domenica 19 giugno 2016

"La mappa della CIna del signor Selden": cartografia, visione del mondo e colonialismo


Timothy Brook: La mappa della Cina del signor Selden, Einaudi

La mappa della Cina del signor SeldenRisvolto
Nel 1654 arrivò a Oxford una strana mappa della Cina, lasciata in eredità dall'avvocato John Selden alla Biblioteca Bodleiana, che rimase per lunghi secoli ignorata. Quando nel 2009 il sinologo Timothy Brook la vide per la prima volta, si accorse che la mappa di Selden rappresentava un puzzle da risolvere, un oggetto dall'aspetto cosí moderno da sembrare quasi un falso. Invece era originale, e costituiva il piú importante documento cartografico della Cina degli ultimi sette secoli. La mappa raffigurava la porzione di mondo che i cinesi conoscevano all'epoca, dall'Oceano Indiano alle isole Molucche e da Giava al Giappone. Ciò che rappresentava era sorprendente, dato che mostrava la Cina non tagliata fuori dal mondo, ma al centro di relazioni marittime tali da creare l'embrione di una rete commerciale globale, la stessa che avrebbe alimentato lo sviluppo dell'Europa e dell'Oriente contemporaneo. Tutto ciò poneva alcune domande: come arrivò la mappa nelle mani di Selden? chi immaginò il mondo in quel modo? e, questione ancor piú importante, cosa ci dice la mappa del mondo che raffigura? Come un detective, Brook indaga per cercare delle risposte, muovendosi dal deserto di Gobi alle Filippine, da Giava al Giappone, fino al cuore della Cina stessa. L'autore del Cappello di Vermeer esplora ogni dettaglio alla ricerca delle forze che modellarono l'inizio dei rapporti della Cina con il mondo moderno e, raccontando le vicende di ambasciatori, intellettuali, esploratori, corsari e commercianti, le cui vite incrociarono variamente la storia della mappa, ci restituisce tutta la ricchezza e la complessità di un'epoca.
«Durante la prima metà del XVII secolo, la mappa Selden era la carta geografica piú accurata del Mar Cinese Meridionale. Non c'era mai stata una mappa migliore e per altri quattro decenni non ce ne sarebbe stata un'altra. Ma dal punto di vista piú ampio della storia della cartografia, la mappa Selden non ebbe mai l'opportunità di dimostrarlo. L'uomo che progettò la mappa aveva scoperto un metodo geniale di rappresentare il mondo partendo dal mare e non dalla terra. Fu un presentimento molto azzeccato, che lo situa a metà strada dal problema della curvatura e che ha avuto come risultato una mappa straordinaria. Ma, a meno di non scoprire altre mappe come questa (o finché non ci riusciremo), non abbiamo nient'altro con cui procedere. Potrebbe essere un esemplare unico, un brillante esercizio che creò una sola mappa e non altre? Difficile immaginarlo, e comunque non esiste altro. Il cartografo non lasciò appunti che spiegassero come l'ha disegnata, e non insegnò a nessun discepolo come migliorare e generalizzare il suo metodo in un insieme di principî per disegnare mappe di questa dimensione. Nulla fu appreso o trasmesso, per quanto possono dimostrare le prove rimaste. È una strada senza uscita».        
Lingue inattese di terra e mare 
PASSATO PRESENTE. Timothy Brook, sinologo tra i più autorevoli, nel volume «La mappa della Cina del signor Selden» (Einaudi), racconta la storia di un documento del 1654 rinvenuto solo nel 2009 nella biblioteca Bodleiana di Oxford che apre nuovi scenari politici
Simone Pieranni Manifesto 18.6.2016, 0:05 
Nel 2009 la biblioteca Bodleiana dell’università di Oxford scoprì di avere nelle proprie stanze una mappa della Cina. Dagli archivi risultava che quella carta era stata donata dall’avvocato Selden nel 1654. Per quattro secoli era rimasta lì, inosservata. Per capirne di più, per comprenderne o meno il valore, il conservatore della biblioteca chiamò un esperto: Timothy Brook. Si tratta di uno dei più noti e stimati sinologi. È autore di un libro di successo (Il cappello di Vermeer, Einaudi), nel quale aveva già dato prova di scrittura, dimostrando di saper raccontare con grande spirito narrativo interi periodi storici. Brook, tra le altre cose, è stato un allievo e poi collaboratore di Joseph Needham, che tanto per capirci può essere definito uno dei più grandi sinologi di tutti i tempi e autore del fondamentale e mastodontico lavoro in quindici volumi Storia e scienza della Cina (pubblicato in Italia da Einaudi). 
