Maurizio Ferrera: Rotta di collisione. Euro contro welfare?, Laterza
Risvolto
L’Europa dei vincoli e delle sanzioni ha superato il limite. Servono
nuove formule per riconciliare integrazione economica e modello sociale
europeo.
La Ue sta indebolendo lo stato sociale dei suoi Paesi membri? Perché è
così difficile far convivere solidarietà nazionale e integrazione
economica europea?
Sono interrogativi dettati dalle scelte fatte negli ultimi anni dalle
autorità sovranazionali dell’Unione, che hanno colpito soprattutto i
giovani e le fasce vulnerabili della popolazione. La riconciliazione tra
welfare ed Europa non è una missione impossibile. Essa richiede però un
ambizioso lavoro intellettuale e politico. Occorre elaborare un modello
di Unione che consenta alla democrazia e al welfare di funzionare anche
in un’economia integrata. E intorno a questo modello bisogna costruire
il necessario consenso, fra paesi e fra cittadini.
Maurizio Ferrera formula proposte concrete per muovere in questa
direzione e sollecita le élites nazionali e le autorità di Bruxelles a
impegnarsi in un serio investimento politico per rafforzare la Ue e
accrescere la sua capacità di garantire protezione sociale e sicurezza
esterna. Solo così il progetto europeo potrà produrre benefici diffusi
ed equamente distribuiti e dunque riconquistare la legittimità perduta.
Dalla crisi può nascere la vera Europa
di Nadia Urbinati Repubblica 13.2.16
LE
CRISI possono diventare occasioni importanti di rinnovamento e di
ridefinizione di vecchi equilibri di potere, soprattutto in quelle
congiunture storiche nelle quali l’ordine esistente si alimenta della
rovinosa continuazione della situazione di stallo. Questa è stata per
molti versi la dinamica che ha visto nascere l’ideale europeo moderno.
Essa si è sprigionata dall’interno dell’Europa dei totalitarismi e dei
nazionalismi; anzi, dalle prigioni e dai luoghi di confino dove quei
regimi liberticidi avevano voluto mettere a tacere gli avversari
politici. L’ideale di una unione politica continentale fu maturato nella
clandestinità, intuizione di pochi visionari convinti che solo gettando
il cuore oltre l’ostacolo si potesse sconfiggere lo status quo e dar
vita all’Europa del dopo, democratica e pacifica. È importante ricordare
oggi che fu all’interno di una cornice anti-nazionalistica che prese
corpo il Manifesto di Ventotene, uno dei prodotti più significativi
dell’ideale liberal socialista.
Nelle interviste di Eugenio
Scalfari a Laura Boldrini e di Stefano Folli a Giorgio Napolitiano,
ospitate su Repubblica, non si può non sentire la forza di quell’ideale,
e soprattutto la consapevolezza che ci troviamo, di nuovo, in una
situazione di stallo critico, di equilibrio catastrofico che può avere
esiti regressivi. Perché, come allora, anche oggi i pericoli al progetto
di unione vengono dal nazionalismo, populista e non. Ben inteso, da
quando la crisi economica si è abbattuta sul nostro continente e le
politiche europee hanno messo a dura prova le politiche economiche e
fiscali nazionali, le rimostranze degli Stati membri non sono state
sempre ingiustificate. Le resistenze della Grecia, che lo scorso anno si
trovò pressoché sola a contestare Bruxelles e la Troika, hanno aperto
tuttavia un fronte nel quale altri paesi oggi sembrano volersi
identificare. Le polemiche sulle politiche monetarie e le regole
bancarie, sulla mancanza di una politica comune sull’immigrazione e il
rischio di sospendere provvisoriamente Schengen: tutte queste questioni
aperte, e le dinamiche politiche che possono innescare, ci inducono a
temere per il futuro del progetto europeo.
