venerdì 22 aprile 2016

Il cospirazionismo astorico apre autostrade all'apologia dell'esistente e della manipolazione industriale delle notizie

congiure
Valter Coralluzzo: Critica della ragion complottista: il caso 11 settembre, Rubbettino

Risvolto








congiure
Alessandro Campi e Leonardo Varesano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (Rubbettino, pp. 230, euro 16)


Risvolto
Si parla di teorie del complotto. Bisognerebbe invece parlare di immaginario complottista. Vecchio di secoli, capace di aggiornarsi in continuazione, esso si alimenta di alcuni temi o motivi ricorrenti: le tenebre che avvolgono l’operato di sette o società segrete intenzionate ad imporre il loro dominio sul mondo; il gusto per l’orrido, il ripugnante e l’occulto che si ritrova in ogni cultura popolare; il senso di angoscia che colpisce gli uomini dinnanzi ai cambiamenti storici troppo bruschi e il loro bisogno di un capro espiatorio al quale addossare le colpe; l’ossessione del nemico che pervade le società nel momento in cui esse entrano in crisi o in fibrillazione. Dietro la denuncia delle cospirazioni – un tempo tipica dei regimi totalitari, oggi divenuta una pratica corrente anche in quelli democratici – c’è sempre un clima psicologico di sospetto e paura che spinge alcuni uomini a ridurre la complessità del mondo reale ad una causa elementare e onnipotente.
Ma il fatto che i complotti siano quasi sempre costrutti fantastici e immaginari, che non a caso nascono come reazione a eventi storici traumatici, non impedisce che nella storia la lotta per il potere – come Machiavelli più di altri ha spiegato nelle sue opere – sia stata spesso condotta ricorrendo a trame segrete, colpi di mano violenti e macchinazioni. Si tratta allora di distinguere, sul piano storico e analitico, tra congiura e complotto. E di mostrare come solo la prima, per quanto esecrabile come pratica, abbia una consistenza storica reale, dal punto di vista degli esecutori e degli obiettivi perseguiti. Ma si tratta altresì di spiegare come e per quali ragioni storiche si sia prodotto questo slittamento – non solo semantico, ma concettuale e politico-culturale – dalla congiura classicamente intesa alla mentalità paranoica tipica del complottismo oggi dominante (come mostra, tra gli altri, il caso esemplare dell’Italia).


Un saggio a più voci ci spiega perché siamo così predisposti a vedere poteri occulti in azione attorno a noi. E dà buoni consigli su come non farsi suggestionare troppo 

Matteo Sacchi Giornale - Ven, 22/04/2016

 di Gianfranco Morrai Da Italia Oggi del 21 aprile
I diritti come mistificazioni di interessi (Marx), i valori come espressioni del risentimento (Nietzsche), la morale come sublimazione del sesso (Freud). I maestri del sospetto hanno lastricato la nostra civiltà della dietrologia: «io non ti credo, dimostramelo; perché ciò che tu chiami X, in realtà, guardato sotto e dietro, altro non è che Y». Lo aveva capito l'intelligenza luciferina di Giulio Andreotti: «A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si indovina».
E' sempre accaduto. Il «sospetto» corrisponde alla pigrizia delle masse, che, incapaci di ragionare sui fatti, hanno bisogno di pensare a trame subdole e a disegni segreti; ma diviene uno strumento normale nei paesi autoritari e totalitari, che non solo nascono e mantengono la violenza, ma inventano per giustificarla le macchinazioni nascoste dei nemici del regime. Di certo la nostra società occidentale nella complottomania ha battuto tutte le altre. Anche perché il sistema dei media vive della rivelazione ininterrotta, allusiva e sempre criptica, dei complotti: una accusa vaga e indistinta che lascia tutto in dubbio.
Ce lo ricorda una originale raccolta di saggi, appena pubblicata da Alessandro Campi e Leonardo Varesano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (Rubbettino, pp. 230, euro 16). Un libro a più voci, italiane e mondiali, che si sofferma su alcuni episodi esemplari di congiura, da quella di Cambise contro il fratello per il trono di Persia agli assassinî di Giuliano de' Medici e Kennedy, dall'abbattimento delle Torri Gemelle alla caduta del governo Berlusconi. Perché la storia, come diceva Schopenhauer, cambia sempre, ma non cambia mai (aliter sed eadem).
Il contributo più rilevante della ricerca è la distinzione tra la potenza della congiura, progettata nel silenzio, che muta il corso della storia, e la superficialità del complotto, esplosivo e chiassoso, ma ben presto dimenticato. Machiavelli aveva capito benissimo il ruolo insostituibile della congiura in politica. Come quando descrive, con olimpico distacco anche nello stile, quella del Valentino a Senigallia, che, invitati a pranzo quattro nobili suoi alleati, «fecegli strangolare». La «con-giura» appartiene a «uomini grandi» (Machiavelli, Discorsi, III, 6), che «giurano insieme» di eliminare i nemici. Essa trasforma profondamente il corso della storia, mentre il vittimismo complottista non muta niente, è un contentino per il cittadino, che protesta solo per tranquillizzarsi la coscienza e non impegnarsi per migliorare la società. Il sociologo Durkheim aveva mostrato che «quando la società soffre, sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il male».
Da noi questo alibi esprime la mancanza di libertà e di senso civico, come aveva capito Francesco De Sanctis nel 1869: «Non sappiamo pensare a qualcosa senza vederci, oltre il lato apparente, quello nascosto, una cospirazione alla quale ci ha abituato la tirannide secolare». L'Italia è una democrazia, che significa trasparenza e razionalità, ma il complottismo vi è un abito mentale universale e insuperabile. Tanto che non vi è atto sociale o politico dietro il quale non si supponga un complotto: dalle morti di Mattei e Moro alle dimissioni di Berlusconi, Prodi e Monti, dal vero o presunto dopaggio di Pantani al naufragio della Concordia, dalla morte di don Verzé alle dimissioni del papa.
Ipotesi e narrazioni spesso fantastiche e favolistiche, largamente usate come difesa dagli imputati di reati economici e politici: «chiedetevi chi ha interesse ad accusarmi». Nascono così le figure mitologiche delle logge, delle mafie, del Grande Vecchio, dei poteri forti, degli spezzoni deviati, tanto più credute quanto più generiche e indefinite. Ma l'Oscar della tecnologia cospirazionista spetta al movimento di Grillo e Casaleggio, non a caso inventori di quella web-politica, che trova nei social network lo strumento più efficace per pubblicizzare il sospetto e sputtanare i nemici. Un movimento che si nutre quasi esclusivamente di accuse complottiste, rivolte a politici, magistrati, intellettuali, giornalisti, economisti, burocrati, senza proporre programmi e strategie positive di recupero.
Gli esempi pentastellati sono innumerevoli: la crisi dell'euro attribuita alla massoneria, i vaccini una pericolosa invenzione per vendere, l'Aids una cospirazione internazionale della grandi case farmaceutiche, la campagna per convincere gli italiani che le certissime sirene non esistono, il controllo della popolazione per mezzo di microchip inseriti nel corpo umano. Spetta ad una grillina consigliera comunale di Bologna la scoperta più originale del complotto: il terremoto emiliano del 2012 provocato da cariche fatte brillare nel sottosuolo per scoprire idrocarburi. Anche la rielezione di Napolitano è stata classificata da Grillo come un complotto.
Credere nel complotto diviene in molti elettori una sorta di autoassoluzione, la certezza che i colpevoli ci sono, nascosti nell'ombra dei Palazzi e delle istituzioni, ma non li conosceremo mai. Come potremmo vivere, nella nostra situazione così malconcia, senza consolarci con la certezza che un Belzebù agisce nell'ombra e produce i mali del presente? I complottisti esprimono una fede nichilista, trovano una consolazione surrogatoria, si dotano di un kit di sopravvivenza: «Il nostro complotto quotidiano, dona a noi o Signore».

