lunedì 14 dicembre 2015

La democrazia liberale apre un'autostrada alla Vecchia Fiamma



L'impressione è che con questa union sacrée in stile ANPI, che mette a nudo l'ipocrisia strutturale degli aspetti liberali della democrazia moderna, il monopartitismo competitivo contemporaneo abbia aperto un'autostrada al FN quantomeno per il ballottaggio delle presidenziali.
Laddove fargli sporcare le mani di merda almeno in sede amministrativa lo avrebbe probabilmente ridimensionato.
Nel caso francese, la tendenza generale bonapartistico-tecnocratica a garantire le compatibilità sistemiche è favorita dal tradizionale doppio turno. Il quale però favorisce a sua volta un'ulteriore mutazione delle forze politiche e del sistema stesso [SGA].

I partiti storici alla ricerca di una visione
di Cesare Martinetti La Stampa 14.12.15
Marine Le Pen non vince nessuna regione, sette giorni di politica hanno rovesciato il risultato delle regionali francesi, l’onda bluemarine si infrange contro le barriere di un sistema elettorale spietato. Ma – va detto, perché il risultato è netto – l’avanzata del Front è stata bloccata innanzitutto dal voto dei francesi. Molti astensionisti del primo turno ieri sono andati ai seggi. Lo spirito «repubblicano» che ha spinto i socialisti a ritirarsi dal Nord (Lille e Piccardia) e dal Sud (Marsiglia e Costa Azzurra) per favorire i candidati sarkozisti contro le due Le Pen (Marine e Marion, zia e nipote) arrivate in testa al primo turno ha fatto «barrage» all’estrema destra.
Come leggere due risultati così diversi? Bisogna entrare nella logica delle elezioni a due turni. Nel primo si vota con il cuore, nel secondo (anche) con il cervello. Nel primo – come ha detto Guillaume Perrault del Figaro – il Front National ha mostrato la sua forza, nel secondo il suo isolamento. Marine Le Pen è in grado di spaventare il sistema, non di abbatterlo. Ma la vera domanda è: per quanto ancora?
Ad ogni elezione il suo partito cresce al punto che ormai si può parlare di un bipartitismo imperfetto alla francese: da una parte l’alleanza (conflittuale e spesso innaturale) tra i due partiti storici e tradizionali, destra e sinistra, ex gollisti e socialisti; dall’altra il Front. Da una parte quelli che Marine Le Pen chiama i succubi della «globalizzazione», dall’altra i «patrioti».
Esaurite le regionali, già si è proiettati sulla presidenziale 2017, la madre di tutte le elezioni. Ieri è andata in onda la replica di un vecchio film, un déja vu di politica politicante che non entusiasma più nessuno. E tutti si rendono conto che è forse l’ultimo avvertimento al sistema. Il più chiaro è stato Alain Juppé, ora sindaco di Bordeaux, ma ex primo ministro e ministro, l’uomo che Chirac diceva «il migliore di tutti noi». Juppé è lanciato nella corsa a conquistare la candidatura per la destra nella prossima presidenziale, il suo avversario numero uno è Nicolas Sarkozy, che esce piuttosto malconcio da questo giro. Ieri sera Juppé ha fatto il suo primo vero discorso da candidato presidente sfidando insieme Sarko-Hollande-Le Pen: i francesi – ha detto - hanno bisogno di una «visione», non antieuropea, non quella di un paese ripiegato su se stesso, non in controsenso rispetto al mondo di domani.
Questo è il vero nodo. Le Pen e i suoi alleati in Europa che chiamiamo «populisti» hanno «visione» e risposte per quanto semplificate e irrealistiche a problemi complessi. I partiti storici tradizionali non sanno invece più offrire «visioni». Innanzitutto quella europea che si è persa in una nebbia tecnocratica e burocratica che non fa più sognare, che anche nella perdita dei confini moltiplica insicurezze, che nelle politiche economiche non riesce a invertire la curva della disoccupazione né a far ripartire in modo significativo la crescita. In questo stallo cresce il bisogno di protezione, il senso di angoscia che permette di riconoscersi in parole d’ordine elementari, dove risorgono vecchi fantasmi.
È questa la sfida che le elezioni regionali francesi hanno drammatizzato, per la Francia e per tutti gli altri, a cominciare dalla Spagna dove si voterà tra pochi giorni. A Parigi nessuno ha stappato bottiglie di champagne ieri sera per lo scampato pericolo. Paradossalmente la più allegra sembrava Madame Le Pen e ne ha ben ragione. È ormai da qualche anno che destra e sinistra sono ossessionati dallo spettro del Front, come se fosse un destino ineluttabile che si concretizza ad ogni elezione. Tra un anno e mezzo, nella primavera 2017, la sfida decisiva. Marine Le Pen sarà quasi sicuramente al ballottaggio. Ma chi sarà il suo avversario? 