Chi può rompere questo
stallo, questo equilibrio potenzialmente catastrofico? Sostiene
Napolitano, con ottime ragioni, che solo chi sa vedere oltre le strette
politiche nazionali, chi non si lascia incagliare nelle questioni
locali, può vincere la battaglia europea e, quindi, anche quella
nazionale. Non vi è modo per reagire a chi vuole rialzare muri e
chiudere le frontiere se non portando il cuore oltre l’ostacolo,
progettando una soluzione che non sia nè un ritorno al passato, con gli
stati padroni (nani) in casa loro, ma nemmeno la persistenza dello
status quo, magari per strappare con trattative nazionali un piccolo
“parecchio”. L’Europa degli accordi intergovernativi che si è
stabilizzata in questi anni di crisi rischia di aprire entrambi questi
scenari, alimentando una voglia di secessione. Per contenere sul nascere
questi esiti occorrerebbero grandi leader, visionari che sappiano
convicere i loro cittadini e quelli europei che il vero utile nazionale
si persegue con politiche anti-nazionaliste. Che si deve volere l’Europa
per voler il bene delle proprie società nazionali.
L’Europa deve
farsi politica, dunque; superare il livello intermedio dell’attuale
costituzionalismo funzionale, indiretto e burocratico, per marcare il
corso verso un costituzionalismo compiutamente politico, dove obiezioni e
proposte possano godere di legittimità democratica. E che sia il
presidente della Bce, Mario Draghi, a farsi propugnatore di questo salto
oltre l’ostacolo, a suggerire una unione politica “più perfetta” come
direbbero gli americani, a prospettare la necessità di una politica
bancaria e fiscale europea, strada verso un governo continentale
legittimo, rende pienamente il senso della situazione grave nella quale
si trova il progetto di Ventotene. Non leader politici, ma un leader
“tecnico”, responsabile di un potere neutro, sente l’urgenza di avviare
un’innovazione istituzionale forte. L’Europa con un bilancio comune, con
politiche fiscali comuni e cogenti, condizioni essenziali per una vera
unione monetaria e bancaria: l’Europa come progetto federale.
Nell’Europa
autoritaria e dei totalitarismi, nacque una visione politica e morale
che aveva un respiro sovrannazionale. Il Manifesto di Ventotene
rispecchiava quella visione assai fedelmente quando sosteneva che “il
principio di libertà” é fondamento della società umana e la critica di
“tutti quegli aspetti della società che non hanno rispettato quel
principio”. In conseguenza di ciò dichiarava il nazionalismo degli Stati
come il vero responsabile della Prima guerra mondiale e
dell’imperialismo nazionalista che ne era seguito. Il Manifesto
sosteneva inoltre che senza il superamento della sovranità assoluta
degli Stati la diseguaglianza economica e il nazionalismo avrebbero
continuato ad essere un rischio per la pace, anche qualora gli stati
europei fossero divenuti democratici. Fino a quando non fosse stata
superata la prospettiva nazionalistica, non ci sarebbe stato futuro
sicuro né per la pace né per la libertà. Traducendo il paradigma di Kant
in un programma politico, i visionari di Ventotene lanciavano il loro
doppio progetto: una trasformazione democratica e costituzionale interna
agli stati (che è avvenuta), e la creazione di una federazione europea
(che stenta ancora a nascere).
“Non basta l’anti-austerità serve piano Ue di investimenti”
di Eugenio Occorsio Lucrezia Reichlin Repubblica 13.2.16
ROMA.
«L’Italia è andata leggermente peggio delle aspettative, ma è l’intera
Europa che sta rallentando in modo inaspettato, probabilmente come
effetto ritardato del rallentamento in corso da un anno dell’economia
Usa». Lucrezia Reichlin, economista della London Business School, invita
a considerare la scarsa crescita un problema europeo.
Lei condivide la crociata del premier contro l’austerity?
«Un
invito ai nostri partner a pensare in grande è benvenuto, ma non è
utile lamentarsi genericamente dell’austerità e chiedere flessibilità
delle regole. Per stare insieme abbiamo bisogno di regole e la proposta
deve essere non di renderle flessibili ma di ridisegnarle in modo che
siano compatibili con politiche comuni per la crescita».
L’eurogruppo è stato tranchant: rispettate i trattati.
«Purtroppo
siamo entrati in un gioco di provocazione reciproca non costruttivo.
Bisogna essere propositivi: aumentare la capacità fiscale a livello
federale, pensare a un piano comune per fronteggiare la crisi dei
migranti, affrontare in modo realistico il debito, e via dicendo. La
contrattazione disordinata e individuale di singoli Paesi su varie voci
di flessibilità espone al rischio di una nuova crisi dei debiti».
