L'impressione è che con questa union
sacrée in stile ANPI, che mette a nudo l'ipocrisia strutturale degli
aspetti liberali della democrazia moderna, il monopartitismo competitivo
contemporaneo abbia aperto un'autostrada al FN quantomeno per il
ballottaggio delle presidenziali.
Laddove fargli sporcare le mani di merda almeno in sede amministrativa lo avrebbe probabilmente ridimensionato.
Nel caso francese, la tendenza generale bonapartistico-tecnocratica a
garantire le compatibilità sistemiche è favorita dal tradizionale doppio
turno. Il quale però favorisce a sua volta un'ulteriore mutazione delle
forze politiche e del sistema stesso [SGA].
I partiti storici alla ricerca di una visione
di Cesare Martinetti La Stampa 14.12.15
Marine Le Pen non vince nessuna regione, sette giorni di politica hanno
rovesciato il risultato delle regionali francesi, l’onda bluemarine si
infrange contro le barriere di un sistema elettorale spietato. Ma – va
detto, perché il risultato è netto – l’avanzata del Front è stata
bloccata innanzitutto dal voto dei francesi. Molti astensionisti del
primo turno ieri sono andati ai seggi. Lo spirito «repubblicano» che ha
spinto i socialisti a ritirarsi dal Nord (Lille e Piccardia) e dal Sud
(Marsiglia e Costa Azzurra) per favorire i candidati sarkozisti contro
le due Le Pen (Marine e Marion, zia e nipote) arrivate in testa al primo
turno ha fatto «barrage» all’estrema destra.
Come leggere due risultati così diversi? Bisogna entrare nella logica
delle elezioni a due turni. Nel primo si vota con il cuore, nel secondo
(anche) con il cervello. Nel primo – come ha detto Guillaume Perrault
del Figaro – il Front National ha mostrato la sua forza, nel secondo il
suo isolamento. Marine Le Pen è in grado di spaventare il sistema, non
di abbatterlo. Ma la vera domanda è: per quanto ancora?
Ad ogni elezione il suo partito cresce al punto che ormai si può parlare
di un bipartitismo imperfetto alla francese: da una parte l’alleanza
(conflittuale e spesso innaturale) tra i due partiti storici e
tradizionali, destra e sinistra, ex gollisti e socialisti; dall’altra il
Front. Da una parte quelli che Marine Le Pen chiama i succubi della
«globalizzazione», dall’altra i «patrioti».
Esaurite le regionali, già si è proiettati sulla presidenziale 2017, la
madre di tutte le elezioni. Ieri è andata in onda la replica di un
vecchio film, un déja vu di politica politicante che non entusiasma più
nessuno. E tutti si rendono conto che è forse l’ultimo avvertimento al
sistema. Il più chiaro è stato Alain Juppé, ora sindaco di Bordeaux, ma
ex primo ministro e ministro, l’uomo che Chirac diceva «il migliore di
tutti noi». Juppé è lanciato nella corsa a conquistare la candidatura
per la destra nella prossima presidenziale, il suo avversario numero uno
è Nicolas Sarkozy, che esce piuttosto malconcio da questo giro. Ieri
sera Juppé ha fatto il suo primo vero discorso da candidato presidente
sfidando insieme Sarko-Hollande-Le Pen: i francesi – ha detto - hanno
bisogno di una «visione», non antieuropea, non quella di un paese
ripiegato su se stesso, non in controsenso rispetto al mondo di domani.
Questo è il vero nodo. Le Pen e i suoi alleati in Europa che chiamiamo
«populisti» hanno «visione» e risposte per quanto semplificate e
irrealistiche a problemi complessi. I partiti storici tradizionali non
sanno invece più offrire «visioni». Innanzitutto quella europea che si è
persa in una nebbia tecnocratica e burocratica che non fa più sognare,
che anche nella perdita dei confini moltiplica insicurezze, che nelle
politiche economiche non riesce a invertire la curva della
disoccupazione né a far ripartire in modo significativo la crescita. In
questo stallo cresce il bisogno di protezione, il senso di angoscia che
permette di riconoscersi in parole d’ordine elementari, dove risorgono
vecchi fantasmi.