“Ma dal Front ci potranno salvare soltanto i musulmani”
di Marek Halter Repubblica 14.12.15
Adesso cambia tutto. E poco importa che le due Le Pen non siano state elette. Il dato sconvolgente è che in alcune regioni più del 40 per cento degli elettori ha votato Front National per la seconda volta, il che significa che moltissimi francesi si riconoscono nell’estrema destra. Quindi, dato che siamo in democrazia, tutto ciò che verrà fatto d’ora in poi, sul piano politico ed economico, ma anche su laicità e rapporti tra le diverse comunità, sarà pensato anche in funzione di questa parte dell’elettorato. Saremo costretti a tener conto delle esigenze e dei desiderata del Frontl.
Come siamo giunti a questa disgrazia? Forse per semplice distrazione. O per il solito narcisismo francese, che ci ha impedito di guardare quanto accade al di là delle nostre frontiere, dove queste forme di fascismo xenofobo già esistono da anni. Negli Stati Uniti c’è Trump, in Ungheria quelli che la pensano come Le Pen sono al potere da tempo. In Germania, invece, 70 anni dopo la fine del nazismo, prospera in molti länder un partito della destra estrema. In Svizzera, le leggi contro l’immigrazione sono state registrate nella Costituzione e alla testa di alcuni cantoni vi sono politici di estrema destra. È come se l’opinione pubblica si fosse fatta più arida, come se il liberalismo, la solidarietà e le nobili aspirazioni per costruire un mondo migliore che hanno nutrito diverse generazioni non funzionassero più. Il problema di questa destra, sia essa tedesca o francese, è che costruisce il suo messaggio politico contro qualcosa o contro qualcuno. Negli anni Trenta, il nemico era l’ebreo. Si sosteneva che tutto andava male perché i giudei, che erano 14 milioni, mangiavano il pane degli europei. Oggi, invece, i nemici sono i musulmani, accusati di non essersi assimilati agli europei, di non essersi integrati nella nostra società, di non essere diventati abbastanza italiani, francesi, tedeschi o ungheresi.
In Germania l’Islam è diventata seconda religione, gli immigrati turchi che continuano a costruirvi nuove moschee. Se una volta c’erano tensioni tra protestanti e cattolici, oggi ci sono quelle tra cristiani e musulmani. A questi problemi, si è aggiunto quello che sovrasta gli altri: l’infima minoranza dei musulmani che vorrebbe imporre le sue regole con la violenza e commette atrocità come gli attacchi del 13 novembre, scatenando la nuova paura dell’Islam. Ma l’accusa che il Front National ha rivolto per anni ai musulmani francesi è di rubare il lavoro ai francesi riconosciuti tali da secoli di storia. Anzi a quei francesi “giudeo-cristiani”, poiché dopo la Seconda guerra mondiale anche gli ebrei sono rientrati nel novero dei cittadini di prim’ordine.
Oggi si chiedono tutti cosa fare per impedire che nel 2017 Marine Le Pen diventi presidente. Al momento né Hollande né Sarkozy, hanno una risposta. Anche perché la sconfitta della leader del Front l’ha comunque resa più forte di prima, e perché data la stagnazione economica continuerà comunque a guadagnare voti. La soluzione è nelle mani dei musulmani: basterebbe, per esempio, che 100mila di loro scendessero nelle strade per manifestare contro l’Is. ( testo raccolto da Pietro Del Re) 



Gilles Kepel «Il distacco dalla realtà di una classe politica genera gli estremismi»