Perché l’intera Europa rallenta? Solo per lo stop degli Usa?
«Il
ciclo economico europeo è tradizionalmente in leggero ritardo rispetto a
quello degli Usa. La crisi del debito degli scorsi anni aveva
interrotto questa relazione ma ora si è ripristinata. Siamo ripartiti
proprio quando l’economia Usa ha cominciato a rallentare e ora
l’influenza negli Stati Uniti ci ha fatto prendere il raffreddore. La
ripresa c’è, ma i dati della produzione industriale per dicembre
indicano un rallentamento in tutta l’area euro».
Pesa il fattore banche?
«Sulle
banche la reazione dei mercati è troppo negativa. Sono in una
situazione diversa dal 2008 ma a livello mondiale c’è timore sulla loro
profittabilità per la prospettiva di tassi negativi e il rallentamento
dell’economia. In Italia, ci sono poi i crediti deteriorati e
l’incertezza sulla nuova regolamentazione. L’economia è dipendente dal
credito bancario e questo è un fattore di rischio per la ripresa. Serve
un’azione energica per facilitare il mercato secondario dei crediti
deteriorati».
L’importanza di sentirsi europei Ferrera: serve un autentico senso di solidarietà per conciliare integrazione comunitaria e tutele sociali La crisi ha innescato tensioni che insidiano le istituzioni di Bruxelles 17 feb 2016 Corriere della Sera Di Michele Salvati
Maurizio Ferrera, opinionista di questo giornale, è uno dei massimi esperti di Welfare State, noto e apprezzato a livello internazionale. Insieme, è un grande conoscitore dei meccanismi decisionali dell’Unione Europea: Bruxelles è casa sua. E oltre a essere uno scienziato sociale — dunque scrupoloso analista dei fatti e delle istituzioni — è un teorico politico, che riflette sulle grandi tendenze evolutive che da quelle analisi ricava. È infine un filosofo politico, uno degli ultimi allievi di Norberto Bobbio. Naturale dunque aspettarsi molto da questo suo ultimo libro Rotta di collisione. Euro contro Welfare? (Laterza). Le attese non vengono deluse. I dubbi e le difficoltà che in questa fase storica tormentano l’Europa in un disegno di Doriano Solinas
«L’edificazione del Welfare State a livello nazionale e l’integrazione sempre più stretta tra i Paesi del Vecchio continente — scrive Ferrera — sono stati gli obiettivi politici e ideali più salienti del secondo Novecento. Nell’ultimo ventennio queste due costruzioni istituzionali sono entrate in una crisi profonda e, quel che è peggio, sembrano aver imboccato una rotta di collisione». Ne sono testimonianza quattro linee di tensione che ormai da qualche anno segnano il panorama politico europeo: 1) euro-austerità vs protezione sociale; 2) Nord vs Sud, ossia Paesi «creditori» vs Paesi «debitori»; 3) Ovest vs Est, ossia il tema dell’immigrazione e dell’accesso al welfare da parte dei cittadini della «nuova Europa»; 4) «Bruxelles» (le istituzioni sovranazionali) contro Stati membri e «la loro sovranità in ambiti ritenuti cruciali come le pensioni e il mercato del lavoro».
Il libro parte da una illustrazione di questi conflitti e prosegue con una discussione delle cause che hanno attivato la «collisione» per affrontare infine la domanda cruciale: è possibile promuovere una riconciliazione tra «Welfare» ed «Europa», salvaguardando così i tratti essenziali del modello sociale europeo anche nel contesto di una «unione sempre più stretta» tra Paesi che usano la stessa moneta? La risposta dell’autore è positiva. La riconciliazione è possibile, ma richiede un ambizioso lavoro intellettuale (valori, idee) e politico (costruzione del consenso e riforme istituzionali). Il messaggio di base è che l’Unione non può restare soltanto uno «spazio» economico-finanziario, ma deve diventare anche un «posto», un «luogo», un terreno comune di condivisione, capace di ispirare fiducia e nel quale i singoli cittadini (e i vari demoi, le comunità nazionali, nei quali ancora si raggruppano) possano sentirsi davvero a casa propria.
