venerdì 25 marzo 2016

Il fallimento politico del '68-'77 e il suo inveramento postumo come modernizzazione capitalistica: Mario Perniola

Del terrorismo come una delle belle arti. StorietteMario Perniola: Del terrorismo come una delle belle arti. Storiette, Mimesis

Risvolto
Le vicende comiche e grottesche di un militante trotzkista argentino, condannato a morte dai suoi ex compagni di partito, con sentenza "da eseguirsi il giorno della rivoluzione". La folle avventura politica, esistenziale e nichilista dei membri dell'Armata rossa giapponese. La surreale compagnia di esaltati, anarchici, pazzoidi, bohémien e filibustieri che si incrociò negli anni settanta, intorno alla redazione della rivista Agaragar. Ma anche scrittori e artisti come Moravia e Pasolini, surrealisti e situazionisti. Mario Perniola, nelle pagine di questa raccolta di racconti variamente intrecciati e connessi, offre una nutrita serie di bizzarri personaggi che ci apparirebbero ardite invenzioni letterarie, se non fosse che sono realmente esistiti. Nelle loro miserie e nella loro grandezza, le donne e gli uomini delle "storiette" di Perniola lasciano il segno. Mostrano le contraddizioni e le sofferenze di un'umanità sempre sconfitta, ma mai domata, disposta a tutto pur di non lasciarsi incastrare dalle noie di un'esistenza comune.
Storietta sul terrorismo nelle lettere
Mario Perniola  · in AlfaDomenica

Le mille e una «storietta» nell’imbuto del sangueSCAFFALI. «Del terrorismo come una delle belle arti» di Mario Perniola per Mimesis. Gli anni Settanta e le «formazioni combattenti» attraversio il grimaldello della filosofia 

Roberto Ciccarelli Manifesto 25.3.2016, 22:03 
Autobiografia politica e intellettuale di una generazione tra Roma e il Giappone, con puntate in Francia tra un convegno sul surrealismo a Cérisy-La-Salle e i luoghi dove Guy Debord e i situazionisti nutrirono l’ultimo legame tra le avanguardie artistiche e la rivoluzione. Affabulanti, dolenti, amanti, tremende: sono le otto «storiette» contenute in Del terrorismo come una delle belle arti di Mario Perniola (Mimesis, pp. 211, euro 16) che intrecciano i ritratti familiari, gli amori di una vita e le traiettorie rivoluzionarie della generazione 68, facendo anche la scelta della lotta armata. 
La «storietta», scrive con ironia uno dei perturbanti filosofi italiani, è ciò che resta a chi non è «riuscito a fare la storia». La storietta genera ilarità o gronda sangue, è priva di esemplarità e costituisce un genere minore. Questo libro racconta la transizione da un mondo storico fatto di storie, collettive e individuali, pubbliche e private e di coloro che hanno cercato di forzare il vettore del tempo con un’azione rivoluzionaria. «Chi ritiene che solo il sangue e il terrore attribuisca agli avvenimenti un profondo significato storico si è dovuto ricredere» scrive il filosofo pensando ai terrorismi di sinistra degli anni Settanta in Europa o alla tragedia omicida dei membri dell’Armata rossa giapponese che mettevano a morte i dissenzienti. La generazione del 68 non comprese la trasformazione della storia in simulacro. Sembra che Alexandre Kojève dicesse del Maggio che il «sangue non fosse colato e che quindi nulla di serio fosse accaduto». In Italia di sangue ne è colato molto, «ma ugualmente nulla di decisivo è avvenuto». 
Di solito, queste considerazioni portano a rimpiangere un’età dell’oro della «grande storia» e alimenta il narcisismo dell’intellettuale diventato testimone della Storia nella fine della politica. Perniola non si fa sedurre dalla fatuità di una cultura invecchiata e metafisica che porta alla teologia politica. La sconfitta di una generazione «che si sentiva defraudata della possibilità di essere artefice della propria storia», a cui appartiene lo stesso autore, non nega la possibilità perseguita dal surrealismo: un’esperienza plurale e multipla nella quale il pensare e l’esistere sono inseparabili e il cui senso emerge dall’incrocio con esperienze diverse. I surrealisti avevano cercato di collegare questa esperienza alla «grande storia» e questo fu il loro limite, come di altre avanguardie. E tuttavia nelle loro «storiette» dell’humor noir, dove si manifesta il meraviglioso o l’imprevisto della «Storia», si intravede il mondo oltre questo limite. Il ricorso all’umorismo e al rovesciamento delle catene causali oggettive serve a praticarlo con il paradosso, l’esempio e la sperimentazione. 
Nella «storietta» che intreccia biografia e riflessione estetica Perniola rinnova l’impegno degli antichi filosofi cinici. Si esprimevano attraverso aneddoti e fatterelli, non miti o vicende epiche che spinge la «Storia» nell’imbuto del terrore. L’avanguardia non è una delle belle arti, ma il progetto di vivere la verità del mondo senza vincolare la vita alla realizzazione di ideali trascendenti. Obiettivo mancato da quella generazione che intuì «nella pulsione delirante verso una radicalità rivoluzionaria e una purezza morale intransigente», ma avvertito nelle pieghe di una vita dove, in maniera rapsodica, le opzioni più estreme sono quelle più realistiche.
Questo libro denso e commosso parla della necessità, e della virtù, di costruire l’autonomia personale, intellettuale, artistica, schivando il terrorismo che si manifesta nell’emarginazione o intimidazione di chiunque desidera sottrarsi alla società della comunicazione.