Il politologo: così perdiamo la sfida culturale

intervista di Lorenzo Cremonesi Corriere 14.12.15
«G li errori della classe politica francese, il suo essere sempre più distaccata dalla realtà, sono alla base di due gravi fenomeni speculari: la crescita della destra estrema legata al Front National e il radicamento degli jihadisti nella comunità musulmana». Gilles Kepel racconta la genesi del terrorismo islamico in Francia all’ombra dei risultati elettorali. Il celebre politologo ci ha dato in anteprima il suo nuovo libro che Gallimard pubblicherà mercoledì prossimo: «Terreur dans l’Hexagone, genèse du djihad français», un’opera importante, attesa, specie dopo gli attentati del 13 novembre .
Dove sta andando la Francia?
«Assistiamo ad un processo di radicalizzazione, cresciuto al tempo delle rivolte violente nelle banlieue dieci anni fa, ma esploso soprattutto dopo la vittoria dei socialisti di François Hollande alle presidenziali del 2012. L’affermazione ora del Front National, sebbene nettamente riequilibrata al secondo turno, è parte dello stesso fenomeno che ha scatenato l’islamismo radicale. Entrambi i casi rappresentano una sfida frontale al vecchio establishment politico. Il 40% degli elettori che scelgono Le Pen al primo turno non sono tutti fascisti. Si tratta piuttosto di persone che manifestano sfiducia e rifiuto per la classe dirigente al potere. E non importa che Sarkozy abbia ora in parte recuperato. Il messaggio è forte, inequivocabile».
Un voto dominato dalla paura, dalla richiesta di sicurezza?
«Certamente. Le simpatie per il Front National sono alimentate dalla mancanza di politiche chiare nei confronti dell’immigrazione del mondo arabo. Impera il timore che possa avvenire quello che i predicatori islamici radicali chiamano “la grande sostituzione della popolazione europea originale” con le masse di musulmani. L’estrema destra, inoltre, raccoglie il malcontento dei tanti che accusano le autorità di non aver saputo prevenire gli attentati del 13 novembre. E intanto si dimentica che la Francia ha una lunga e profonda tradizione di studi islamici. Grazie al nostro passato coloniale, al radicamento in Nord Africa, le nostre università hanno sempre avuto antenne e sensibilità attente. Abbiamo gli strumenti per capire e controbattere. Ma oggi questa tradizione viene ignorata, addirittura smantellata. La nostra debolezza mi ricorda da vicino quella italiana. Stiamo perdendo la sfida con il radicalismo islamico, che è culturale prima che politica. Si combatte nelle scuole, prima che con le armi» .
Nel suo libro si sofferma ad esaminare la perdita di consenso per Hollande tra l’elettorato musulmano dopo il 2012. Come la spiega?
«Fu una caduta clamorosa. Circa l’80% dei musulmani lo aveva scelto. E tra loro anche quelli che definisco la terza generazione tra i figli di immigrati dall’Algeria dopo la decolonizzazione. La generazione da cui oggi vengono tanti terroristi. Solo pochi mesi dopo, quegli stessi elettori ritirarono la loro fiducia per Hollande».
Le cause?
«Sono due. In primo luogo la crisi economica, la disoccupazione galoppante specie tra i musulmani e i nuovi immigrati, che genera rabbia, alienazione. Ma poi anche la scelta socialista di approvare il matrimonio tra omosessuali. Fu allora che gli imam nelle moschee cominciarono a denunciare quelli che definivano “i corrotti corruttori”. La loro campagna divenne culturale, sociale, ancora prima che religiosa. I giovani musulmani già marginalizzati si videro coinvolti in un braccio di ferro identitario sui fondamenti della convivenza civile, della tradizione, della famiglia, del rapporto donna-uomo, dove loro diventavano i paladini della nuova moralità. Il disincanto politico nei confronti dei socialisti e della sinistra laica, tradizionalmente roccaforti della comunità islamica contro il nazionalismo xenofobo, ha così dato spazio ai jihadisti salafiti» .
Quali le radici ideologiche dei nuovi jihadisti?
«Vengono specialmente dall’incapacità dimostrata da Al Qaeda di comunicare con i musulmani europei. Fu evidente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Nel momento del suo massimo trionfo propagandistico l’organizzazione di Osama bin Laden evidenziava i suoi limiti. Restava verticistica, i suoi comunicati erano tediosi, dottrinali, illeggibili. Fu allora, nel 2005, che apparvero i testi di Abu Musab al Suri, un giovane teologo di origine siriana, passato dalla Spagna e approdato in Francia, il quale ha insistito per creare un’organizzazione reticolare dal basso verso l’alto, fondata sulla militanza via web. Soprattutto Al Suri ha teorizzato la necessità di cambiare obiettivi: non colpire più gli Stati Uniti, concentrarsi invece sull’Europa dai valori deboli, scristianizzata, dubbiosa, vecchia e in crisi, vero ventre molle dell’Occidente, facile da colpire e ancor più da terrorizzare e colonizzare» .
Pregi e difetti della conferenza sulla Libia?
«Un fallimento. La comunità internazionale deve parlare con le tribù, che sono le uniche a controllare il territorio. I politici dei governi di Tripoli e Tobruk non contano più nulla. E’ stato l’errore di Bernardino León dar loro troppa importanza. E continua a essere l’errore dell’Onu e dell’Europa, Italia in testa. C’è inoltre il problema che molte tribù controllano i pozzi petroliferi, vendono greggio alle compagnie straniere, dunque si rafforzano, comprano armi, scelgono o meno di allearsi con Isis» 