È questa la sfida che le elezioni regionali francesi hanno
drammatizzato, per la Francia e per tutti gli altri, a cominciare dalla
Spagna dove si voterà tra pochi giorni. A Parigi nessuno ha stappato
bottiglie di champagne ieri sera per lo scampato pericolo.
Paradossalmente la più allegra sembrava Madame Le Pen e ne ha ben
ragione. È ormai da qualche anno che destra e sinistra sono ossessionati
dallo spettro del Front, come se fosse un destino ineluttabile che si
concretizza ad ogni elezione. Tra un anno e mezzo, nella primavera 2017,
la sfida decisiva. Marine Le Pen sarà quasi sicuramente al
ballottaggio. Ma chi sarà il suo avversario?
“Ma dal Front ci potranno salvare soltanto i musulmani”
di Marek Halter Repubblica 14.12.15
Adesso cambia tutto. E poco importa che le due Le Pen non siano state
elette. Il dato sconvolgente è che in alcune regioni più del 40 per
cento degli elettori ha votato Front National per la seconda volta, il
che significa che moltissimi francesi si riconoscono nell’estrema
destra. Quindi, dato che siamo in democrazia, tutto ciò che verrà fatto
d’ora in poi, sul piano politico ed economico, ma anche su laicità e
rapporti tra le diverse comunità, sarà pensato anche in funzione di
questa parte dell’elettorato. Saremo costretti a tener conto delle
esigenze e dei desiderata del Frontl.
Come siamo giunti a questa disgrazia? Forse per semplice distrazione. O
per il solito narcisismo francese, che ci ha impedito di guardare quanto
accade al di là delle nostre frontiere, dove queste forme di fascismo
xenofobo già esistono da anni. Negli Stati Uniti c’è Trump, in Ungheria
quelli che la pensano come Le Pen sono al potere da tempo. In Germania,
invece, 70 anni dopo la fine del nazismo, prospera in molti länder un
partito della destra estrema. In Svizzera, le leggi contro
l’immigrazione sono state registrate nella Costituzione e alla testa di
alcuni cantoni vi sono politici di estrema destra. È come se l’opinione
pubblica si fosse fatta più arida, come se il liberalismo, la
solidarietà e le nobili aspirazioni per costruire un mondo migliore che
hanno nutrito diverse generazioni non funzionassero più. Il problema di
questa destra, sia essa tedesca o francese, è che costruisce il suo
messaggio politico contro qualcosa o contro qualcuno. Negli anni Trenta,
il nemico era l’ebreo. Si sosteneva che tutto andava male perché i
giudei, che erano 14 milioni, mangiavano il pane degli europei. Oggi,
invece, i nemici sono i musulmani, accusati di non essersi assimilati
agli europei, di non essersi integrati nella nostra società, di non
essere diventati abbastanza italiani, francesi, tedeschi o ungheresi.
In Germania l’Islam è diventata seconda religione, gli immigrati turchi
che continuano a costruirvi nuove moschee. Se una volta c’erano tensioni
tra protestanti e cattolici, oggi ci sono quelle tra cristiani e
musulmani. A questi problemi, si è aggiunto quello che sovrasta gli
altri: l’infima minoranza dei musulmani che vorrebbe imporre le sue
regole con la violenza e commette atrocità come gli attacchi del 13
novembre, scatenando la nuova paura dell’Islam. Ma l’accusa che il Front
National ha rivolto per anni ai musulmani francesi è di rubare il
lavoro ai francesi riconosciuti tali da secoli di storia. Anzi a quei
francesi “giudeo-cristiani”, poiché dopo la Seconda guerra mondiale
anche gli ebrei sono rientrati nel novero dei cittadini di prim’ordine.
Oggi si chiedono tutti cosa fare per impedire che nel 2017 Marine Le Pen
diventi presidente. Al momento né Hollande né Sarkozy, hanno una
risposta. Anche perché la sconfitta della leader del Front l’ha comunque
resa più forte di prima, e perché data la stagnazione economica
continuerà comunque a guadagnare voti. La soluzione è nelle mani dei
musulmani: basterebbe, per esempio, che 100mila di loro scendessero
nelle strade per manifestare contro l’Is. ( testo raccolto da Pietro Del
Re)
Gilles Kepel «Il distacco dalla realtà di una classe politica genera gli estremismi»
Il politologo: così perdiamo la sfida culturale
intervista di Lorenzo Cremonesi Corriere 14.12.15
«G li errori della classe politica francese, il suo essere sempre più
distaccata dalla realtà, sono alla base di due gravi fenomeni speculari:
la crescita della destra estrema legata al Front National e il
radicamento degli jihadisti nella comunità musulmana». Gilles Kepel
racconta la genesi del terrorismo islamico in Francia all’ombra dei
risultati elettorali. Il celebre politologo ci ha dato in anteprima il
suo nuovo libro che Gallimard pubblicherà mercoledì prossimo: «Terreur
dans l’Hexagone, genèse du djihad français», un’opera importante,
attesa, specie dopo gli attentati del 13 novembre .
Dove sta andando la Francia?
«Assistiamo ad un processo di radicalizzazione, cresciuto al tempo delle
rivolte violente nelle banlieue dieci anni fa, ma esploso soprattutto
dopo la vittoria dei socialisti di François Hollande alle presidenziali
del 2012. L’affermazione ora del Front National, sebbene nettamente
riequilibrata al secondo turno, è parte dello stesso fenomeno che ha
scatenato l’islamismo radicale. Entrambi i casi rappresentano una sfida
frontale al vecchio establishment politico. Il 40% degli elettori che
scelgono Le Pen al primo turno non sono tutti fascisti. Si tratta
piuttosto di persone che manifestano sfiducia e rifiuto per la classe
dirigente al potere. E non importa che Sarkozy abbia ora in parte
recuperato. Il messaggio è forte, inequivocabile».
Un voto dominato dalla paura, dalla richiesta di sicurezza?
«Certamente. Le simpatie per il Front National sono alimentate dalla
mancanza di politiche chiare nei confronti dell’immigrazione del mondo
arabo. Impera il timore che possa avvenire quello che i predicatori
islamici radicali chiamano “la grande sostituzione della popolazione
europea originale” con le masse di musulmani. L’estrema destra, inoltre,
raccoglie il malcontento dei tanti che accusano le autorità di non aver
saputo prevenire gli attentati del 13 novembre. E intanto si dimentica
che la Francia ha una lunga e profonda tradizione di studi islamici.
Grazie al nostro passato coloniale, al radicamento in Nord Africa, le
nostre università hanno sempre avuto antenne e sensibilità attente.
Abbiamo gli strumenti per capire e controbattere. Ma oggi questa
tradizione viene ignorata, addirittura smantellata. La nostra debolezza
mi ricorda da vicino quella italiana. Stiamo perdendo la sfida con il
radicalismo islamico, che è culturale prima che politica. Si combatte
nelle scuole, prima che con le armi» .
Nel suo libro si sofferma ad esaminare la perdita di consenso per
Hollande tra l’elettorato musulmano dopo il 2012. Come la spiega?
«Fu una caduta clamorosa. Circa l’80% dei musulmani lo aveva scelto. E
tra loro anche quelli che definisco la terza generazione tra i figli di
immigrati dall’Algeria dopo la decolonizzazione. La generazione da cui
oggi vengono tanti terroristi. Solo pochi mesi dopo, quegli stessi
elettori ritirarono la loro fiducia per Hollande».
Le cause?
«Sono due. In primo luogo la crisi economica, la disoccupazione
galoppante specie tra i musulmani e i nuovi immigrati, che genera
rabbia, alienazione. Ma poi anche la scelta socialista di approvare il
matrimonio tra omosessuali. Fu allora che gli imam nelle moschee
cominciarono a denunciare quelli che definivano “i corrotti corruttori”.
La loro campagna divenne culturale, sociale, ancora prima che
religiosa. I giovani musulmani già marginalizzati si videro coinvolti in
un braccio di ferro identitario sui fondamenti della convivenza civile,
della tradizione, della famiglia, del rapporto donna-uomo, dove loro
diventavano i paladini della nuova moralità. Il disincanto politico nei
confronti dei socialisti e della sinistra laica, tradizionalmente
roccaforti della comunità islamica contro il nazionalismo xenofobo, ha
così dato spazio ai jihadisti salafiti» .
Quali le radici ideologiche dei nuovi jihadisti?
«Vengono specialmente dall’incapacità dimostrata da Al Qaeda di
comunicare con i musulmani europei. Fu evidente dopo gli attentati
dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Nel momento del suo massimo
trionfo propagandistico l’organizzazione di Osama bin Laden evidenziava i
suoi limiti. Restava verticistica, i suoi comunicati erano tediosi,
dottrinali, illeggibili. Fu allora, nel 2005, che apparvero i testi di
Abu Musab al Suri, un giovane teologo di origine siriana, passato dalla
Spagna e approdato in Francia, il quale ha insistito per creare
un’organizzazione reticolare dal basso verso l’alto, fondata sulla
militanza via web. Soprattutto Al Suri ha teorizzato la necessità di
cambiare obiettivi: non colpire più gli Stati Uniti, concentrarsi invece
sull’Europa dai valori deboli, scristianizzata, dubbiosa, vecchia e in
crisi, vero ventre molle dell’Occidente, facile da colpire e ancor più
da terrorizzare e colonizzare» .
Pregi e difetti della conferenza sulla Libia?
«Un fallimento. La comunità internazionale deve parlare con le tribù,
che sono le uniche a controllare il territorio. I politici dei governi
di Tripoli e Tobruk non contano più nulla. E’ stato l’errore di
Bernardino León dar loro troppa importanza. E continua a essere l’errore
dell’Onu e dell’Europa, Italia in testa. C’è inoltre il problema che
molte tribù controllano i pozzi petroliferi, vendono greggio alle
compagnie straniere, dunque si rafforzano, comprano armi, scelgono o
meno di allearsi con Isis»
Il filosofo Pascal Bruckner «I valori del Fronte ora dominano nella società»
di Stefano Montefiori Corriere 14.12.15
HÉNIN-BEAUMONT Dopo gli attentati, ecco lo choc dell’avanzata del FN al
primo turno, il premier Valls che evoca una possibile guerra civile,
infine la corsa alle urne e lo stop a Marine Le Pen al secondo turno.
Come vede la Francia adesso?
«Hollande ha avuto ragione a mantenere le Regionali e la conferenza sul
clima COP21, bisognava dare ai francesi la sensazione che niente è
cambiato, come se gli attentati del 13 novembre fossero stati un
incidente anche se non lo sono affatto. Ma psicologicamente è stato un
bene che i francesi potessero sprofondare di nuovo nella classica
atmosfera elettorale, i litigi, gli anatemi... Non siamo entrati nel
tempo dei terroristi e credo che questo sia un aspetto importante».
Il filosofo Pascal Bruckner, voce spesso critica nei confronti della
«negazione della realtà» che condiziona la politica francese soprattutto
a sinistra, fa il punto su che cosa resta della grande paura FN.
Possiamo dire che ormai i valori del FN, per esempio il patriottismo e
l’orgoglio nazionale, influenzano comunque tutta la politica francese?
«Sì, anche perché in passato la destra e ancora di più la sinistra
avevano abbandonato valori popolari e parte del loro patrimonio come la
bandiera, il patriottismo, le frontiere. Oggi la sinistra non parla
affatto alle classi popolari, preferisce rivolgersi agli immigrati. È la
famosa scelta raccomandata dalla fondazione Terranova, cioè
privilegiare l’alleanza tra i bobo urbani (i facoltosi progressisti
bourgeois-bohème descritti in un libro da David Brooks, ndr ) e gli
immigrati delle periferie, a scapito delle classi popolari. Il Front
National ha occupato idealmente lo spazio vuoto lasciato libero dalla
sinistra».
La società francese è cambiata?
«Sì. I cittadini francesi dopo il 13 novembre si sono messi a cantare
spontaneamente la Marsigliese, non certo l’Internazionale. C’è una
nostalgia della comunità nazionale che in passato è stata occultata, in
molti casi persino ridicolizzata dalla sinistra. La bandiera francese
era considerata fascista. Stiamo uscendo da questo rifiuto della realtà
che negli ultimi anni è stato il problema della sinistra».
In vista delle presidenziali, Hollande e la sinistra si stanno già riposizionando?
«Sì, è innegabile. Basti guardare François Hollande, che non è più la stessa persona.
È persino divertente osservare la sua trasformazione, da notabile di
provincia al comandante delle truppe che lancia l’esercito all’attacco
dei jihadisti».
Quindi adesso la situazione è più favorevole alla sinistra al potere che all’opposizione di Sarkozy?
