mercoledì 9 marzo 2016
Angoscia della morte, elaborazione del lutto e dialettica tra ricchezza e egualitarismo nelle prime comunità cristiane
Questo giornale deve sempre metterci del suo e dimostrare una tesi che immagina di essere trasgressiva ma che coincide per lo più con la più piatta e volgare apologia del presente. Di tutto il discorso di Brown ciò che interessa è sempre e solo lo stesso: andare in culo a quelli che i proprietari della testata immaginano essere i comunisti [SGA].
Peter Brown: Il riscatto dell’anima. Aldilà e ricchezza nel primo cristianesimo occidentale, Einaudi, pp. XV-246, euro 30
Risvolto
Quando e perché i cristiani cominciarono a credere
che l'uso del denaro potesse unire i vivi e
i morti ripercuotendosi sul destino dell'anima
nell'aldilà?
Il modo in cui i cristiani consideravano
il destino dell'anima nell'aldilà subí
una radicale e rivoluzionaria mutazione
tra la fine del mondo antico e l'inizio del
Medioevo, cioè tra il 250 e il 650 d.C.
Peter Brown descrive come questo cambiamento
abbia trasformato il rapporto
istituzionale della Chiesa con il denaro e
posto le basi al suo dominio della società
medievale d'Occidente.
Secondo la dottrina cristiana delle
origini i vivi e i morti erano ugualmente
peccatori, bisognosi gli uni degli altri
per ottenere «il riscatto dell'anima». Le
intercessioni devote dei vivi potevano
dunque determinare il diverso destino,
tra paradiso o inferno, delle anime dei
defunti. Nel III secolo, il denaro cominciò
dunque a giocare un ruolo decisivo:
i cristiani benestanti iniziarono a far uso
di pratiche devozionali sempre piú raffinate
per mettere in salvo la propria anima
e quella dei loro cari: assicurandosi
sepolture in luoghi privilegiati e facendo
ricche donazioni alla Chiesa. A partire
dal VII secolo, in Europa cominciarono a
proliferare sontuosi monasteri e cappelle
funerarie che attraverso lo splendore
dei marmi rendevano visibile le qualità
cristiane dei morti piú facoltosi, come
se una parte del tesoro immaginato in
cielo fosse ricaduto sulla terra.
In relazione alla crescente influenza
del denaro, la dottrina della Chiesa
sulla vita dopo la morte da argomento speculativo si trasformò in qualcosa di
molto piú concreto. L'uso della ricchezza
personale per cercare di raggiungere
la salvezza dell'anima, oltre ad alimentare
sbalorditive dimostrazioni di generosità,
scatenò accesi dibattiti, destinati
a protrarsi per secoli, sul significato e
l'uso appropriato della ricchezza come
anello di congiunzione tra cielo e terra,
vivi e morti.
Il denaro serve. Anche per salvarsi l’anima
Uno studio di Peter Brown sul prim o cristianesim o m ostra una Chiesa tutt’altro che pauperista: donazioni, elem osine e opere d’arte determ inavano il destino nell’aldilà, tra paradiso e inferno
9 mar 2016 Libero CLAUDIA GUALDANA
«Riscatto della vita d’un uomo è la sua ricchezza», recitava un adagio, attribuito alla sapienza di re Salomone e tratto dal libro dei Proverbi (13, 8), in voga nel VII secolo d. C.. Parole curiose, circolanti com’erano in un’epoca passata alla storia per la miseria più che per gli splendori. E invece di splendori ce ne furono eccome. Anche se Gesù aveva detto che il Regno dei Cieli sarebbe stato degli ultimi, questi avevano bisogno di una mano per raggiungerlo. Da parte della Chiesa e dei ceti abbienti. Che avevano il dovere di elargire elemosine ai cristiani poveri e di fare ingenti donazioni per garantirsi un trattamento di favore nell’oltretomba. Di nobile, insomma, nella povertà, anche allora c’era assai poco. Si rassegnino i falsi profeti di un supposto pauperismo originario di Santa Romana Chiesa: le loro teorie si basano sull’ignoranza dei fatti e sulla malafede.