Il filosofo Pascal Bruckner «I valori del Fronte ora dominano nella società»
di Stefano Montefiori Corriere 14.12.15
HÉNIN-BEAUMONT Dopo gli attentati, ecco lo choc dell’avanzata del FN al primo turno, il premier Valls che evoca una possibile guerra civile, infine la corsa alle urne e lo stop a Marine Le Pen al secondo turno. Come vede la Francia adesso?
«Hollande ha avuto ragione a mantenere le Regionali e la conferenza sul clima COP21, bisognava dare ai francesi la sensazione che niente è cambiato, come se gli attentati del 13 novembre fossero stati un incidente anche se non lo sono affatto. Ma psicologicamente è stato un bene che i francesi potessero sprofondare di nuovo nella classica atmosfera elettorale, i litigi, gli anatemi... Non siamo entrati nel tempo dei terroristi e credo che questo sia un aspetto importante».
Il filosofo Pascal Bruckner, voce spesso critica nei confronti della «negazione della realtà» che condiziona la politica francese soprattutto a sinistra, fa il punto su che cosa resta della grande paura FN.
Possiamo dire che ormai i valori del FN, per esempio il patriottismo e l’orgoglio nazionale, influenzano comunque tutta la politica francese?
«Sì, anche perché in passato la destra e ancora di più la sinistra avevano abbandonato valori popolari e parte del loro patrimonio come la bandiera, il patriottismo, le frontiere. Oggi la sinistra non parla affatto alle classi popolari, preferisce rivolgersi agli immigrati. È la famosa scelta raccomandata dalla fondazione Terranova, cioè privilegiare l’alleanza tra i bobo urbani (i facoltosi progressisti bourgeois-bohème descritti in un libro da David Brooks, ndr ) e gli immigrati delle periferie, a scapito delle classi popolari. Il Front National ha occupato idealmente lo spazio vuoto lasciato libero dalla sinistra».
La società francese è cambiata?
«Sì. I cittadini francesi dopo il 13 novembre si sono messi a cantare spontaneamente la Marsigliese, non certo l’Internazionale. C’è una nostalgia della comunità nazionale che in passato è stata occultata, in molti casi persino ridicolizzata dalla sinistra. La bandiera francese era considerata fascista. Stiamo uscendo da questo rifiuto della realtà che negli ultimi anni è stato il problema della sinistra».
In vista delle presidenziali, Hollande e la sinistra si stanno già riposizionando?
«Sì, è innegabile. Basti guardare François Hollande, che non è più la stessa persona.
È persino divertente osservare la sua trasformazione, da notabile di provincia al comandante delle truppe che lancia l’esercito all’attacco dei jihadisti».
Quindi adesso la situazione è più favorevole alla sinistra al potere che all’opposizione di Sarkozy?
«Sì, questa è la mia scommessa, e non sono il solo a farla. Credo che Hollande abbia grandi chance di farsi rieleggere nel 2017, magari al ballottaggio contro Marine Le Pen. Intanto perché è già all’Eliseo, poi è stato pessimo in economia ma abbastanza bravo nei momenti difficili. Sarkozy invece è agitato, pieno di tic, tutto il suo linguaggio del corpo parla contro di lui. Un’altra così è Marine Le Pen, quando sorride fa paura, sembra che ti stia per mordere. Alla fine Hollande, fisicamente insignificante, sta lentamente diventando molto più forte».
Che cosa pensa del programma del Front National?
«Ma nessuno lo conosce davvero questo programma, non lo sanno neanche loro. Da un punto di vista economico è piuttosto rozzo, lo stesso dell’estrema sinistra, la pensione a 60 anni, l’uscita dall’euro, è un po’ delirante. Infatti loro per primi cercano di non parlarne e di puntare sull’identità e la lotta al fondamentalismo islamico».
Come spiega che a ogni primo turno delle elezioni si parla di choc del Front National, come se fosse una sorpresa?
«Il problema è che in Francia si procede per demonizzazione. Sappiamo invece che anche un partito di estrema destra può fondersi nella democrazia, come è successo in Italia con il Msi di Gianfranco Fini». 