«Sì, questa è la mia scommessa, e non sono il solo a farla. Credo che
Hollande abbia grandi chance di farsi rieleggere nel 2017, magari al
ballottaggio contro Marine Le Pen. Intanto perché è già all’Eliseo, poi è
stato pessimo in economia ma abbastanza bravo nei momenti difficili.
Sarkozy invece è agitato, pieno di tic, tutto il suo linguaggio del
corpo parla contro di lui. Un’altra così è Marine Le Pen, quando sorride
fa paura, sembra che ti stia per mordere. Alla fine Hollande,
fisicamente insignificante, sta lentamente diventando molto più forte».
Che cosa pensa del programma del Front National?
«Ma nessuno lo conosce davvero questo programma, non lo sanno neanche
loro. Da un punto di vista economico è piuttosto rozzo, lo stesso
dell’estrema sinistra, la pensione a 60 anni, l’uscita dall’euro, è un
po’ delirante. Infatti loro per primi cercano di non parlarne e di
puntare sull’identità e la lotta al fondamentalismo islamico».
Come spiega che a ogni primo turno delle elezioni si parla di choc del Front National, come se fosse una sorpresa?
«Il problema è che in Francia si procede per demonizzazione. Sappiamo
invece che anche un partito di estrema destra può fondersi nella
democrazia, come è successo in Italia con il Msi di Gianfranco Fini».
Ha funzionato il muro di Valls Sarkozy vince ma è più debole
L’idea “fronte repubblicano” premia il premier: “Non abbiamo ceduto niente”
di Leonardo Martinelli La Stampa 14.12.15
Tutti contro il Front national, in difesa della democrazia: quello che i
francesi chiamano il «fronte repubblicano» ha funzionato ieri al
secondo turno delle elezioni regionali. Non era sicuro, c’erano molti
dubbi al riguardo nei giorni precedenti. Ma, invece, alla fine è andata
come nel 2002, quando al ballottaggio delle presidenziali si
affrontarono Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen. E il leader
dell’estrema destra fu decisamente sconfitto. Ieri il Fn, arrivato in
pole position al primo turno il 6 dicembre in sei regioni su tredici, è
stato battuto ovunque.
Schema vincente
Riassunto delle puntate precedenti: i socialisti, subito dopo il primo
turno, avevano subito invocato il «fronte repubblicano». Concretamente
avevano deciso di ritirarsi dal secondo turno nelle due regioni, il Nord
(Nord-Pas-de-Calais e Piccardia) e il Sud-Est (Provenza-Alpi-Costa
Azzurra), dove rispettivamente Marine Le Pen e la nipote Marion
Maréchal-Le Pen rischiavano di vincere. Insomma, il Partito socialista
aveva chiesto ai suoi elettori di votare per il candidato arrivato in
seconda posizione, in entrambi i casi un esponente dei Repubblicani. Il
Ps ha fatto altrettanto nell’Est (Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena),
anche se il loro candidato non ha accettato di ritirarsi. Un’idea del
premier Valls (che ieri ha commentato: «In un momento grave, non abbiamo
ceduto niente»). Ma il leader dei Repubblicani, Nicolas Sarkozy, ha
rigettato la possibilità della solita alleanza in nome della democrazia:
«Né il fronte repubblicano, né il Front national», ha detto.
Scatenando, in realtà, non poche polemiche all’interno della sua
formazione.
Ieri sera, Xavier Bertrand, che sarà il futuro presidente della regione
del Nord, ha dichiarato commosso che la sua «non è la vittoria dei
partiti politici, né la mia personale ma è quella della gente del Nord e
della Picardia». Ha ringraziato «tutti gli elettori di sinistra che
hanno chiaramente votato per me, così da fare barriera contro il Fn»,
per difendere «una certa idea della Francia». Nei giorni scorsi, quando
Sarkozy, sempre più impegnato nel corteggiare gli elettori dell’estrema
destra, aveva sottolineato che «votare Fn non è immorale», Bertrand
aveva invocato i leader del suo partito a livello nazionale «a stare
zitti e basta».
Consegne disattese
«Se gli elettori avessero applicato il principio del né il fronte
repubblicano, né il Front national, i nostri candidati nel Nord e nel
Sud-Est non sarebbero stati eletti», ha rincarato la dose Nathalie
Kosciusko-Morizet, esponente di punta dei Repubblicani, ancora in
polemica con il «capo» Sarkozy. «Non sono disposta - ha aggiunto - a
mettere il Partito socialista e il Front national sullo stesso piano».