La parte da scienziato politico e sociale, quella più descrittiva e analitica («Europa e Welfare: incontro o scontro?»), occupa il primo lungo capitolo: è in questo che si spiega come siano sorte e si siano intensificate — dopo la crisi finanziaria americana del 2008 — le quattro «linee di tensione» accennate più sopra, dopo quasi un decennio di Unione monetaria in cui tutto sembrava andar bene e ben pochi pensavano all’insorgenza di tensioni così gravi. La stessa storia viene poi ripresa a un livello più generale nei due capitoli successivi («Ripensare il Welfare, ripensare l’Europa» e «Ragion di Stato contro Ragion di Mercato»), dove è il Ferrera teorico politico che soprattutto parla e inizia a parlare anche il filosofo, a dare giudizi normativi e a proporre soluzioni. Per questi due cruciali capitoli temo di non essere il recensore critico più adatto, perché il mio consenso come political economist e come sostenitore di valori politici liberal-democratici è completo. Anch’io sono convinto che l’Unione Europea e il Welfare State siano stati due tappe fondamentali di quel drammatico processo di civilizzazione — drammatico perché sovente interrotto — che l’Europa ha conosciuto a partire dall’Evo moderno: la costruzione prima e poi il tentativo di superamento degli Stati nazionali; il passaggio da un ordine politico costituzional-liberale a uno liberal-democratico. Un passaggio in cui la costruzione del Welfare State nazionale, nel secondo dopoguerra, fu un momento essenziale. Ma un passaggio problematico, perché la cornice nazionale del Welfare State si sta mostrando molto resistente, assai difficile da allargare al contesto sovranazionale dell’Unione Europea. Di qui la «rotta di collisione» di cui parla Ferrera.
Le forze che spingono verso la collisione sono essenzialmente due, operanti insieme. La prima e principale sta nei legami di solidarietà nel loro tentativo di prevalere l’uno sull’altro, possono profittare
delle insoddisfazioni dei cittadini per stimolare e assecondare pulsioni
populiste e antieuropee. Tendenze antiunitarie, l’illusione di star
meglio in una casa piccola e calda che non in una casa grande e aperta
al mondo, sono oggi evidenti in Europa persino in Stati nazionali di
lunga storia — si pensi alla Gran Bretagna, o alla Spagna o, in Italia,
alle richieste della Lega di pochi anni fa. Facile immaginare le
difficoltà che affronta quello strano embrione di Stato che è l’Unione
Europea sulla strada che dovrebbe portarla a una ever closer Union.
Sono tanti gli studiosi e i politici — quelli che hanno sinceramente a
cuore i due grandi obiettivi dell’Unione Europea e del Welfare State — a
riflettere su queste difficoltà. Per superarle la strategia scelta da
Ferrera è insieme paziente e radicale: esplorare i principi
etico-normativi che possano lentamente indurre i popoli (e i politici)
europei a riconoscere la comune esigenza di un bilanciamento delle
ragioni di responsabilità economica e di solidarietà su cui deve basarsi
l’Unione. A spingerli a uscire dalla gabbia d’acciaio di una burocrazia
invadente e politicamente irresponsabile e dalla asfissiante «Ragion di
mercato» in cui l’Unione si è rinchiusa. Però senza voler scaricare sui
vicini compiti che ricadono su ogni singolo Stato, ciò che condurrebbe
al fallimento l’intero progetto. Il processo politico suggerito («La via
d’uscita: riconciliare e sistemare» è il titolo del quarto e ultimo
capitolo) non richiede un demos che attualmente non c’è, ma è possibile
anche per tanti demoi legati solo da vincoli di «buon vicinato e sobria
fratellanza», consapevoli che l’aiuto reciproco è conveniente per tutti
nel lungo periodo. Qui non mi è possibile neppure dare un’idea del modo
raffinato e persuasivo in cui Ferrera affronta questi delicati problemi
normativi e li lega a scelte politiche concrete e incombenti. Mi preme
solo sottolineare che è il primo a sapere che le cose potrebbero andar
male se i popoli europei ascoltassero le sirene di leader populisti: il
titolo delle conclusioni — «Cercansi leader disperatamente» — e
sottolineo disperatamente, esprime le preoccupazioni dell’autore.
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