Piccole storie a margine di eventi che ci sfuggono Se nel Sex appeal dell’inorganico c’era una sessualità sospesa, sottratta al desiderio e al piacere, qui c’è una storia sottratta al rapporto con l’universale. Possiamo procedere per aneddoti, fatterelli, episodi umoristici, liquidi, e in questo modo corrodere la sostanza dura degli stereotipi. Gloria è una parola passata, i grandi poemi epici non ci appartengono: viviamo tra generi minori, tra remake di eventi-matrice. Il nuovo libro di Mario Perniola è un esperimento artistico a metà strada tra aforismi buddisti e cinici e provocazione verso tempi che hanno sostituito la verità con il simulacroRAFFAELLA DE SANTIS Restampa 8 6 2016 ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Per leggere il nuovo libro di Mario Perniola bisogna abbandonare atteggiamenti rigidi, schematismi, essere disposti a procedere un po’ a zig zag, a raccogliere spunti, riflessioni, connettere cose distanti tra loro, perdere il filo e poi riacciuffarlo. Già il titolo, Del terrorismo come una delle belle arti, è un accostamento azzardato e in effetti tra queste pagine estreme s’intersecano frammenti di storia collettiva e personale, divagazioni letterarie, riflessioni estetiche e politiche, raccontini buddisti e cinici, citazioni. Non è un saggio, classicamente inteso, né un romanzo. Perniola dice che si tratta di storiette, otto per l’esattezza, né vere, né false, in senso empirico.
La genesi è quasi obbligata. Per la generazione del Sessantotto, alla quale Perniola appartiene, è precluso fare Storia con la maiuscola. Secondo l’autore l’ultima vera guerra italiana è stata quella civile tra 1943 e il 1945, non certo la contestazione studentesca, né quelle che sarebbero seguite. Noi ormai non possiamo che galleggiare tra residui karmici di un evento originale che ci sfugge. Possiamo fondare riviste, militare in movimenti armati, compiere gesti devastanti, ma all’azione si è sostituita la comunicazione e al vero il simulacro, che ne è la parvenza.
Vanno bene allora gli aneddoti, le storie di rivoluzionari falliti o di intellettuali marginali. Nella prima storietta incontriamo un amico dell’autore comunista, trotskista poi iscritto alla fazione argentina di Juan Posadas, comunque sempre incapace di mettere in pratica qualsiasi azione. Poi compaiono militanti giapponesi della Japanese Red Army, un convegno surrealista, il ricordo di uno zio morto cadendo nella tromba delle scale, Bin Laden e l’11 settembre, la nascita nel 1970 della rivista Agaragar e pezzi di biografia dell’eclettico bibliofilo Roberto Palazzi, che morirà poi tragicamente e autore, tra l’altro, di un Catalogo delle librerie antiquarie e dell’usato in Roma e di una rivista intitolata Futilità. È in questo mosaico il senso, nel montaggio e nel metodo di un testo sfuggente in cui anche i ricordi personali diventano parte di una narrazione frastagliata, obliqua, flaneristica, tra il serio e il faceto. Il libro inaugura la collana che l’editore Mimesis dedica alle opere di Mario Perniola. Il suo approccio non accademico non deve stupirci. Perniola prima di diventare professore di estetica aveva iniziato come artista situazionista e scritto anche un romanzo intitolato Tiresia. Qui scrive un testo letterario, perché il senso ultimo delle sue storiette è artistico, culturale e richiama un genere di narrazioni brevi praticato dagli antichi filosofi cinici, ma anche dai monaci buddisti.

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