Ha funzionato il muro di Valls Sarkozy vince ma è più debole

L’idea “fronte repubblicano” premia il premier: “Non abbiamo ceduto niente”

di Leonardo Martinelli La Stampa 14.12.15
Tutti contro il Front national, in difesa della democrazia: quello che i francesi chiamano il «fronte repubblicano» ha funzionato ieri al secondo turno delle elezioni regionali. Non era sicuro, c’erano molti dubbi al riguardo nei giorni precedenti. Ma, invece, alla fine è andata come nel 2002, quando al ballottaggio delle presidenziali si affrontarono Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen. E il leader dell’estrema destra fu decisamente sconfitto. Ieri il Fn, arrivato in pole position al primo turno il 6 dicembre in sei regioni su tredici, è stato battuto ovunque.
Schema vincente
Riassunto delle puntate precedenti: i socialisti, subito dopo il primo turno, avevano subito invocato il «fronte repubblicano». Concretamente avevano deciso di ritirarsi dal secondo turno nelle due regioni, il Nord (Nord-Pas-de-Calais e Piccardia) e il Sud-Est (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), dove rispettivamente Marine Le Pen e la nipote Marion Maréchal-Le Pen rischiavano di vincere. Insomma, il Partito socialista aveva chiesto ai suoi elettori di votare per il candidato arrivato in seconda posizione, in entrambi i casi un esponente dei Repubblicani. Il Ps ha fatto altrettanto nell’Est (Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena), anche se il loro candidato non ha accettato di ritirarsi. Un’idea del premier Valls (che ieri ha commentato: «In un momento grave, non abbiamo ceduto niente»). Ma il leader dei Repubblicani, Nicolas Sarkozy, ha rigettato la possibilità della solita alleanza in nome della democrazia: «Né il fronte repubblicano, né il Front national», ha detto. Scatenando, in realtà, non poche polemiche all’interno della sua formazione.
Ieri sera, Xavier Bertrand, che sarà il futuro presidente della regione del Nord, ha dichiarato commosso che la sua «non è la vittoria dei partiti politici, né la mia personale ma è quella della gente del Nord e della Picardia». Ha ringraziato «tutti gli elettori di sinistra che hanno chiaramente votato per me, così da fare barriera contro il Fn», per difendere «una certa idea della Francia». Nei giorni scorsi, quando Sarkozy, sempre più impegnato nel corteggiare gli elettori dell’estrema destra, aveva sottolineato che «votare Fn non è immorale», Bertrand aveva invocato i leader del suo partito a livello nazionale «a stare zitti e basta».
Consegne disattese
«Se gli elettori avessero applicato il principio del né il fronte repubblicano, né il Front national, i nostri candidati nel Nord e nel Sud-Est non sarebbero stati eletti», ha rincarato la dose Nathalie Kosciusko-Morizet, esponente di punta dei Repubblicani, ancora in polemica con il «capo» Sarkozy. «Non sono disposta - ha aggiunto - a mettere il Partito socialista e il Front national sullo stesso piano». Sarkozy esce fortemente indebolito da questa consultazione, almeno nelle dinamiche interne al suo partito. E in vista delle primarie che l’anno prossimo dovranno scegliere il candidato della destra per le presidenziali del 2017.
Intanto da Hénin-Beaumont, cittadina del Nord, amministrata dal Front national dal 2014, il sindaco Steeve Briois, una delle facce simbolo del «nuovo» Fn, ha tuonato contro «il fronte repubblicano, che ha giocato sulle paure. Abbiamo subito una campagna di odio. A questo secondo turno sono la disonestà e la menzogna che sono prevalse». 



