domenica 14 febbraio 2016

L'illusione europeista e keynesiana-continentale obnubila anche le menti migliori


Maurizio Ferrera: Rotta di collisione. Euro contro welfare?, Laterza


Risvolto
  L’Europa dei vincoli e delle sanzioni ha superato il limite. Servono nuove formule per riconciliare integrazione economica e modello sociale europeo.

La Ue sta indebolendo lo stato sociale dei suoi Paesi membri? Perché è così difficile far convivere solidarietà nazionale e integrazione economica europea?
Sono interrogativi dettati dalle scelte fatte negli ultimi anni dalle autorità sovranazionali dell’Unione, che hanno colpito soprattutto i giovani e le fasce vulnerabili della popolazione. La riconciliazione tra welfare ed Europa non è una missione impossibile. Essa richiede però un ambizioso lavoro intellettuale e politico. Occorre elaborare un modello di Unione che consenta alla democrazia e al welfare di funzionare anche in un’economia integrata. E intorno a questo modello bisogna costruire il necessario consenso, fra paesi e fra cittadini.
Maurizio Ferrera formula proposte concrete per muovere in questa direzione e sollecita le élites nazionali e le autorità di Bruxelles a impegnarsi in un serio investimento politico per rafforzare la Ue e accrescere la sua capacità di garantire protezione sociale e sicurezza esterna. Solo così il progetto europeo potrà produrre benefici diffusi ed equamente distribuiti e dunque riconquistare la legittimità perduta.




