICHELA RAVALICO 
Ci sono voluti duecento anni per vederlo tradotto in italiano. Che peccato, Fantasmagoriana è un capolavoro e un pilastro della letteratura popolare come le fiabe dei fratelli Grimm. L'origine culturale è la stessa. Quel sottobosco popolare di storie di paura, orrore, fantasmi, assassini, sangue e delitti su cui i due grandi filologi tedeschi hanno costruito il monumento di fiabe (die Maerchen in tedesco) come Haensel e Gretel o Cappuccetto rosso (e non si dica che sono storie da bambini, al di là della morale finale, perché tra lupi e streghe che mangiano i bambini tanto assomigliano a trame dell'orrore)  
Fantasmagoriana, a firma plurima - Apel, Clauren, Eyriès, Musaus, Uttersonpubblicato da Nova Delphi (333 pagine, 15 euro) con traduzioni di Fabio Camilletti (professore associato di letteratura italiana all'Università di Warwick in Gran Bretagna) è il libro fondante, il caposaldo della letteratura horror. Si tratta di 8 racconti di storie del soprannaturale tratti dalla tradizione orale tedesca, tra cui l'arcinoto – grazie al cartoon di Tim Burton- La sposa cadavere, in cui i protagonisti sono fantasmi, castelli incantati, cadaveri che si rianimano e mostri e l'intento del narratore è spaventare, terrorizzare il lettore o uditore. 
La storia della nascita di questa raccolta di racconti, che viene egregiamente raccontata nella lunga e dettagliata introduzione a Fantasmoriana, è assai avvincente. Agli inizi dell '800, in una lunga estate piovosa, un gruppo di amici e letterati capitanati da Lord Byron si ritrovarono a vivere confinati in un castello, Villa Diodati (a due passi da Ginevra) a causa del brutto tempo. Tra i presenti qualcuno aveva portato con sé gli otto racconti originali in tedesco (poi tradotti in francese, inglese e oggi, a duecento anni di distanza anche in italiano) e che oggi sono raccolti in Fantasmagoriana. 
La sera, impossibilitati ad uscire per via della continua pioggia, e visto che non esistevano né la televisione né il web, l'insolito collettivo si raccoglieva accanto al camino ad ascoltare queste storie e a suggestionarsi. L'aspetto più magico di questa storia, che probabilmente agli occhi del lettore moderno apparirà persino naiv, è che i signori di Villa Diodati, George Byron e il suo factotum Jonh Polidori, Percy Shelley ela moglie Mary Wollstonecraft compresi, vivevano questi racconti come esperienze mesmerizzanti, ipnotiche, spaventose al punto da arrivare a sentirsi male fisicamente. Si legge nell'introduzione di Camilletti: «C’entrava la droga, ma va considerato anche quel potere immaginifico della letteratura su cui gli scrittori del primo Ottocento si soffermano così spesso, quella capacità, da parte delle storie prodigiose di sospendere la mente razionale ed eccitare le passioni». Oggi, abituati a effetti più sottilmente perturbanti e sofisticati (il cinema, il 3d, la riproduzione perfetta ed autentica della realtà come le esperienze digitali e virtuali), i racconti di fantasmi del primo Ottocento «ci suonano eccessivi, farraginosi, teatrali». Così non era per i progenitori dell'orrore. 
Da Fantasmagoriana (la cui origine etimologica è un artificio, ma va ad attingere a due parole greche come fantasma e allegoria e vuole significare dialogo coi fantasmi, conversazione con gli spiriti) derivano capolavori come Frankenstein di Mary Shelley, Il Vampiro di John Polidori. Non si può escludere che Edgar Allan Poe (che era coevo alla pubblicazione della prima edizione in francese di Fantasmagoriana) abbia letto quelle storie, fino agli autori contemporanei come Stephen King. La caratteristica chiave del racconto di paura dell'800 è che non ha trame particolarmente originali, anzi sino ripetitive. L'intento finale, era, di suscitare emozioni e paure più che di scrivere letteratura alta. Del resto, ricorda ancora Camilletti nell' introduzione, è stato proprio Stephen King a definire «la storia dell’Uncino» questa sorta di archetipo di ogni racconto dell’orrore, quel genere di storia che «non offre descrizioni, soggetto, nessun particolare artificio» se non quello di terrorizzare. «La storia dell’Uncino è qualsiasi racconto che “non aspiri alla bellezza simbolica né cerchi di riassumere i tempi, la mente o lo spirito umano”, e che si trasmette – di bocca in bocca, estate dopo estate – “per una e una sola ragione: per impaurire a morte i bambini dopo che il sole è tramontato».

