venerdì 29 gennaio 2016

Sulla pianura di Armageddon

Eric Cline: Armageddon. La valle di  tutte le battaglie, Bollati Boringhieri

Risvolto

C’è un luogo della bassa Galilea, nell’odierno Stato d’Israele, che ha forse visto il maggior numero di battaglie al mondo: è la valle di Jezreel, Esdraelon nella Bibbia. Su una collina, ai margini della fertile piana sottostante, sorge Megiddo, una delle città più antiche di cui si abbia notizia. Abitata fin dal 7000 a.C., oggi è un sito archeologico offerto ai turisti, ma a suo tempo fu una potente città-stato, situata strategicamente sul crocevia degli antichi sentieri che collegavano tra loro le superpotenze dell’antichità: Mesopotamia (a Oriente), Egitto (a Meridione) e Anatolia (a Settentrione). Pochi chilometri verso Occidente si apre il Mar Mediterraneo, con le sue rotte commerciali e le sue navi da guerra a solcarne le onde.
Qui il faraone Pepi I combatté nel 2350 a.C. una delle prime battaglie di cui si abbia notizia storica; qui, quasi mille anni dopo, Thutmose III sconfisse i cananei, e cinque secoli dopo re Saul e suo figlio Gionata vennero uccisi dai filistei. Luogo strategico di un’eterna «periferia contesa», Megiddo vide passare le armate di tutti gli eserciti, dalle truppe romane di Vespasiano (67 d.C.) all’ondata irresistibile degli arabi (946), dai bizantini (975) ai Crociati (1187), dai Mamelucchi (1270) a Napoleone (1799), per finire con gli inglesi del generale Allenby (1918) e gli israeliani della base aerea di Ramat David (1973). Tutto in un fazzoletto di terra.
L’ebraico Har Megiddo, «monte di Megiddo», a un orecchio greco suona «Armageddon», e non è un caso che proprio qui venga posta nel libro dell’Apocalisse la battaglia definitiva tra il Bene e il Male.
Eric Cline rende viva sotto i nostri occhi questa piccola valle e le sue molte battaglie, raccontandoci con prosa avvincente tutte le luminose speranze, le vittorie inebrianti e le tragiche sconfitte che hanno fatto di questo luogo uno dei punti in assoluto più contesi del pianeta, in ogni epoca.

Eric H. Cline è docente nel Dipartimento di Lingue e civiltà classiche del Vicino Oriente e Direttore del Capitol Archaeological Institute presso la George Washington University. Ha al suo attivo decine di campagne di scavo in Israele, Egitto, Giordania, Cipro, Grecia, Creta e negli Stati Uniti, tra le quali nove campagne presso Megiddo (l’Armageddon della Bibbia), in Israele, di cui codirige il sito archeologico. Ha vinto per ben tre volte il Premio «Best Popular Book on Archaeology» della Biblical Archaeological Society, è spesso apparso in televisione e in radio ed è prolifico autore di articoli scientifici e di libri divulgativi, tra i quali ricordiamo Jerusalem Besieged. From Ancient Canaan to Modern Israel (2004), From Eden to Exile. Unraveling Mysteries of the Bible (2007), Biblical Archaeology.A Very Short Introduction (2009) e The Trojan War. A Very Short Introduction (2013). Per Bollati Boringhieri è uscito 1177 a.C. Il collasso della civiltà (2014, quattro edizioni).