Fabbricazioni scrupolose 
Brook esaminò la carta geografica, studiò il suo iter all’interno della biblioteca (una delle più prestigiose del paese e rinomata per il materiale «orientale» a disposizione) e capì subito di essere di fronte alla «più importante mappa cinese degli ultimi sette secoli», perché raffigurata in modo minuzioso c’era «la porzione di mondo che i cinesi conoscevano all’epoca, dall’oceano indiano a ovest delle isole Molucche a est, e da Giava a sud al Giappone a nord». Brook confrontò la fabbricazione, ingegnosa e scrupolosa, con altre a disposizione della biblioteca. La «mappa di Selden», come venne chiamata dal nome del suo donatore, descriveva i confini della Cina e il «suo» mare. 
Capirete che la notizia del ritrovamento, nel 2009, fece un certo rumore. Il fatto che la mappa descrivesse per la prima volta le rotte commerciali nel mar cinese meridionale, deve aver risvegliato molti animi. Quando si va a scoperchiare il passato, chi gestisce il presente spesso finge indifferenza temendone un contraccolpo. Ma per i cinesi parlare di mar cinese meridionale, nel momento in cui proprio oggi in quella zona si gioca una nuova guerra fredda, diventa invece un’opportunità. E se una mappa dimostrasse che le rivendicazioni odierne della Cina, considerate sbagliate da tutti i paesi che si affacciano su quel mare e dagli Stati uniti, sono esatte? Se quella mappa dimostrasse che quelle isole che costituivano un incubo per i marinai del 1600, perché apparivano e scomparivano, sono «cinesi» fin dal 1600 almeno, sempre che la mappa non sia addirittura precedente? Timothy Brook decide di giocare con questa domanda ne La mappa della Cina del signor Selden (Einaudi, pp. 272, 26 euro) anche se l’oggetto ritrovato diventa subito un’enorme strada percorsa da centinaia di vite. 
L’occhio esperto e raffinato di Brook sa individuare tutte le storie più sfiziose che ruotano attorno a quella carta geografica, andando avanti e indietro nel tempo, ripescando il clima politico e culturale dell’epoca. La precisione di alcuni particolari costituisce un ampio faro di luce sul sistema politico e culturale orientale e occidentale. Le derive che Brook coglie sono continue, spiazzanti e avvolgenti. Lo stile del libro è quello di un «saggio narrato»: una non fiction che sembra di continuo in procinto di ibridarsi. Ma Brook è uno studioso e tiene la bussola sempre a portata di mano, esattamente come i timonieri di cui racconta nel libro. La controlla per non perdere mai la rotta. E le derive continuano. Per dirne alcune: l’uomo che donò alla biblioteca la mappa si chiamava John Selden. Membro della camera dei comuni, repubblicano, è divenuto famoso perché a lui si deve, in pratica, la creazione del diritto internazionale. Molto interessato – per ovvi motivi – alle carte geografiche. Un uomo eristico, in apparenza, uscito dal guscio di studioso sconosciuto grazie a un libro sul sistema di tassazione dell’epoca. A questo riguardo va detto che il papa non prese bene quell’esordio letterario (Selden da giovane scrisse anche poesie e bazzicava l’ambiente dei Ben Jonson e degli Shakespeare). 
Mete proibite 
La notizia dell’interessamento del papa al lavoro di Selden, giunse all’orecchio del re inglese. Giacomo I, che si diceva non fosse particolarmente sveglio, capì invece al volo una cosa: se qualcuno metteva in dubbio il diritto divino, come faceva Selden, da lì a poco si sarebbe potuto mettere in dubbio anche l’esistenza di uno dei messaggeri di Dio. Selden – dal racconto di Brook – ha una personalità ambigua. Fu incarcerato in due occasioni per le sue attività parlamentari contrarie alla corona, finché non teorizzò – per la prima volta – che una parte del mare di fronte al paese è da considerarsi appartenente al re, esattamente tanto quanto i cieli. Come se tutto fosse terra. Questo accadeva verso i primi anni Venti nel 1600; da qualche parte là fuori, cominciava la guerra dei trent’anni e la Cina era vista come la meta proibita da tutti i commercianti. Spagna, Portogallo e Olanda si giocavano i mari, tra bottini e saccheggi, pirateria e guerra vera: bombe dalle navi. Mentre i cannoni dalla costa rispondevano. E sarà proprio il lancio di quel cannone – la sua massima gittata – a stabilire il limite massimo della sovranità sui mari di uno stato. 