Dalla crisi può nascere la vera Europa
di Nadia Urbinati Repubblica 13.2.16
LE CRISI possono diventare occasioni importanti di rinnovamento e di ridefinizione di vecchi equilibri di potere, soprattutto in quelle congiunture storiche nelle quali l’ordine esistente si alimenta della rovinosa continuazione della situazione di stallo. Questa è stata per molti versi la dinamica che ha visto nascere l’ideale europeo moderno. Essa si è sprigionata dall’interno dell’Europa dei totalitarismi e dei nazionalismi; anzi, dalle prigioni e dai luoghi di confino dove quei regimi liberticidi avevano voluto mettere a tacere gli avversari politici. L’ideale di una unione politica continentale fu maturato nella clandestinità, intuizione di pochi visionari convinti che solo gettando il cuore oltre l’ostacolo si potesse sconfiggere lo status quo e dar vita all’Europa del dopo, democratica e pacifica. È importante ricordare oggi che fu all’interno di una cornice anti-nazionalistica che prese corpo il Manifesto di Ventotene, uno dei prodotti più significativi dell’ideale liberal socialista.
Nelle interviste di Eugenio Scalfari a Laura Boldrini e di Stefano Folli a Giorgio Napolitiano, ospitate su Repubblica, non si può non sentire la forza di quell’ideale, e soprattutto la consapevolezza che ci troviamo, di nuovo, in una situazione di stallo critico, di equilibrio catastrofico che può avere esiti regressivi. Perché, come allora, anche oggi i pericoli al progetto di unione vengono dal nazionalismo, populista e non. Ben inteso, da quando la crisi economica si è abbattuta sul nostro continente e le politiche europee hanno messo a dura prova le politiche economiche e fiscali nazionali, le rimostranze degli Stati membri non sono state sempre ingiustificate. Le resistenze della Grecia, che lo scorso anno si trovò pressoché sola a contestare Bruxelles e la Troika, hanno aperto tuttavia un fronte nel quale altri paesi oggi sembrano volersi identificare. Le polemiche sulle politiche monetarie e le regole bancarie, sulla mancanza di una politica comune sull’immigrazione e il rischio di sospendere provvisoriamente Schengen: tutte queste questioni aperte, e le dinamiche politiche che possono innescare, ci inducono a temere per il futuro del progetto europeo.
Chi può rompere questo stallo, questo equilibrio potenzialmente catastrofico? Sostiene Napolitano, con ottime ragioni, che solo chi sa vedere oltre le strette politiche nazionali, chi non si lascia incagliare nelle questioni locali, può vincere la battaglia europea e, quindi, anche quella nazionale. Non vi è modo per reagire a chi vuole rialzare muri e chiudere le frontiere se non portando il cuore oltre l’ostacolo, progettando una soluzione che non sia nè un ritorno al passato, con gli stati padroni (nani) in casa loro, ma nemmeno la persistenza dello status quo, magari per strappare con trattative nazionali un piccolo “parecchio”. L’Europa degli accordi intergovernativi che si è stabilizzata in questi anni di crisi rischia di aprire entrambi questi scenari, alimentando una voglia di secessione. Per contenere sul nascere questi esiti occorrerebbero grandi leader, visionari che sappiano convicere i loro cittadini e quelli europei che il vero utile nazionale si persegue con politiche anti-nazionaliste. Che si deve volere l’Europa per voler il bene delle proprie società nazionali.
L’Europa deve farsi politica, dunque; superare il livello intermedio dell’attuale costituzionalismo funzionale, indiretto e burocratico, per marcare il corso verso un costituzionalismo compiutamente politico, dove obiezioni e proposte possano godere di legittimità democratica. E che sia il presidente della Bce, Mario Draghi, a farsi propugnatore di questo salto oltre l’ostacolo, a suggerire una unione politica “più perfetta” come direbbero gli americani, a prospettare la necessità di una politica bancaria e fiscale europea, strada verso un governo continentale legittimo, rende pienamente il senso della situazione grave nella quale si trova il progetto di Ventotene. Non leader politici, ma un leader “tecnico”, responsabile di un potere neutro, sente l’urgenza di avviare un’innovazione istituzionale forte. L’Europa con un bilancio comune, con politiche fiscali comuni e cogenti, condizioni essenziali per una vera unione monetaria e bancaria: l’Europa come progetto federale.
