lunedì 30 maggio 2016
La rete spionistica di Pio XII nel Terzo Reich
La sera del 2 marzo 1939, mentre l'Europa si avviava verso la guerra,
sul balcone del Palazzo apostolico apparve, acclamato dalla folla
riunita in piazza San Pietro, il nuovo pontefice. Pallido e con passo
esitante Pio XII si affacciò alla balaustra, benedisse per tre volte i
fedeli e, senza dire una parola, si ritirò nelle sue stanze. Di lì a
poco scese nelle Grotte vaticane, deciso a risolvere uno dei più grandi
enigmi della Chiesa, un enigma che prefigurava, in piccolo, l'epica
impresa segreta del suo pontificato. Negli anni successivi, infatti,
nelle catacombe di San Pietro i collaboratori di Pio XII si sarebbero
riuniti per architettare, con la sua benedizione, il piano più audace
della seconda guerra mondiale: l'eliminazione del «tiranno», Adolf
Hitler. Mark Riebling, saggista avvezzo a esplorare i sentieri poco
battuti della storia dei servizi segreti, in Le spie del Vaticano
ricostruisce, sulla base di una monumentale raccolta di documenti da
poco desecretati, un intrigo spionistico al centro del quale si colloca
la figura di Pio XII, un pontefice definito talvolta «ieratico e
visionario», lontano dai fedeli e dai drammi della guerra, e spesso
accusato per i suoi «silenzi» nei confronti del regime nazista se non
addirittura per la complicità nell'Olocausto. Fu proprio Pacelli,
invece, a organizzare una rete di cospiratori impegnati a combattere in
segreto il Male Assoluto, spesso insieme ad alcuni alti ufficiali della
Wehrmacht e dell'intelligence tedesca mossi dalla volontà di rivelare al
mondo l'esistenza di una Germania Perbene. Uomini coraggiosi, pronti a
trasvolare le Alpi con le carte segrete sottratte al capo della scorta
di Hitler, a rivelare agli Alleati le strategie militari tedesche, a
rischiare la propria vita mettendo a punto innumerevoli piani per porre
fine al potere del Führer. A causa della guerra segreta che conduceva,
però, Pio XII non condannò mai pubblicamente i crimini nazisti. Temendo
che le esplicite proteste potessero ostacolare la sua lotta clandestina
contro il nazismo, non pronunciò mai le «parole di fuoco» che avrebbe
voluto dire, soprattutto dopo avere appreso della tragedia degli ebrei
nell'Europa orientale. Giocò invece a carte coperte, inviando cartoline
di buon compleanno a Hitler e, al tempo stesso, complottando contro di
lui. Basato su un'accuratissima ricerca documentale e animato dalla
tensione e dalla suspense degne della migliore spy story, il saggio di
Mark Riebling spalanca le porte del Vaticano per fare luce su alcuni
degli avvenimenti meno noti della storia del papato, cambiando
probabilmente per sempre l'ottica con cui si è guardato finora al
comportamento di Pio XII e la nostra comprensione dell'eredità storica
del suo pontificato.
Una rete spionistica di religiosi messa in piedi dal Papa per prevenire le ostilità verso i cristiani e favorire un golpe a Berlino: il libro di uno storico americano
Mirella Serri Busiarda 30 5 2016
Il trapano faceva un rumore infernale nel cuore della notte, tanto che si provò a immergerne la punta nell’olio di oliva. Un odore di fritto si sparse così nella Biblioteca Apostolica, in Vaticano, dove si stavano forando le pareti per posizionare tra i preziosi volumi le microspie di uno dei primi e più sofisticati impianti d’intercettazione ambientale. Al lavoro, tra il 5 e il 6 marzo 1939, non c’era, però, una squadra di tecnici, ma un pull di gesuiti alle prese con una gigantesca macchina di registrazione regalata al Vaticano da Guglielmo Marconi. Pio XII registrò in questo modo l’abboccamento con quattro cardinali - di uno dei quali diffidava in quanto sospetto di simpatie hitleriane - su un tema scottante: come reagire alle ostilità dei nazisti contro i cattolici e la Chiesa tedesca.