Nessuna regione alla Le Pen

“Stessi consensi del primo turno. Alla Le Pen solo voti di protesta” L’analista Dézé: “La normalizzazione? Di facciata”

di Leonardo Martinelli La Stampa 14.12.15
Era già successo alle elezioni dipartimentali lo scorso marzo: per giorni e giorni, l’anticipazione dei media, in maniera enfatica, di una vittoria del Front National sulla quale il partito di Marine Le Pen speculava, eccome. Ma alla fine, al secondo turno, fanno sempre flop. Per il momento, quello scalino non riescono a superarlo». A parlare è Alexandre Dézé, ricercatore al Cepel (Centro di studi politici dell’Europa latina), docente all’università di Montpellier.
Però una settimana fa il Fn era diventato il primo partito di Francia, balzando sopra la soglia del 30%...
«Sì, ma è interessante vedere l’evoluzione dei voti tra il primo e il secondo turno. A parte nel Sud-Est (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), non c’è stato un aumento dei voti per il Front national, che aveva esaurito il suo bacino di voti il 6 dicembre. C’è pure qualche possibilità di spostamento di consensi dal Fn verso altri partiti fra il primo e il secondo turno».
Cosa significa?
«Quello per il partito di estrema destra resta un voto di protesta. Ma la maggioranza dei francesi, quando c’è la possibilità di mandarlo al potere, si rifiuta di farlo. Questo voto dà ovviamente indicazioni interessanti anche in vista delle presidenziali del 2017, sulle reali possibilità per la Le Pen di imporsi al secondo turno, al di là di quello che scrivono tanti giornali e dicono numerosi osservatori».
Il ruolo dei media ha favorito la Le Pen?
«Di sicuro. Il problema è che attualmente l’unico argomento politico che interessa i francesi è il Front National e la saga dei Le Pen. Per il resto si annoiano terribilmente e non hanno neanche tutti i torti. L’enfatizzazione sul fenomeno Fn gioca a favore del partito di estrema destra. Senza contare che tutto questo ha portato certe riviste a interessarsi addirittura agli animali di compagnia di Marine Le Pen, ai suoi gusti per i vestiti, ai suoi possibili problemi di coppia. Normalizzandola, appunto, e dimenticando che Marine Le Pen è la leader dell’estrema destra. E soprattutto dimenticando quello che pensa e dice».
Lei è coautore di un saggio appena pubblicato dalla casa editrice di Sciences Po a Parigi, dal titolo «Le finzioni del Front National: sociologia di un partito politico». Non crede alla “dédiabolisation” del partito da parte della Le Pen?
«No, è puro lifting. Quelle che da sempre sono le idee di base del Front sono in gran parte rimaste le stesse. Come il concetto di “preferenza nazionale”, per cui, ad esempio, i diritti sociali devono essere riservati solo ai francesi e non agli stranieri che vivono nel nostro paese: è un principio anticostituzionale ed è rimasta una delle idee portanti del Front national, anche dopo questo fantomatico sdoganamento».
La cacciata di Jean-Marie Le Pen non ha cambiato nulla?
«Solo all’apparenza. Anzi, da quando il patriarca è stato espulso dal partito, la Le Pen ha reso ancora più duro il suo discorso sugli immigrati. Dobbiamo metterci nella testa che la normalizzazione che lei avrebbe realizzato costituisce davvero poca cosa rispetto a quello che fece in Italia Gianfranco Fini trasformando il Movimento sociale in Alleanza nazionale».

Nessun commento: