giovedì 3 marzo 2016

Il mito della mafia patriarcale


Andrea Nicaso: Mafia, Bollati Boringhieri

Risvolto

Per comprendere a fondo le mafie bisogna spazzare via ogni considerazione «culturalista»: la mafia – come pure la ‘ndrangheta o la camorra – non è il prodotto di un territorio o di una mentalità. Al contrario, è un modello esportabile, costruito su una fitta rete di complicità e protezioni. Non è, insomma, una questione esclusivamente «meridionale»; porre la cosa in questi termini significa di fatto impegnarsi per non risolverla. Quello che Antonio Nicaso chiede al lettore in questo breve libro è un cambio di mentalità forte, senza il quale non potremo mai sperare di sconfiggere quella che è senza dubbio la piaga criminale più profonda e sanguinosa del nostro Paese. Conoscere la mafia per poterla combattere diventa un dovere civile per tutti noi. Lo dobbiamo alle generazioni che verranno. La vera forza della mafia, dati alla mano, è la compattezza dei suoi legami interni e l’incredibile efficacia delle sue relazioni esterne, in particolare con la politica.La mafia ha anche qualcosa in più rispetto alle altre organizzazioni criminali: può contare su miti potenti, riti, norme e simboli di forte presa, senza i quali sarebbe come un popolo senza religione. Anche questi devono essere spezzati. E deve infine essere chiaro che i mafiosi – benché abbiano costruito un’immagine di sé da «uomini d’onore», che «mantengono l’ordine» e che fanno giustizia – nella loro lunga storia non hanno mai difeso i deboli contro i forti o i poveri contro i ricchi: la mafia è un fenomeno di classi dirigenti.



Mafia in difesa dei deboli? Mai successo 
3 mar 2016  Corriere della Sera Di Cesare Giuzzi
La mafia vecchia e quella nuova. La mafia buona dalla parte del popolo, quella cattiva che traffica droga. I boss degli antichi valori e i padrini emergenti senza regole. Sono molte le bugie che circolano su Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra. E tutte sono frutto della sapiente opera ingannevole dell’organizzazione, per far si che tutto appaia come si vuole debba apparire. Il libro di Nicaso Mafia sarà presentato a Milano il 7 marzo (ore 18.30) al Mondadori Megastore di piazza del Duomo 1. Discutono con l’autore Umberto Ambrosoli e Cesare Giuzzi 
Allora anche le parole pronunciate negli anni Sessanta dal magistrato della Cassazione Tito Paratore, che definì la mafia «più materia da conferenze che da tribunale», sono motore del grande inganno. Perché, come scrive il docente e giornalista Antonio Nicaso, «la mafia è certamente tutto ciò che lo Stato italiano ha voluto che fosse»: «un’organizzazione criminale lungamente sottovalutata, in grado di stringere rapporti stabili con una parte della classe dirigente, grazie alla capacità di regolamentare relazioni sociali e dirimere conflitti» 
Mafia (Bollati Boringhieri) è l’ultima opera dello studioso di criminalità organizzata, già autore insieme al magistrato Nicola Gratteri di alcuni tra i più importanti saggi sulla ’ndrangheta. Questo volume non è un «bignami» sulla storia della mafia, che pure ripercorre partendo dal periodo antecedente all’Unità d’Italia, ma è un viaggio tra luoghi comuni, leggende e colpevoli menzogne che circondano da sempre la «maffia» (questa la prima definizione). «La mafia — scrive Nicaso — non è mai stata rivoluzionaria, non ha mai difeso i deboli contro i forti. È un fenomeno di classi dirigenti». 
Alle radici dell’Onorata società ci sono i rapporti intessuti con la politica: «Quella della mafia è una lunga storia di trattative, intrallazzi e collusioni». Perché «la mafia non può sopravvivere senza le connessioni che la legano visceralmente alle istituzioni, all’economia, all’informazione e alla cultura in generale». E gran parte della forza dei clan mafiosi è da sempre garantita «da soggetti esterni all’organizzazione».

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