L’antica mania del complottismoUna raccolta di saggi curata da Campi e Varasano (Rubbettino) Trame occulte dietro ogni evento 
Corriere della Sera 23 Apr 2016 Di Giovanni Belardelli
La realtà non è mai come appare e dietro ogni autorità ufficiale se ne cela un’altra segreta, enormemente più potente e che agisce nell’ombra. Dunque ogni avvenimento rilevante — che si tratti di una crisi economica, della caduta di un governo, di un conflitto militare o di un atto di terrorismo — ha cause e responsabili ben diversi da quelli indicati dai media «ufficiali». Sono questi, probabilmente, i punti essenziali della sindrome cospirazionista che ha acquisito enorme diffusione nel mondo contemporaneo ed è continuamente alimentata dal Web. Nel nostro Paese è addirittura la seconda forza politica, il Movimento 5 Stelle, a dare cittadinanza alle più incredibili tesi cospirazioniste: da quella che sostiene come le scie degli aerei ad alta quota indichino il rilascio nell’atmosfera di sostanze nocive, volte ad avvelenarci, all’altra che denuncia il tentativo (americano, naturalmente) di controllare la popolazione inserendo dei microchip nel corpo delle persone. Ma il complottismo non è qualcosa di specificamente italiano, come conferma una raccolta di saggi curata da Alessandro Campi e Leonardo Varasano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (Rubbettino).
Tra i contributi al volume va segnalato in particolare quello di Richard Hofstadter su Lo stile paranoico nella politica americana, un piccolo classico in materia per la prima volta tradotto in italiano. Hofstadter mostra appunto che, dalla fine del Settecento in poi, non vi è stato periodo in cui non si sia diffusa l’idea di un complotto teso a corrompere i costumi della società americana e addirittura a controllare il governo degli Stati Uniti. La struttura della cospirazione denunciata dai complottisti Beatriz Olabarrieta (Bilbao, 1979), Shifty-Show (2014, installazione mixed media), Londra, Cell Project Space
restava sostanzialmente immutata, mentre a cambiare erano di volta in volta i presunti artefici: la setta bavarese degli Illuminati, i massoni, i cattolici, poi nel Novecento i comunisti, accusati dalla destra americana di essersi infiltrati fino ai vertici dell’amministrazione. Come è noto, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’assassinio del presidente Kennedy avrebbe fornito l’occasione per le più varie teorie del complotto. Nel nuovo secolo, l’attentato dell’11 settembre ha enormemente alimentato la sindrome cospirazionista: scrive nel suo saggio Valter Coralluzzo che sono oltre 1.300 i libri in inglese dedicati alla (presunta) cospirazione delle Torri gemelle, per molti dei quali l’attentato sarebbe stato organizzato dalla Cia o dagli israeliani (o magari dai servizi segreti americani e israeliani assieme).
Una diffusione che si sarebbe tentati di definire senza precedenti, se non fosse per la straordinaria circolazione avuta negli ultimi 150 anni dalla più famosa (e famigerata) delle teorie del complotto: quella su una cospirazione ebraica volta alla conquista del mondo, che fu utilizzata da Hitler per giustificare lo sterminio degli ebrei e, purtroppo, circola ancora ampiamente nei Paesi del Medio Oriente.
Chi è affetto dalla sindrome cospirazionista non riesce ad accettare l’idea che la storia è il regno dell’imprevedibile e dell’ignoto: cosa sarebbe accaduto se il 28 giugno 1914, a Sarajevo, il giovane Gavrilo Princip avesse sbagliato la mira? Anche quando decidiamo consapevolmente di fare qualcosa, non possiamo controllare — lo notava Karl Popper — le conseguenze della scelta. Ma è assai più rassicurante credere che ogni avvenimento rilevante abbia precisi responsabili che tramano nell’ombra e che tutto, una volta che questi siano stati smascherati, diventerà semplice e chiaro.
Alcuni autori del libro mettono appunto in relazione il successo delle teorie cospirazioniste con la capacità che esse hanno di fornire una spiegazione semplice ad avvenimenti complessi, individuando singole persone riunite in una qualche Spectre come responsabili, laddove la realtà ci consegna piuttosto una rete, spesso inestricabile, di cause e di protagonisti. Ma per un negoziante francese di fine Ottocento (un’epoca e un Paese che videro un grande sviluppo dell’antisemitismo) non era facile accettare di trovarsi ridotto sul lastrico a causa di meccanismi generali e impersonali come quelli che regolano i mercati internazionali. Molto più semplice prendersela invece con la « finanza ebraica » , con responsabili in carne e ossa come i Rothschild.
«Quando la società soffre — osservò Émile Durkheim — sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il suo male, qualcuno su cui vendicarsi delle sue delusioni». Le teorie del complotto, in sostanza, rappresentano uno strumento cognitivo che, in un mondo complesso e dominato da forze impersonali, soddisfa la diffusa domanda di spiegazioni semplici e di responsabili chiaramente individuati, una volta che se ne siano smascherate le oscure trame.

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