martedì 17 maggio 2016

Eliot, Pound e la Terra desolata




Nelle nuove carte spicca soprattutto la generosa attività editoriale
Davide Brullo Giornale- Dom, 16/10/2016


Che bello Eliot se lo riscrive Ezra Pound 
L’avventurosa storia di “The Waste Land” leggendario poema tagliato e ricucito
ALBERTO ARBASINO Restampa 17 5 2016
Mezzo secolo dopo la pubblicazione, “The Waste Land” di T. S. Eliot rimane “il” poema leggendario del nostro Novecento, e delle sue varie disillusioni. Ma ugualmente leggendaria appare la storia del suo manoscritto. Si è sempre saputo che il giovane Eliot, autore molto più strapieno di citazioni, e dunque «proliferante a caotico», prossimo a qualche forma di depressione o esaurimento nervoso, lo affidò al «miglior fabbro», Ezra Pound che definendosi, piuttosto, «levatrice», ancora a Venezia alla fine degli anni Sessanta, ne sforbiciò e corresse interi brani. Così “The Waste Land” resta dedicato a Pound.
Ma non si era mai visto il manoscritto. Né si era mai potuto controllare la misura delle correzioni di Pound.
Parecchie questioni hanno dunque assillato per decenni gli studiosi e i fans. Perché si era affidato alle cure di Pound? Su che strutture e passaggi si basava la prima versione? E dove è finito il manoscritto originale?
Un intervistatore interrogò in proposito Eliot stesso.
Rispose il poeta: «Pound mi ha tagliato varie poesie. Era un critico mirabile, non cercava di trasformarvi in una sua imitazione. Cercava di vedere cosa tentavate di fare voi».
Che tagli ha fatto? «Intere sezioni. Ce n’era una lunga su un naufragio. Non so cosa c’entrava col resto, ma era abbastanza ispirata dal canto di Ulisse nell’Inferno. Un’altra era un’imitazione del Ricciolo rapito di Pope…».
Pound disse: «È inutile cercare di rifare qualcosa che altri hanno già fatto nel migliore dei modi. Fate qualcosa di diverso. Però i tagli non hanno mutato la struttura intellettuale del poema. Credo fosse altrettanto privo di struttura nella versione più lunga. Soltanto in maniera più futile».
E il manoscritto? « Non chiedetelo a me, è un mistero irrisolto. Io lo vendetti a John Quinn, e gli diedi anche un album di poesie inedite, perché era stato gentile con me in diversi affari. Morì, e i miei scritti non riapparvero all’asta dei suoi averi ».
***
John Quinn era un ricco avvocato bibliofilo newyorkese che possedeva quasi tutti i manoscritti di Joseph Conrad e anche un grosso pezzo dell’Ulysses di Joyce. Aiutò Eliot a pubblicare The Waste Land sulla rivista artistica The Dial, nel 1922. E quindi, a vincere l’annuale premio di duemila dollari bandito dalla rivista stessa. (Toccato l’anno prima a Sherwood Anderson).
Però Quinn morì due anni dopo. Le sue carte non disperse all’asta andarono a sua sorella. E solo trent’anni più tardi la figlia di questa scoperse il manoscritto dimenticato di The Waste Land.
Nel 1958 lo vendette per diciottomila dollari alla Public Library di New York. Ma per qualche albagìa dei bibliotecari l’atto fu talmente privato che non lo vennero a sapere né Eliot né Pound. E la vedova di Eliot ne fu informata soltanto dieci anni dopo.
Allora decise di curarne la pubblicazione in facsimile, immediatamente salutata come evento capitale nella storia letteraria del Novecento.
Il giovane Eliot somiglia a Gérard Philipe, nelle fotografie. I suoi parenti erano facoltosi e severi notabili del Massachusetts trapiantati a St Louis per fabbricare mattoni, ma con vacanze estive sulla costa del New England. I suoi studi a Harvard furono per lo più filosofici (con tesi su «conoscenza ed esperienza secondo F. H. Bradley»). Il suo amico migliore fu Jean Verdenal, conosciuto alla Sorbona durante il primo viaggio a Parigi, nel 1910, e «morto per acqua» a Gallipoli nel ’17.
Ma l’influenza decisiva e confessata fu soprattutto Laforgue, con la disinvoltura delle banalità colloquiali, e il rifiuto d’ogni indiscrezione sui sentimenti. Finalmente Pound, nel ’14, in un fitto giro di presentazioni, lo infila nella Londra letteraria cominciando dall’avanguardia vorticista, e arrivando presto al composto chic del pre-Bloomsbury.
Lei era più spiritosa e intelligente del marito, elegantissima, esageratamente isterica, sempre in crisi del tipo tormentoso. Perché si sposarono di nascosto? Avevano ventisei anni, neanche un soldo, e la famiglia Eliot non perdonò mai. E perché T. S. buttò via la carriera accademica a cui si era studiosamente preparato per nove anni? Questo matrimonio doloroso, che ne durò un ventina, rimane un insolubile mistero, un dramma continuo,un enigma irrisolto.
T. S. E. insegnava in diverse scuole e collegi. (Peccato non averlo saputo in tempo). Entrò alla Lloyds Bank l’anno dopo, con l’incarico di controllare i vari debiti prebellici tedeschi e francesi. In seguito, pubblicò per anni (a seicento sterline l’anno) il bollettino degli estratti della stampa estera, in un seminterrato col naso al livello del marciapiede, però pas- sando le sere con Virginia Woolf o Edmund Gosse, con Katherine Mansfield e Osbert Sitwell, e i weekends della celebre Lady Ottoline Norrell, altra “relazione” dell’instancabile Russell. Ma oltre alle poesie per le riviste The Egoist scriveva ancora parecchi articoli su temi filosofici. Vivienne andava a ballare, e diventò presto – così dicono – pazza.