Nell’Europa autoritaria e dei totalitarismi, nacque una visione politica e morale che aveva un respiro sovrannazionale. Il Manifesto di Ventotene rispecchiava quella visione assai fedelmente quando sosteneva che “il principio di libertà” é fondamento della società umana e la critica di “tutti quegli aspetti della società che non hanno rispettato quel principio”. In conseguenza di ciò dichiarava il nazionalismo degli Stati come il vero responsabile della Prima guerra mondiale e dell’imperialismo nazionalista che ne era seguito. Il Manifesto sosteneva inoltre che senza il superamento della sovranità assoluta degli Stati la diseguaglianza economica e il nazionalismo avrebbero continuato ad essere un rischio per la pace, anche qualora gli stati europei fossero divenuti democratici. Fino a quando non fosse stata superata la prospettiva nazionalistica, non ci sarebbe stato futuro sicuro né per la pace né per la libertà. Traducendo il paradigma di Kant in un programma politico, i visionari di Ventotene lanciavano il loro doppio progetto: una trasformazione democratica e costituzionale interna agli stati (che è avvenuta), e la creazione di una federazione europea (che stenta ancora a nascere). 

“Non basta l’anti-austerità serve piano Ue di investimenti”
di Eugenio Occorsio Lucrezia Reichlin Repubblica 13.2.16
ROMA. «L’Italia è andata leggermente peggio delle aspettative, ma è l’intera Europa che sta rallentando in modo inaspettato, probabilmente come effetto ritardato del rallentamento in corso da un anno dell’economia Usa». Lucrezia Reichlin, economista della London Business School, invita a considerare la scarsa crescita un problema europeo.
Lei condivide la crociata del premier contro l’austerity?
«Un invito ai nostri partner a pensare in grande è benvenuto, ma non è utile lamentarsi genericamente dell’austerità e chiedere flessibilità delle regole. Per stare insieme abbiamo bisogno di regole e la proposta deve essere non di renderle flessibili ma di ridisegnarle in modo che siano compatibili con politiche comuni per la crescita».
L’eurogruppo è stato tranchant: rispettate i trattati.
«Purtroppo siamo entrati in un gioco di provocazione reciproca non costruttivo. Bisogna essere propositivi: aumentare la capacità fiscale a livello federale, pensare a un piano comune per fronteggiare la crisi dei migranti, affrontare in modo realistico il debito, e via dicendo. La contrattazione disordinata e individuale di singoli Paesi su varie voci di flessibilità espone al rischio di una nuova crisi dei debiti».
Perché l’intera Europa rallenta? Solo per lo stop degli Usa?
«Il ciclo economico europeo è tradizionalmente in leggero ritardo rispetto a quello degli Usa. La crisi del debito degli scorsi anni aveva interrotto questa relazione ma ora si è ripristinata. Siamo ripartiti proprio quando l’economia Usa ha cominciato a rallentare e ora l’influenza negli Stati Uniti ci ha fatto prendere il raffreddore. La ripresa c’è, ma i dati della produzione industriale per dicembre indicano un rallentamento in tutta l’area euro».
Pesa il fattore banche?
«Sulle banche la reazione dei mercati è troppo negativa. Sono in una situazione diversa dal 2008 ma a livello mondiale c’è timore sulla loro profittabilità per la prospettiva di tassi negativi e il rallentamento dell’economia. In Italia, ci sono poi i crediti deteriorati e l’incertezza sulla nuova regolamentazione. L’economia è dipendente dal credito bancario e questo è un fattore di rischio per la ripresa. Serve un’azione energica per facilitare il mercato secondario dei crediti deteriorati».