Quei sussurri di spiriti e spettri
Gianluca Briguglia Domenicale 13 12 2015
«Ammettendo pure - scriveva Jean-Baptiste Eyriès nel 1812 - che ai fantasmi non si crede più (...) è certo però che storie di fantasmi, spettri e spiriti si ascoltano con piacere». 
E come dargli torto, soprattutto oggi che il nostro tempo libero e il nostro immaginario, anche quello più pop, è affollato di vampiri di ogni specie, di indagatori di incubi e di misteri, di una lunga schiera di lupi mannari di disuguale credibilità fantastica e di diverso effetto artistico, e addirittura di ambigui revenants (che non è solo il titolo di una sorprendente e perturbante serie tv, ma il termine che proprio Eyriès utilizzava per indicare i fantasmi, soprattutto se dotati di un corpo).
Che si tratti di racconti del tipo “storia dell’Uncino” - quale che sia la modalità espressiva, letteraria, cinematografica, televisiva -, come li chiama Stephen King, cioè racconti che non hanno altro scopo che quello di spaventare i bambini, o che si tratti di raffinate commistioni fatte di richiami, di evocazioni culturali - qualcuno ricorderà l’epocale sceneggiato Il segno del comando, in cui nell’ambientazione di una Roma notturna degli anni ’60-’70 riprendeva vita il primo Ottocento romantico con la presenza di fantasmi e fatti inspiegabili attorno a scritti misteriosi di Lord Byron -, la fantasia contemporanea si nutre ancora di molte di queste paure arcane. 
Del resto la storia della labile linea di confine tra il nostro mondo e quello non sempre precisabile di esseri spettrali e ritornanti è lunga e ricca di forme e di apparenze e certo non univoca e non lineare.
Fabio Camilletti, professore di Letteratura italiana all’Università di Warwick, ci restituisce una delle forme di questa storia, rendendo disponibile in italiano una raccolta di storie di fantasmi - da cui peraltro è tratta la citazione iniziale di questo articolo - pubblicata nel 1812 in francese come traduzione di racconti tedeschi scelti e intitolata già allora Fantasmagoriana.
Si tratta di un libro che qualche anno dopo, nel 1816, sarà oggetto di una famosa notte di letture e di racconti, alla villa Diodati vicino a Ginevra, che vedrà protagonisti tra gli altri Lord Byron, ma anche Mary Shelley (che proprio quella notte comincerà a pensare al suo Frankestein) e John Polidori, autore di lì a poco de Il Vampiro.
La raccolta contiene testi di differente valore, tra i quali anche una variante della storia La sposa cadavere (fonte indiretta del famoso film d’animazione di Tim Burton), e ha ispirato ai protagonisti di quella notte ginevrina il desiderio di scrivere di fatti strani o soprannaturali, ma curiosamente non era mai stata tradotta in italiano.
Fabio Camilletti ha inoltre il merito di mostrare, in una corposa e raffinata introduzione, come la letteratura di spettri e spiriti trovi nella cultura europea post rivoluzione francese una delle sue forme più potenti. Il titolo della raccolta, Fantasmagoriana, fa riferimento alla fantasmagoria, forma di teatro d’illusione e d’artificio con proiezioni di figure fantasmatiche, che proprio nei primi decenni dell’Ottocento viveva il suo momento di massima popolarità. Il soprannaturale, fortemente sanzionato dal razionalismo illuminista e scientifico, ma anche dal progetto politico napoleonico, che vuole sradicare le credenze politiche della tradizione, viene in qualche modo cacciato dalla scena pubblica, per incarnarsi nelle forme del racconto e della finzione, da cui attinge la sua nuova consistenza. I fantasmi e gli spettri, i revenants, sono come le creature che danno corpo (o spirito) al soprannaturale post-illuminista e che anzi nella norma della ragione illuminista trovano la propria ragion d’essere, come piacere di qualcosa che a quella norma sfugge. Interessante e curioso che proprio quel senso di perturbante, quell’esigenza di accesso a un’irrazionale riconoscibile e inquietante, si manifesti nella forma di storie di fantasmi, che sono un varco alle paure e alla conoscenza di ciò che esiste di più profondo e interiore (una eco nel racconto Ritratti di famiglia, compreso nella raccolta), quasi come se si preludesse a temi e forme della psicanalisi, che se certo non è una ghost story, sembra suggerire il curatore, saprà avvantaggiarsi delle premesse culturali di tutta un’epoca di spettri e di fantasmi. Se è vero che nessuno crede ai fantasmi, insomma, è pur vero che oggi, come all’inizio dell’epoca contemporanea, essi hanno comunque qualcosa da sussurrarci.

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