sabato 4 giugno 2016

Intelligenza artificiale stimola ripetitivi orgasmi cognitari negrieri

Pedro Domingos: L’Algoritmo definitivo. La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo, Bollati Boringhieri, pp. 353, euro 35

Risvolto

La nostra società è immersa negli algoritmi. Ogni volta che visitiamo un sito web cercando un libro o un film, o che navighiamo tra i negozi online, lasciamo dietro di noi una lunga traccia digitale che descrive le nostre abitudini e le nostre preferenze; questa traccia è il «materiale grezzo», il database da cui algoritmi sempre più sofisticati traggono le informazioni per proporci il prodotto di cui abbiamo (o crediamo di avere) bisogno. Gli algoritmi ci osservano, ci imitano e fanno esperimenti su di noi, per raggiungere lo scopo che è considerato il Santo Graal della ricerca informatica: l'Algoritmo Definitivo in grado di estrarre tutte le informazioni dai dati e fare tutto, proprio tutto ciò che vogliamo, persino prima che lo chiediamo. Questo, dal punto di vista commerciale. Ma c'è anche un lato scientifico della questione, il machine learning, ovvero il campo di studi che si pone come scopo quello «niente meno» di automatizzare le scoperte. Si tratta in sostanza di trovare un algoritmo in grado di programmare se stesso. Sembra fantascienza, e invece è una disciplina nel pieno del suo fermento. Pedro Domingos è universalmente considerato uno degli scienziati di punta in questo settore. Sotto la sua guida scopriremo gli algoritmi che si nascondono dietro le nostre ricerche su Google, Amazon e Netflix. Con lui, scopriremo che esistono ben cinque scuole di pensiero differenti, che prendono ispirazione da campi tra loro distanti come le neuroscienze, l'evoluzione, la psicologia, la fisica e la statistica, tutti all'origine di strategie diverse per arrivare all'Algoritmo Definitivo. Passo dopo passo, Domingos mette al loro posto tutti i pezzi del puzzle fino a farci vedere questa intelligenza automatica universale, l'«algoritmo-fine-di-mondo», si potrebbe dire, discutendone il significato e l'impatto che potrà avere in futuro per la scienza, il mercato, la società e la vita di tutti e ciascuno di noi. La ricerca di questa macchina universale dell'apprendimento è uno degli sviluppi più affascinanti e rivoluzionari del pensiero umano di tutti i tempi e L'Algoritmo Definitivo di Pedro Domingos è la guida fondamentale per capirne a fondo il peso e le implicazioni. 

Pedro Domingos, laureato presso l'Instituto Superior Técnico di Lisbona in Ingegneria elettronica e Computer Science, ha in seguito ottenuto il Ph.D. in Information and Computer Science presso l'Università della California a Irvine. Dal 1999 insegna presso l'Università di Washington. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche su temi relativi all'intelligenza artificiale, il machine learning e il data mining, cofondatore della International Machine Learning Society e membro della Association for the Advancement of Artificial Intelligence, nel 2014 ha vinto il SIGKDD Innovation Award, la più alta onorificenza in questo settore di ricerca. L'Algoritmo Definitivo è il suo primo libro per il grande pubblico.
Un «algoritmo definitivo» ci seppellirà 
Intelligenza artificiale . Nel suo ultimo libro, edito da Bollati Boringhieri, il computer scientist Pedro Domingos ragiona intorno alla capacità di calcolo sempre più veloce delle macchine, ormai pronte a sganciarsi dall’abilità umana 
Benedetto Vecchi Manifesto 4.6.2016, 0:04 
L’immagine che meglio si addice alla storia dell’Intelligenza artificiale è quella delle montagne russe. Salite percorse lentamente, con la sensazione di tornare rovinosamente al punto di partenza e poi la vertigine entusiasmante di scendere a precipizio verso il traguardo. È dagli anni Cinquanta del Novecento che l’andamento alterni grandi momenti di euforia a rallentamenti prossimi al blocco totale. All’annuncio della produzione di macchine pensanti seguiva la smentita data dalla realtà. Sta di fatto che l’Intelligenza artificiale ha compiuto grandi passi in avanti, ma computer capaci di apprendere e mostrare qualcosa dell’intelligenza umana non ce sono in giro. 
Eppure la discussione su quale possa essere la strada per una macchina intelligente prosegue, nonostante ci siano decani dell’intelligenza artificiale che da tempo segnalino l’impossibilità di costruire macchine intelligenti. Certo i computer svolgono una quantità di calcoli a velocità sorprendente e possono gestire una mole di dati che un esercito di umani metterebbe decenni per elaborarli, mentre a un computer portatile serve una manciata di secondi per fare la stessa operazione. Ci sono anche computer che possono diagnosticare malattie e indicare terapie più accurate di tanti medici, ma l’intelligenza è cosa che ancora sfugge a quell’ammasso di circuiti e dispositivi digitali che si è soliti chiamare computer. E che possono coordinare robot che svolgono lavori molto più precisi di quanto possa fare un umano. 
Nuove conoscenze 
Negli ultimi anni, però, l’intelligenza artificiale sembra che stia salendo una delle ripide salite delle montagne russe. Le tendenze presenti sono ampiamente documentate nel godibile saggio di Pedro Domingos L’Algoritmo definitivo (Bollati Boringhieri, pp. 353, euro 35). La tesi dell’autore è semplice da riassumere: i computer continueranno a vedere crescere, più o meno vorticosamente, la loro capacità di calcolo. Ciò che manca è trovare il modo (un algoritmo) affinché le macchine conquistino l’abilità di apprendere da sole per produrre nuova conoscenza a partire dalla montagna di dati che sono stati e sono quotidianamente raccolti. La ricerca scientifica non si deve però concentrare sull’hardware, bensì sul software, cioè sugli algoritmi e programmi informatici perché le frontiere dell’automazione non riguardano più la riproduzione meccanicistica del cervello – come funzionano le reti neuronali per riprodurle con una macchina – bensì svelano l’arcano dei processi cognitivi, tra i quali il più immediato è l’apprendimento. 
Per quanto riguarda la società, significa che l’automazione del lavoro manuale è diventata marginale rispetto a quella dei processi cognitivi. Robot che possono essere precisi più di un umano ce ne sono, così come macchine che possono modificare il loro funzionamento rispetto ad alcuni imprevisti. Alcuni imprevisti, sia chiaro. Non li riescono a fronteggiare tutti, nel bene e nel male, come invece è capace l’animale umano.
Pedro Domingos non è certo interessato alla natura del capitalismo attuale e futuro. Il suo proposito è trovare la strada per trovare l’algoritmo definitivo. E in questo presenta una rassegna esauriente delle diverse tendenze e linee di ricerca presenti. Un obiettivo che sintetizza nell’espressione machine learning, la macchina che apprende per produrre nuova conoscenza: per la cura del cancro, produrre nuovi farmaci finalizzati alla terapia di malattie debilitanti, svolgere previsioni economiche, gestire processi gestionali complessi – la complessità è il mostro da domare, afferma più volte Domingos. In altri termini, l’algoritmo definitivo ha l’umano sullo sfondo. Non la «nuda vita», bensì proprio le caratteristiche fondamentali della specie umana. I processi cognitivi, il linguaggio, le capacità di astrazioni. 
La posta in gioco 
Un marxista eterodosso affermerebbe che l’algoritmo definitivo serve a automatizzare l’attività cognitiva sans phrase. Di esempi che ne sono a mucchi. Dei sistemi esperti per la diagnosi delle malattie molto si sa, dei programmi per fare operazioni in borsa è costellata la crisi del capitalismo contemporaneo, lo sviluppo – attraverso sofisticate elaborazioni delle informazioni – dei Big Data è materia dell’attualità giornalistica, con le declamazioni entusiaste sulle fortune di imprese – Amazon, Google, Facebook, solo per citare le più note – che fanno profitti proprio sulla gestione delle informazioni individuali, facendo carta straccia della privacy e della democrazia.
Pedro Domingos sostiene che la strada verso l’algoritmo definitivo sia lunga e piena di insidie, ma dice anche che ormai è stata presa e difficilmente si potrà interrompere il cammino. Il suo saggio è una buona introduzione agli sforzi in atto sulla formalizzazione matematica dell’attività cognitiva. La posta in gioco, infatti, è la produzione di nuova conoscenza a ritmi più veloci di quelli che può esprimere il cervello umano, anche se diventa collettivo. Perché è nella conoscenza che l’economia prospera. L’algoritmo definitivo è lo strumento per conseguire questo vantaggio competitivo. 
L’autore concede poco alle cosiddette scienze sociali, né è interessato ai rapporti sociali. Stabilisce nessi, analogie tra lo sviluppo della machine learning con la mappatura del genoma umano. Entrambi servono a svelare il mistero della natura umana, in una prospettiva deterministica e naturalistica, ma entrambi servono per trovare il passaggio per riprodurre l’attività cognitiva. Il futuro del mondo, come recita il sottotitolo, è proprio nella macchina che impara da sola. Per questo vale la pena ricercare e studiare. E investire.
L’autore non si concede nessuna previsione. Non è cioè interessato a capire come sarà il mondo, quali le relazioni sociali che prenderanno forma. Dalla lettura del suo libro esce confermata la tesi che il lavoro manuale diventa marginale, un residuo rispetto la produzione della ricchezza. Per Domingos è irrilevante il fatto che quel che rimane del lavoro manuale sia ripetitivo, alienante e poco remunerato. Né che gran parte del lavoro intellettuale (è una semplificazione, va da sé) sia sempre più standardizzato, omologato, mortificando creatività e innovazione. Anche in questo caso in diminuzione e sempre più poco remunerato, cioè pagato. 
Ci sarà un tempo nel quale l’idea della proletarizzazione crescente, descritta da Marx, sarà sottratta a una visione economicistica, come è stato per gran parte del Novecento e ricondotta alla più realistica tendenza a trasformare ogni funzione umana ad attività produttiva che risponda alle bronzee leggi del lavoro salariato, anche se formalmente i rapporti di lavoro non sono quelli codificati durante il lungo Novecento. 
La cultura è un’eccedenza 
L’aumento della disoccupazione, ormai strutturale, non riguarda infatti solo il lavoro manuale, ma anche quello intellettuale. Chi è stato cacciato, perché in esubero, sono stati impiegati, softweristi, operatori finanziari. Per loro, come a suo tempo per gli operai, l’angusto e feroce futuro di precarietà e impoverimento. Anche le recenti controriforme che coinvolgono le università di molti paesi europei servono a ridimensionare la «materia grigia» in circolazione. L’acculturazione, l’accesso alla formazione universitaria, ritenuto diritto universale, è una eccedenza di cui il capitalismo non ha bisogno. O meglio, va governata, cioè resa risorsa scarsa attraverso le barriere d’ingresso all’università, le norme internazionali sulla proprietà intellettuali, le riforme del mercato del lavoro. 
Anche in questo caso è introdotta una forte gerarchia, una stratificazione del lavoro vivo (intellettuale, sempre per semplificare) funzionale alle necessità produttive. Vanno cioè prodotti bacini di lavoro vivo dove attingere. Per la produzione di nuova conoscenza serve un algoritmo definitivo sul quale investire. Con la leggerezza di chi è appassionato al suo lavoro, Pedro Dimingos sorvola su tutto ciò. Per questo ricercatore di origine portoghese, la machine learning è l’obiettivo. 
Certamente, poi, sa anche che la proprietà intellettuale può essere un ostacolo. E solo su questo ha un sussulto «politico», perché invita ad allentare la maglie sulla circolazione del sapere e della conoscenza, così come si ritrae quasi inorridito dalle tecniche di data mining, cioè l’estrazione di dati pregiati dalle attività che si compiono in Rete, in quella infrastruttura universale della comunicazione. Ma sono solo sussulti. Niente a che vedere con la passione che lo anima nel cercare la scrittura dell’algoritmo definitivo.

La fine della storia e il cigno nero
Intelligenza artificiale. Lo studioso Pedro Domingos, nel suo ultimo libro «L'algoritmo definitivo» sembra ignorare la funzione di controllo insita nei «learner»
Michele Cento Manifesto 4.6.2016, 0:04
La «complessità organizzata» esige infatti un cambio di paradigma nello statuto delle scienze. Non si piega al vecchio e rassicurante esprit de geometrie: non sopporta la linearità del metodo cartesiano poiché il suo ordine interno è disseminato di variabili concatenate tra loro e dalle combinazioni imprevedibili per la minuscola mente umana. È la complessità osservabile nel mondo organico e sociale, più che in quello fisico. L’utilità del learner risiede quindi nella capacità di organizzare gli uomini in quanto esseri complessi, ovvero senza reificarli per esigenza di semplificazione. Mentre gli algoritmi tradizionali sono sottoposti a istruzioni dettagliate e rigide che riducono la complessità del reale svuotandolo della contingenza, i learner – spiega Domingos – sono dispositivi leggeri, flessibili e versatili, caricati con pochi input iniziali grazie ai quali giungono autonomamente all’obiettivo prefissato. In virtù della loro «costituzione» i learner possono compiere tale operazione senza indietreggiare di fronte alla complessità. Al contrario, essa è la palestra dove si «addestrano», formulando infinità di ipotesi che vengono ogni volta testate, confermate o scartate. Proprio come agli esseri umani, ai learner viene riconosciuta la possibilità di sbagliare, che è anche la condizione imprescindibile del loro apprendimento. Se le macchine hanno automatizzato il lavoro, i learner automatizzano l’automazione secondo canoni umani.
Nel processo di apprendimento l’umano si presenta però all’algoritmo in una forma mediata, ovvero sotto forma di dati. È dalla quantità di dati di cui l’algoritmo dispone che dipende la sua capacità di afferrare l’infinita complessità dell’umano. Ed è questo che i learner promettono alle aziende che si dotano di tali dispositivi: un canale di accesso immediato ai nostri desideri, alle nostre aspirazioni, ai nostri bisogni. I dati sono allora il nuovo petrolio, dice Domingos, riportando quello che è ormai un luogo comune nel mondo del business. Il data mining diventa così il nuovo orizzonte dell’estrazione del valore per colossi come Google, Amazon o Ibm. La nuova frontiera dell’accumulazione capitalistica si colloca pertanto al punto di incontro tra learner e big data. Qui il capitale si presenta nelle vesti scintillanti di potenza digitale: si serve di macchine intelligenti per scrutare nelle nostre esistenze, ma dichiara di farlo per venire incontro alle esigenze, ai gusti e ai desideri di ciascuno di noi. Mentre promette di non sfruttare più uomini e donne ma dati, il capitale trova nel learner un dispositivo biopolitico attraverso cui aggirare la mediazione sociale: la profilazione che gli algoritmi forniscono è la scorciatoia per rapportarsi direttamente con la vita dei singoli individui, facendo a meno della società.

Ecco la pretesa del capitale 2.0. Non si tratta però di una generica messa a valore della vita dei singoli individui, perché il «governo tecnico» dispiegato dai learner riproduce assetti di potere ben radicati nella materialità sociale, dalla quale Domingos, trascinato dalla sua incalzante narrazione, sembra allontanarsi per disegnare i contorni avveniristici di una sorta di cyber-mondo. Egli sembra, infatti, ignorare che ciò che viene messo in scena non è altro che l’ennesimo gioco di prestigio del capitale, il quale fin dalla sua infanzia ha cercato di negare la radice sociale del processo di valorizzazione. Benché dotato di learner, il capitale non cessa cioè di incarnare un rapporto sociale di dominio, poiché la logica di tale rapporto viene trascritta nell’algoritmo stesso.
L’autonomia di quest’ultimo è una finzione o tutt’al più un’autonomia limitata ab origine dal momento che, come Domingos ammette, la «valutazione», ovvero la fissazione degli obiettivi e la logica di base del funzionamento del learner, è in mano a chi lo controlla. Non basta allora, come fa Domingos, invocare astrattamente l’open source come soluzione alle asimmetrie di potere che il controllo del learner determina, perché l’«intelletto tecnico» del capitale rimane sempre «umano, troppo umano»: spogliato della sua veste digitale, i suoi fini risultano grossolanamente mondani.
Nella sua pretesa di autonomia, il learner è cioè la punta più sofisticata dell’apparato ideologico capitalistico attuale. La lotta di classe ai tempi del technical intellect non può allora fare a meno di aggredirne la logica se non vuole rimanere schiacciata da dispositivi matematici formalmente ineccepibili.

Proprio in quanto sintesi di tutti i learner disponibili, l’algoritmo definitivo è il tentativo di spacciare il potere sociale del capitale per il governo puro della scienza, intesa come automatismo cognitivo, ovvero conoscenza svincolata dalle sue concrete condizioni di produzione. Il machine learning è ideologia. È scienza senza storia e nondimeno capace di determinarla: è l’economia politica del XXI secolo, o senz’altro una delle sue branche più promettenti. Il volume di Domingos ci lascia allora con la sensazione che ci manchi una storia critica della tecnologia. O, se si preferisce, una storia «politica» della scienza aggiornata all’oggi, che sappia preparare il terreno all’imprevedibile, al «cigno nero» che, a differenza dell’imprevisto, neanche il learner riesce a contemplare: l’insubordinazione di massa che pure ha scandito in più punti la storia del capitalismo.

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