Il passo successivo per papa Pacelli fu tentare il sabotaggio dei piani di Hitler. Proprio così: a far luce su una fino a oggi ignorata vicenda di 007 in tonaca è Mark Riebling nel libro Le spie del Vaticano (Mondadori, pp. 369, € 25). Attingendo a numerosi archivi, tra cui i National Archives and Records Administration statunitensi e quelli vaticani, lo storico ricostruisce dettagliatamente le trame con cui il Pontefice cercò di provocare la caduta del tiranno.
La prima mossa si verificò il 26 maggio 1941, quando i più alti esponenti dei gesuiti e dei domenicani tedeschi diedero vita a un clandestino «Comitato degli ordini» incaricato di rastrellare documenti e progetti bellici del Führer da tutte le fonti possibili, dalle centraliniste alle segretarie, ai funzionari di governo ostili al regime. Tramite religiosi che avevano avuto dal Papa la speciale dispensa per indossare abiti borghesi e «vivere al di fuori delle regole dell’ordine», si inviavano messaggi e dispacci Oltretevere, che a sua volta faceva in modo di farli pervenire a Londra e Washington.
Il Comitato aveva contatti con leader sindacali fuorilegge, con antinazisti cattolici, con personaggi di spicco dell’opposizione, da Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco, all’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del servizio segreto militare (entrambi giustiziati a Flossenbürg il 9 aprile 1945), a Ulrich von Hassel, ex ambasciatore a Roma, impiccato l’8 settembre 1944 dopo l’attentato a Hitler. Il pontefice prendeva in seria considerazione, come dimostra Riebling, l’eventualità di un colpo di Stato e si dichiarava disponibile a far da mediatore tra i cospiratori e gli Alleati.
Una delle iniziative più audaci, di cui proprio attraverso i canali vaticani vennero messi al corrente i britannici e gli americani, fu il sabotaggio, nel marzo 1943, del Condor Focke-Wulf su cui il Führer volava verso Smolensk. Una bomba era stata nascosta in un pacco di bottiglie di cognac ma non esplose. Ugualmente fallì un ufficiale kamikaze pronto a farsi saltare in aria durante una parata in presenza di Hitler.
Il principale tramite tra il movimento antinazista in Germania e Pio XII fu un avvocato bavarese, Josef Müller, che, scoperto e arrestato, venne aggregato al convoglio dei prigionieri illustri del Führer, le alte personalità di tutta Europa che, detenute da anni nei Lager del Reich, furono portate in Alto Adige per fungere da moneta di scambio con gli Alleati in vista della resa. Liberato a Villabassa nel dopoguerra, contribuì a fondare la Cdu, l’Unione cristiano-democratica.
Dopo decenni di accanite discussioni, la rivelazione dell’esistenza di questa filiera spionistica capitanata da Müller può rivelarsi oggi fondamentale e sgravare il Papa dalla responsabilità dei silenzi sulla questione ebraica? Queste iniziative, assolutamente meritevoli, secondo lo stesso Riebling, non scagionano però il Pastor Angelicus che «davanti all’orrore di mucchi di cadaveri scheletrici, di donne e bambini costretti sotto tortura a uccidersi a vicenda, di milioni di innocenti gettati in carcere come criminali […] avrebbe dovuto parlare. Avrebbe avuto quel dovere non solo come Pontefice, ma anche come uomo».
Non basta: a convincere il Papa che era meglio tacere, sempre secondo il saggista, sarebbero stati proprio gli Alleati. Non volevano irritare Stalin condannando «specifiche atrocità» come quelle che lo stesso dittatore sovietico aveva sulla coscienza, ovvero il massacro di 22 mila polacchi nella foresta di Katyn. Pio XII si piegò a questa pressione e accettò di considerare la Shoah una «atrocità» specifica senza prendere le distanze dalla congiura dei leader delle grandi potenze contro gli innocenti. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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