Altra deriva: Brook osservò che la mappa era stata arricchita di caratteri cinesi e di traduzioni da parte del primo cinese approdato in Inghilterra. A «Michael», nome occidentale di Shen, sono unite le vite dei primi studiosi del cinese in terra britannica. E insieme a loro e insieme alle merci, si muoveva l’interesse per la Cina e per l’Oriente in generale. Un uomo di cultura non era ritenuto davvero tale, all’epoca, se non sapeva almeno una lingua tra persiano, ebraico o cinese. Le persone viaggiavano e si spostavano, erano assolutamente desiderose di scoprire e confrontarsi con «l’altro».
Ma proprio in quel momento, ed ecco forse perché la mappa è stata per così tanto tempo dentro un involucro, nasceva l’orientalismo. Non era un caso: intorno a quel mondo infatti cominciavano a espletarsi le logiche imperialiste che abbiamo conosciuto. 
Raccogliendo dettagli sulla mappa Brook capì che alcuni mondi si aprivano e si chiudevano in continuazione. Come la storia di «capitan Cina» – ad esempio – e di una coppia di fratelli che riesce a imbastire un commercio con inglesi e olandesi contemporaneamente, fregando entrambi i partner. All’epoca i rapporti tra Inghilterra e Olanda erano pessimi: gli olandesi pescavano le aringhe nei mari inglesi e il re non aveva uno strumento giuridico per intimare di non farlo. E non poteva dichiarare guerra o compiere gesti che oggi definiremmo unilaterali, per via di una serie di matrimoni che lo incastravano all’impotenza.
Ma se hai un noto avvocato e studioso in carcere e baratti con lui la libertà in cambio di un trattato che dia ragione al re, risolvi alcuni contrattempi. Selden scrisse allora Mare chiuso, opera che si contrapponeva al Mare Libero di Grozio (guarda il caso olandese) e uscì dal carcere. I due non si conobbero, ma pare si leggessero. All’epoca i libri – tomi da cinquecento pagine, come il primo libro di Selden sulle decime – giravano, passavano spesso dalle mani dei re e del papa. 
Erano loro due a stabilire i best sellers dell’epoca. Selden quindi accettò un bieco compromesso, sul quale Timothy Brook dimostra un’indulgenza british. L’epoca, dicevamo, metteva a confronto i mercanti inglesi e olandesi, in continuazione. Ogni porto viveva giornate di delirio. A volte si intimava uno stop, altre volte, molto più spesso, si menava duro, fino a uccidere. Il mercato che faceva più gola era la Cina, ma c’erano dei problemi. L’imperatore cinese considerava tutti quanti vivevano fuori dai suoi confini dei barbari. Si comportava più meno in questo modo: mandava i propri incaricati dai re stranieri, per salutarli o annunciare qualsiasi cosa avesse voglia di annunciare. E chiedeva in cambio dei tributi. 
Faccendieri e mercanti 
Funzionava così: la Cina era una potenza temuta e ammirata. I commercianti volevano quel mercato, ma l’Impero cinese era chiuso, finendo per favorire appetiti, contrabbando, mercato nero e soluzioni drastiche (che arrivarono qualche secolo dopo). Dalla Cina ufficialmente non si portava via niente, né stoffe, né tessuti, né spezie. Niente: capirete meglio a questo punto la guerra dell’oppio. Inglesi e olandesi erano costretti a trovare faccendieri cinesi che millantavano – molto spesso – di avere le capacità e le conoscenze necessarie a creare questo commercio illegale.
E i fratelli Li riuscirono a convincere parecchi inviati dei due paesi europei ad anticipare molti – in alcuni casi moltissimi – soldi per attivare lo scambio economico. I fratelli Li si rivelarono dei truffatori. I cinesi che fregano gli occidentali, guarda un po’. 
Infine, si diceva del mare e del suo possesso: la mappa di Selden non chiarisce assolutamente nulla, ma si immerge nella Cina del passato, riscontrando uno spassoso parallelo tra Oriente e Occidente. Mentre in Occidente si combatteva per il commercio, aprendo nuove rotte sviluppando la logica imperialista e cercando di piegare il diritto a quelle esigenze, la Cina si racchiudeva in sé stessa cercando di limare la propria dottrina amministrativa e di stato, curando le modalità con cui accedere alle sfere della politica. Un doppio binario che ben presto si sarebbe incrociato con risultati nefasti per la Cina. Da lì a poco sarebbe diventata il malato d’Asia. Un secolo e oltre di sofferenze che non a caso, oggi, viene spesso ricordato a giustificare il ritorno di Pechino al suo posto naturale, al centro del mondo.


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