L’importanza di sentirsi europei Ferrera: serve un autentico senso di solidarietà per conciliare integrazione comunitaria e tutele sociali La crisi ha innescato tensioni che insidiano le istituzioni di Bruxelles 17 feb 2016  Corriere della Sera Di Michele Salvati
Maurizio Ferrera, opinionista di questo giornale, è uno dei massimi esperti di Welfare State, noto e apprezzato a livello internazionale. Insieme, è un grande conoscitore dei meccanismi decisionali dell’Unione Europea: Bruxelles è casa sua. E oltre a essere uno scienziato sociale — dunque scrupoloso analista dei fatti e delle istituzioni — è un teorico politico, che riflette sulle grandi tendenze evolutive che da quelle analisi ricava. È infine un filosofo politico, uno degli ultimi allievi di Norberto Bobbio. Naturale dunque aspettarsi molto da questo suo ultimo libro Rotta di collisione. Euro contro Welfare? (Laterza). Le attese non vengono deluse. I dubbi e le difficoltà che in questa fase storica tormentano l’Europa in un disegno di Doriano Solinas
«L’edificazione del Welfare State a livello nazionale e l’integrazione sempre più stretta tra i Paesi del Vecchio continente — scrive Ferrera — sono stati gli obiettivi politici e ideali più salienti del secondo Novecento. Nell’ultimo ventennio queste due costruzioni istituzionali sono entrate in una crisi profonda e, quel che è peggio, sembrano aver imboccato una rotta di collisione». Ne sono testimonianza quattro linee di tensione che ormai da qualche anno segnano il panorama politico europeo: 1) euro-austerità vs protezione sociale; 2) Nord vs Sud, ossia Paesi «creditori» vs Paesi «debitori»; 3) Ovest vs Est, ossia il tema dell’immigrazione e dell’accesso al welfare da parte dei cittadini della «nuova Europa»; 4) «Bruxelles» (le istituzioni sovranazionali) contro Stati membri e «la loro sovranità in ambiti ritenuti cruciali come le pensioni e il mercato del lavoro».
Il libro parte da una illustrazione di questi conflitti e prosegue con una discussione delle cause che hanno attivato la «collisione» per affrontare infine la domanda cruciale: è possibile promuovere una riconciliazione tra «Welfare» ed «Europa», salvaguardando così i tratti essenziali del modello sociale europeo anche nel contesto di una «unione sempre più stretta» tra Paesi che usano la stessa moneta? La risposta dell’autore è positiva. La riconciliazione è possibile, ma richiede un ambizioso lavoro intellettuale (valori, idee) e politico (costruzione del consenso e riforme istituzionali). Il messaggio di base è che l’Unione non può restare soltanto uno «spazio» economico-finanziario, ma deve diventare anche un «posto», un «luogo», un terreno comune di condivisione, capace di ispirare fiducia e nel quale i singoli cittadini (e i vari demoi, le comunità nazionali, nei quali ancora si raggruppano) possano sentirsi davvero a casa propria.
La parte da scienziato politico e sociale, quella più descrittiva e analitica («Europa e Welfare: incontro o scontro?»), occupa il primo lungo capitolo: è in questo che si spiega come siano sorte e si siano intensificate — dopo la crisi finanziaria americana del 2008 — le quattro «linee di tensione» accennate più sopra, dopo quasi un decennio di Unione monetaria in cui tutto sembrava andar bene e ben pochi pensavano all’insorgenza di tensioni così gravi. La stessa storia viene poi ripresa a un livello più generale nei due capitoli successivi («Ripensare il Welfare, ripensare l’Europa» e «Ragion di Stato contro Ragion di Mercato»), dove è il Ferrera teorico politico che soprattutto parla e inizia a parlare anche il filosofo, a dare giudizi normativi e a proporre soluzioni. Per questi due cruciali capitoli temo di non essere il recensore critico più adatto, perché il mio consenso come political economist e come sostenitore di valori politici liberal-democratici è completo. Anch’io sono convinto che l’Unione Europea e il Welfare State siano stati due tappe fondamentali di quel drammatico processo di civilizzazione — drammatico perché sovente interrotto — che l’Europa ha conosciuto a partire dall’Evo moderno: la costruzione prima e poi il tentativo di superamento degli Stati nazionali; il passaggio da un ordine politico costituzional-liberale a uno liberal-democratico. Un passaggio in cui la costruzione del Welfare State nazionale, nel secondo dopoguerra, fu un momento essenziale. Ma un passaggio problematico, perché la cornice nazionale del Welfare State si sta mostrando molto resistente, assai difficile da allargare al contesto sovranazionale dell’Unione Europea. Di qui la «rotta di collisione» di cui parla Ferrera.
Le forze che spingono verso la collisione sono essenzialmente due, operanti insieme. La prima e principale sta nei legami di solidarietà nel loro tentativo di prevalere l’uno sull’altro, possono profittare delle insoddisfazioni dei cittadini per stimolare e assecondare pulsioni populiste e antieuropee. Tendenze antiunitarie, l’illusione di star meglio in una casa piccola e calda che non in una casa grande e aperta al mondo, sono oggi evidenti in Europa persino in Stati nazionali di lunga storia — si pensi alla Gran Bretagna, o alla Spagna o, in Italia, alle richieste della Lega di pochi anni fa. Facile immaginare le difficoltà che affronta quello strano embrione di Stato che è l’Unione Europea sulla strada che dovrebbe portarla a una ever closer Union.
Sono tanti gli studiosi e i politici — quelli che hanno sinceramente a cuore i due grandi obiettivi dell’Unione Europea e del Welfare State — a riflettere su queste difficoltà. Per superarle la strategia scelta da Ferrera è insieme paziente e radicale: esplorare i principi etico-normativi che possano lentamente indurre i popoli (e i politici) europei a riconoscere la comune esigenza di un bilanciamento delle ragioni di responsabilità economica e di solidarietà su cui deve basarsi l’Unione. A spingerli a uscire dalla gabbia d’acciaio di una burocrazia invadente e politicamente irresponsabile e dalla asfissiante «Ragion di mercato» in cui l’Unione si è rinchiusa. Però senza voler scaricare sui vicini compiti che ricadono su ogni singolo Stato, ciò che condurrebbe al fallimento l’intero progetto. Il processo politico suggerito («La via d’uscita: riconciliare e sistemare» è il titolo del quarto e ultimo capitolo) non richiede un demos che attualmente non c’è, ma è possibile anche per tanti demoi legati solo da vincoli di «buon vicinato e sobria fratellanza», consapevoli che l’aiuto reciproco è conveniente per tutti nel lungo periodo. Qui non mi è possibile neppure dare un’idea del modo raffinato e persuasivo in cui Ferrera affronta questi delicati problemi normativi e li lega a scelte politiche concrete e incombenti. Mi preme solo sottolineare che è il primo a sapere che le cose potrebbero andar male se i popoli europei ascoltassero le sirene di leader populisti: il titolo delle conclusioni — «Cercansi leader disperatamente» — e sottolineo disperatamente, esprime le preoccupazioni dell’autore.

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