Armageddon, la piana della guerra eterna
L’archeologo americano Eric Cline racconta le 34 battaglie combattute in 4 mila anni a Megiddo, vicino all’odierna Haifa
di Domenico Quirico La Stampa 29.1.16
È vero dunque. La guerra possiede in sommo grado il carattere essenziale del sacro; sembra proibire che la si consideri con obiettività. Paralizza il senso critico. E’ temibile e impressionante. La si maledice, la si esalta. La guerra è, purtroppo, eterna.
Chiudi l’ultima pagina di Armageddon dell’archeologo americano Eric Cline uscito per Bollati Boringhieri; le cartine degli eventi terribili che hanno, nei secoli, avuto come sfondo «la valle di tutte le battaglie» si sovrappongono indecifrabili, identiche, una all’altra. Ah! come è semplice la guerra quando la riduci a frecce e piccoli segni simbolici, cavalleria fanti carri armati, su un foglio bianco…E gli uomini, i morti, i piagati, gli assassini dove sono? Qual è il loro segno?
Pensi a quel momento che c’è in ogni battaglia, piccola o grande; tutti i soldati del mondo possono raccontarlo con le stesse parole, secolo dopo secolo. E’ il momento del silenzio in cui il tempo si comprime al punto di esplodere. Tutto subito, niente poi! Si è fermato l’urlo dei cannoni o il clamore delle lance battute contro i grandi scudi di bronzo. Solo ogni tanto qualche cigolio, un breve suono rauco di voci e quel rumore vago che fanno i soldati quando si preparano a qualcosa. È un rumore di caccia. È una sensazione insopportabile. È come essere la belva nel bosco, l’animale ferito nel bosco che ode i cacciatori avvicinarsi, e l’ansimare frettoloso dei cani, e le voci dei cacciatori.
Non è colpa dei soldati se li hanno trascinati lì non come uomini ma come povere bestie, destinati a morire per gli spauracchi della gloria, della patria, di una manciata di denaro, loro che sono poveri, della libertà, loro schiavi, dell’avvenire del mondo, loro che invece moriranno domani, loro che hanno un avvenire di un’ora di una notte di un minuto di un istante.
E poi pensi a quel particolare stato di esaltazione vitale che segue la guerra: sono scampato! Adesso vivrò per moltissimo tempo, adesso voglio essere davvero felice, e invece arriva un’altra guerra... Nell’Occidente virtuoso e pacifico la guerra sembrava sempre più anacronistica. Selvaggia e incomprensibile, non era più la continuazione della politica con altri mezzi. Era in fondo una faccenda di altri che esplode sullo schermo ogni tanto, quando sfugge ai campi di battaglia afgani o africani. Eppure l’atto tipico che gli uomini compiono in guerra non è morire: è uccidere.
Oggi siamo di fronte a guerre nuove, vissute da coloro che le combattono, i jihadisti, come fonte di fascino e di terrore, ossessione che attanaglia le menti, pietra di paragone che svela ogni potenza fittizia, e criterio irrecusabile davanti a cui crolla ogni impostura e impurità. Sì, dobbiamo di nuovo studiare la guerra.
Cline racconta minuziosamente, lentamente, come un tempo davanti al fuoco, con il ritmo che era degli aedi e dei menestrelli. Racconta una unica, interminabile battaglia durata dal 2350 avanti Cristo quando un faraone annientò i cananei, fino oggi, alle guerre di Israele. Unico il luogo: la pianura di Jezreel, vicino all’antica Megiddo, una piccola valle intrisa di sangue sulla strada che portava, da tempi immemorabili, dall’Egitto all’Eufrate. Ci sono lì città e villaggi e campi ben disegnati, ma non riesci a pensarla come un luogo normale con abitanti pacifici e fuochi accesi: tutto vi sembra perennemente morto. Una terra morta, di un nero spesso e indistinguibile, giace sotto un cielo vivo e tralucente; dove tutto è al suo posto per lo spettacolo cruento, tutto conosce il proprio limite e la propria legge.
Qui si sono uccisi egizi e amaleciti, filistei e romani, bizantini, musulmani, crociati, mamelucchi, mongoli, francesi ottomani, inglesi, australiani tedeschi, arabi, israeliani. Oscuri generali e grandi condottieri, Thumose, Gedeone, Antioco, Vespasiano, il Saladino, Napoleone, Allenby, vi hanno perso la fama o hanno afferrato la gloria. Migliaia e migliaia di uomini sono morti, hanno, invano, invocato pietà, hanno maledetto e hanno pianto. Molti di coloro che vi sono sopravvissuti hanno scritto di sé. A cominciare dal faraone Thumose che ha fatto tutto incidere nella pietra eterna del suo monumento di Karnak; fino al vanitoso generale inglese Allenby che vi schiantò l’impero turco disintegrando il mondo (e gli effetti ancora proviamo).
Ma gli altri, quelli che sono sepolti sotto quella terra e quelle pietre? Quello che penarono quel giorno i condannati, guardando il cielo turchino ma estraneo, la straniera montagna e il fiume indifferente, è rimasto laggiù sepolto nelle tombe senza nome, generazione dopo generazione. Una incandescenza infinita, trentaquattro battaglie in quattromila anni! La guerra è davvero eterna. Ma la valle di Jezreel è il luogo in cui Giovanni ha vaticinato si svolgerà la penultima battaglia tra le forze del Bene e del Male, e gli uomini ahimè! si arruoleranno con l’Anticristo. Quale altro posto potrebbero essere più adatto? Armageddon: dall’ebraico «har Megiddo’», il monte di Megiddo. E in questa zona, in quella che fu la Siria romana, anche l’islam ha posto lo scenario di un’altra escatologica resa dei conti.
La valle di Armageddon è come una faglia. Qui si scontrano, perché la geografia li condanna, il Nord e il Sud del mondo, gli invasori e quelli che resistono loro. La guerra vi fu scritta nel paesaggio il giorno della creazione e così continua monotonamente il suo cammino. Uomini scagliano frecce, colpiscono con le lance, rispondono al fuoco di fucili e cannoni. Poi scompaiono di nuovo aggiungendo la loro piccola quota ai morti del mondo. 

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