T. S. la lasciò così: partendo nel ’32 per Harvard, a tenere un corso, marito e moglie salirono su un taxi per la stazione, seguiti da un altro taxi con due cognati e il bagaglio. Lei aveva molto insistito per seguirlo in America. Lui aveva sempre detto di no. Per strada, T. S. si accorge che Vivienne aveva chiuso nel bagno i suoi appunti, e manda indietro i parenti a sfondare la porta per recuperarli. Poi tutti insieme fino a Southampton, con abbracci sulla nave. Non appena in America, Eliot incaricò un avvocato di liquidare Vivienne, e non la vide mai più, se non a una sua conferenza, dove lei si presentò con un cartello «ecco la moglie abbandonata».
È curioso che lo stesso comportamento venisse ripetuto molti anni dopo, in circostanze formalmente analoghe. Eliot aveva un successo crescente: Lady Rothermere, moglie di un «magnate della stampa », aveva finanziato la sua rivista Criterion, che fu rilevata da Geoffrey Faber nel ’25, organizzando la nuova casa editrice di cui Eliot diventò dirigente; ma il celebre poeta viveva in bizzarre case. Prima, un cottage campestre presso una famiglia amica con tanti bambini. Poi, il pensionato di un ex-vescovo militare con tanti gatti. Quindi, si trasferì per cinque o sei anni nella chiesa di St. Stephen presso il vicario che gli era amico. Durante la guerra, in villa, nel Surrey, ospite di una ricca signora amica del signor Simpson, marito della duchessa di Windsor. E infine, per dodici anni, abitò a Cheyne Walk, la stradina più deliziosa di Chelsea, in casa di John Hayward, un bibliofilo poliomielitico e spiritosissimo.
Qui pagava una piccola retta, ma avevano il salotto in comune. E di qui, Eliot si allontanò una mattina del 1957, per andare a sposarsi di nuovo. Senza dir niente a John Hayward, né tornare indietro. Come avrà fatto con i bagagli, con le valigie? Solo la governante francese intuì qualcosa, sentendosi dire «Adieu Madame». «Mais, Monsieur, pourquoi m’avez- vous dit adieu?». Eliot batté i tacchi, e lasciò la casa.
Sentenzia Cyril Connolly: «I versi del naufragio guadagnano enormemente venendo isolati. Anche sui molti suggerimenti verbali e piccole cancellature di Pound si può emettere un solo verdetto: sono quasi tutti miglioramenti». Concorda Wilson: «Fra Pound ed Eliot sono riusciti a concentrare un’intensità di immagini e di sentimenti che non si riscontra affatto nella prima versione, dove non appare in evidenza nessuna brillantezza del lavoro compiuto ».
Le conclusioni sembrano concordi. Le parti tagliate risultano scadenti, a un livello praticamente vergognoso, per un poeta come Eliot. Edmund Wilson si dichiara «sbalordito dalla loro mediocrità». E le geniali correzioni di Pound (sempre Wilson: «eseguite con gusto infallibile») figurano incredibilmente frettolose, come buttate là in pochi minuti…
Riserbo e reticenza giovano alle belle arti come all’arte politica. Tanto più quando alla tirchieria si somma il mistero. Benissimo ha dunque fatto T. S. Eliot, saggio topone, dopo un’intera esistenza impeccabilmente oscura, a scoraggiare per disposizione testamentaria qualunque tentativo di biografia “ufficiale”, vietando la consultazione delle carte in custodia alla vedova. Ma poco dunque incoraggiata, «per riempire un vuoto», l’attività degli abusivi, e la tentazione del “caso”.
Forse, rimembranza della sua giovinezza studentesca, intorno a Harvard? O invece, pericolosamente simile a troppe analoghe situazioni nell’Ulysses di Joyce? Fu interamente omesso da Eliot medesimo. In quanto alla parodia di Pope, si tratta della mattinata di una dama Fresca che fa toilette, ma questa toilette l’hanno fatta meglio Pope e Joyce e magari Swift, avverte Pound. Con insofferenza, davanti a versi come «lasciando la ribollente bevanda a raffreddarsi – Fresca scivola morbidamente al seggio dei bisogni»…
Un esame ravvicinato può fornire sorprese. A cominciare dal titolo. Originariamente era «Egli rifà la polizia con voci differenti», tratto da una frase nel Nostro comune amico di Charles Dickens, dove si accenna a un personaggio che legge il giornale in modo così divertente, perché imita i poliziotti con voci diverse. Eliot tentava un collage di diversi “parlati” anglo-irlandesi-americani in un episodio-conversazione iniziale tra un pub e un bordello.
Le correzioni di Pound sono continue: via tre vocaboli banali di qui! Sostituirne due troppo ricercati di là! ... In quanto al naufragio, il taglio quasi totale dell’episodio marino lascia soltanto gli otto versi di «Morte per acqua», sezione infatti così breve che Eliot avrebbe preferito eliminare anche il pezzettino superstite.
Però Pound suggerì di tenerlo, così come consigliò di lasciare intatte le parti finali, cioè le migliori («di qui in avanti, va bene») mentre estromise tutte le brevi poesie semischerzose che Eliot aveva collocato qua e là come intermezzi, e che poi recupererà fra i componimenti occasionali. E qui, Cyril Connolly: «I versi del naufragio guadagnano enormemente, venendo isolati. Sono quasi tutti miglioramenti ».
Allora aveva ragione Pound, di rinviare il tutto a Eliot, con un biglietto anglo-italiano: «Complimenti, brutta troia. Adesso mi sento devastato da sette gelosie».
© Alberto Arbasino
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