Ben venga dunque il libro di Peter Brown, professore emerito di Storia all’Università di Princeton, che trae il titolo dal motto salomonico: Il riscatto dell’anima. Aldilà e ricchezza nel primo cristianesimo occidentale ( Einaudi, pp. XV-246, euro 30). Un saggio che fa piazza pulita di un bel po’ di luoghi comuni. Le fonti di Brown sono autorevoli e chiariscono l’immagine che dell’aldilà si erano fatti i cristiani rimasti sotto sotto ancora un po’ pagani, lungi dal trovarsi di fronte a quella consolante e fantasmagorica creazione dell’estro cristiano che è il Purgatorio, ancora di là a venire. Brown studia il periodo compreso all’incirca tra il 200 e 700, quindi parte da prima della conversione dell’imperatore Costantino (312). Di fronte alla lenta trasformazione del paganesimo, con le sue idee neoplatoniche e i suoi ultimi profeti, in una religione millenaristica, è aiutato a dipanare la matassa dal vescovo Giuliano da Toledo. Costui nel 688 scrisse il Prognosticon futuri saeculi, in pratica una panoramica di tutte le concezioni sulla vita dopo la morte elaborate in quei cinque secoli poco noti.
«La tarda antichità avrebbe conosciuto meno bellezza se i cristiani non si fossero così preoccupati del legame diretto tra questo mondo e l’aldilà che si creava presso il sepolcro», spiega Brown. Chiarendo che il legame tra i vivi e i morti era molto forte e i primi si propiziavano i secondi in cerca, sì, di una protezione, ma anche e soprattutto per garantire una buona sorte alla loro anima, la quale veniva “riscattata” attraverso la generosità, sotto forma di donazioni e di sorprendenti opere d’arte e d’architettura. Si pensi, per esempio, ai sarcofagi marmorei, ai mosaici, ai mausolei e alla cappelle funerarie.
Nascono così, in certo senso, il mecenatismo cristiano e il dovere di fare elemosina a chi condivide la fede senza però possedere mezzi. Secoli di lotte separano questi risultati dagli esordi. A suo tempo Sant’Agostino, ancora immerso in una realtà pagana, ebbe a dire che la Chiesa «condanna, rimprovera e corregge» la beneficenza destinata a gladiatori e attori. C’era ben altro da fare, in attesa della Risurrezione dei morti. Per esempio, espiare i peccati quotidiani facendo elemosina. Sperare in un aldilà benevolo, in attesa dell’ultima parola del Signore. Agostino era reticente sull’oltretomba e andava dicendo: «Solo Dio lo sa, e non lo dice». L’immenso silenzio di Dio sarebbe stato squarciato nei secoli da nuove certezze. Le anime dei santi salivano all’istante in cielo. Per i comuni mortali il percorso era più lento e accidentato. I grandi peccatori sarebbero precipitati nelle fiamme dell’inferno, gli altri avrebbero iniziato un lungo e periglioso cammino per arrivare infine al cospetto di Nostro Signore.
Nel VI secolo Gregorio di Tours era invece convinto che i giorni dell’umanità fossero contati. Meglio quindi spogliarsi dei propri beni per arrivare puri al cospetto di Dio. Tuttavia, non vi era dubbio che le anime continuassero a vivere post mortem, come dimostravano i miracoli presso le tombe dei santi. Venne poi dall’Irlanda San Colombano, stabilitosi a Bobbio, nel piacentino, da dove diffuse un cristianesimo ascetico e severo. L’aldilà si palesava a pochi, nel silenzio: «L’altro mondo penetrava per un istante in questo mondo al capezzale dei santi, non in prossimità delle loro tombe, sfolgoranti e gremite di fedeli». Anche qui si era solo all'inizio di un lungo viaggio nel mondo ultraterreno. La missione era compiuta: la felicità non era più da cercarsi su questa terra, ma in un altrove indefinito e vago. Bando alla gloria eterna dei pagani sconfitti per sempre. L’indomani lontanissimo delle resurrezione della carne era raggiunto dopo un lungo viaggio nella dimensione ultraterrena e preparato sulla terra da preghiera, penitenza e generosità.
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