Sarkozy esce fortemente indebolito da questa consultazione, almeno nelle
dinamiche interne al suo partito. E in vista delle primarie che l’anno
prossimo dovranno scegliere il candidato della destra per le
presidenziali del 2017.
Intanto da Hénin-Beaumont, cittadina del Nord, amministrata dal Front
national dal 2014, il sindaco Steeve Briois, una delle facce simbolo del
«nuovo» Fn, ha tuonato contro «il fronte repubblicano, che ha giocato
sulle paure. Abbiamo subito una campagna di odio. A questo secondo turno
sono la disonestà e la menzogna che sono prevalse».
Nessuna regione alla Le Pen
“Stessi consensi del primo turno. Alla Le Pen solo voti di protesta” L’analista Dézé: “La normalizzazione? Di facciata”
di Leonardo Martinelli La Stampa 14.12.15
Era già successo alle elezioni dipartimentali lo scorso marzo: per
giorni e giorni, l’anticipazione dei media, in maniera enfatica, di una
vittoria del Front National sulla quale il partito di Marine Le Pen
speculava, eccome. Ma alla fine, al secondo turno, fanno sempre flop.
Per il momento, quello scalino non riescono a superarlo». A parlare è
Alexandre Dézé, ricercatore al Cepel (Centro di studi politici
dell’Europa latina), docente all’università di Montpellier.
Però una settimana fa il Fn era diventato il primo partito di Francia, balzando sopra la soglia del 30%...
«Sì, ma è interessante vedere l’evoluzione dei voti tra il primo e il
secondo turno. A parte nel Sud-Est (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), non
c’è stato un aumento dei voti per il Front national, che aveva esaurito
il suo bacino di voti il 6 dicembre. C’è pure qualche possibilità di
spostamento di consensi dal Fn verso altri partiti fra il primo e il
secondo turno».
Cosa significa?
«Quello per il partito di estrema destra resta un voto di protesta. Ma
la maggioranza dei francesi, quando c’è la possibilità di mandarlo al
potere, si rifiuta di farlo. Questo voto dà ovviamente indicazioni
interessanti anche in vista delle presidenziali del 2017, sulle reali
possibilità per la Le Pen di imporsi al secondo turno, al di là di
quello che scrivono tanti giornali e dicono numerosi osservatori».
Il ruolo dei media ha favorito la Le Pen?
«Di sicuro. Il problema è che attualmente l’unico argomento politico che
interessa i francesi è il Front National e la saga dei Le Pen. Per il
resto si annoiano terribilmente e non hanno neanche tutti i torti.
L’enfatizzazione sul fenomeno Fn gioca a favore del partito di estrema
destra. Senza contare che tutto questo ha portato certe riviste a
interessarsi addirittura agli animali di compagnia di Marine Le Pen, ai
suoi gusti per i vestiti, ai suoi possibili problemi di coppia.
Normalizzandola, appunto, e dimenticando che Marine Le Pen è la leader
dell’estrema destra. E soprattutto dimenticando quello che pensa e
dice».
Lei è coautore di un saggio appena pubblicato dalla casa editrice di
Sciences Po a Parigi, dal titolo «Le finzioni del Front National:
sociologia di un partito politico». Non crede alla “dédiabolisation” del
partito da parte della Le Pen?
«No, è puro lifting. Quelle che da sempre sono le idee di base del Front
sono in gran parte rimaste le stesse. Come il concetto di “preferenza
nazionale”, per cui, ad esempio, i diritti sociali devono essere
riservati solo ai francesi e non agli stranieri che vivono nel nostro
paese: è un principio anticostituzionale ed è rimasta una delle idee
portanti del Front national, anche dopo questo fantomatico
sdoganamento».
La cacciata di Jean-Marie Le Pen non ha cambiato nulla?
«Solo all’apparenza. Anzi, da quando il patriarca è stato espulso dal
partito, la Le Pen ha reso ancora più duro il suo discorso sugli
immigrati. Dobbiamo metterci nella testa che la normalizzazione che lei
avrebbe realizzato costituisce davvero poca cosa rispetto a quello che
fece in Italia Gianfranco Fini trasformando il Movimento sociale in
Alleanza nazionale».
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