lunedì 20 giugno 2016

La russofobia nella storia dell'Occidente

Russofobia. Mille anni di differenzaGuy Mettan: Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti, Roma, pagg. 426, € 22

Risvolto
"La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma", affermava Churchill nel 1939. Ma l'Occidente ha mai provato davvero a risolvere questo rompicapo? È l'oggetto osservato a essere imperscrutabile, o sono forse gli occhi dell'osservatore a essere offuscati? Partendo da Carlo Magno, fino ad arrivare alla recente crisi ucraina, Guy Mettan ricostruisce le linee di forza religiose, geopolitiche e ideologiche di cui si nutre la russofobia europea e americana. Attraverso una discussione critica delle fonti mette in luce le debolezze e le mistificazioni del pregiudizio che ancora oggi porta l'Occidente a odiare l'orso russo e a temere il suo presunto imperialismo. "Oggi - sostiene Mettan - il mistero russo non esiste più, poiché le informazioni sono disponibili, per tutti coloro che vogliano decifrarle". Introduzione di Franco Cardini. 

Dove nasce la Russofobia

pregiudizi anglossasoni

Gennaro Sangiuliano Domenicale 19 6 2016
La Russia aggressiva, l’assolutismo di una «democrazia controllata», il riarmo poderoso, un leader che viene dal Kgb, il ritorno all’espansionismo imperiale. Sono queste le lenti del sospetto con cui viene approcciato, in tempi recenti, ogni discorso sulla Russia, in particolare sui media. Il campionario è vasto e ormai è parte di un habitat mentale diffuso in Occidente, uno stadio prepolitico, che precede le analisi su fatti, numeri e circostanze, senza alcun beneficio del dubbio. Una condizione di pregiudizio che il giornalista e storico svizzero Guy Mettan ha voluto riassumere nel saggio Russofobia. Mille anni di diffidenza apparso ora anche in Italia per l’editore Teti in una collana curata da Luciano Canfora.
Quella russa è la cultura che ha generato una delle più straordinarie letterature al mondo, capace delle profondità di pensiero di Dostoevskij, Cechov, Tolstoj, Gogol’, una cultura fertile in ambito scientifico con grandi fisici e matematici, grandi sensibilità musicali. L’atteggiamento oggi prevalente, invece, è quello di ritenere la Russia un «mix pericoloso», dei «semieuropei che per un verso o l’altro appartengono al mondo dell’alterità rispetto all’Europa», come scrive Franco Cardini nella prefazione. Eppure, un sicuro statista come De Gaulle diceva: «L’Europa va dall’Atlantico agli Urali».
Quando tornò dal lungo esilio trascorso negli Stati Uniti, il premio Nobel, Aleksandr Solženicyn ringraziò l’America per avergli offerto asilo e protezione ma chiarì che la Russia che usciva dalle macerie del comunismo non sarebbe mai potuta diventare una democrazia di tipo occidentale ma che le soluzioni nel dopo Urss andavano trovate nel solco della tradizione del suo grande paese, a partire dal millenario spirito religioso ortodosso. Infatti, l’esperimento della stagione eltsiniana di trasformare la Russia in una sorta di nuova America finì nel disastro sociale e soprattutto nel saccheggio mafioso delle risorse energetiche. «La società occidentale illuminata di oggi (è essa che detta le regole) è in verità ben poco tollerante, soprattutto quanto la si mette sotto accusa», scrive Solženicyn, «essa è univocamente improntata a un rigido sistema di idee convenzionali».
«Siamo credibili e onesti quando parliamo della Russia?» si domanda Mettan, che forse un po’ esagerando, parla di un «nuovo attacco di isteria antirussa» e della «costruzione del cattivo, ruolo oggi assegnato a Vladimir Putin». 
Molte vicende, negli ultimi anni sono state raccontate con una prospettiva molto parziale. L’Occidente definì brutale l’intervento russo in Cecenia, ora che i ceceni si sono dimostrati i più feroci tagliagole che operano in Siria e in Iraq, molti analisti convergono nel ritenere che forse Putin ha evitato l’insorgere di un pericoloso califfato nel Caucaso. Allo stesso modo, va riconsiderata la posizione di Putin che, nel 2003, non volle aderire all’operazione per spodestare Saddam Hussein in Iraq, giudicandola avventata. Così abbiamo urlato per la distruzione di Palmira ma poi è toccato ai russi liberarla, come già fecero con il grande tributo di sangue nella lotta al nazismo.
Sia chiaro, non c’è alcun complotto mondiale e tantomeno americano contro la Russia, si tratta di un approccio culturale, spesso infarcito di pregiudizi, privo soprattutto di una puntuale conoscenza della storia. L’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines è stato addossato ai separatisti filorussi, prima ancora delle verifiche degli organismi internazionali. L’intera vicenda Ucraina è stata raccontata secondo lo schema lineare e un po’ banale dell’aggressione russa, senza valutare la memoria di un passato lacerante, le nostalgie filonaziste dell’estremismo ucraino, gli eccessi della classe dirigente locale, gli assetti della geopolitica. Mettan esamina il referendum in Crimea, «il fatto che il 95% degli abitanti si sia pronunciato a favore dell’Unione con la Russia non ha avuto alcuna importanza». E pochi hanno ricordato che un analogo referendum si svolse nel gennaio del 1991, con lo stesso risultato. 
Il tema della russofobia ha elementi di verità, che questo libro esamina accuratamente, bisogna accoglierli con equilibrio e voglia di ragionare. Gli Stati Uniti hanno difeso le bandiere della libertà e della democrazia, guadagnando grandi meriti storici. Oggi, stentano a comprendere che la vecchia dicotomia non esiste più e che il mondo presenta nuovi problemi, la vera sfida per la libertà non viene da Est ma forse da Sud. Il deputato texano Ron Paul, esponente di punta del Congresso, definì «come uno dei peggiori atti legislativi mai votati dal Congresso» la Risoluzione 758 contro la Russia.
Il mondo anglosassone a volte è convinto che la linea di perfezionamento globale dell’umanità debba coincidere con la sua nozione di società, che negli ultimi decenni presenta criticità enormi, con uno svuotamento di valori e l’esaltazione degli eccessi finanziari a danno della produzione di beni. La Russia ha peculiarità storiche che si perdono nei secoli, a cominciare dalla sue dimensioni. Richard Pipes, professore emerito di Harvard, avverte che bisogna far partire ogni discorso da ciò, cercando di capire. 
Nel delineare le ragioni del nichilismo europeo Martin Heidegger, nel saggio Oltre la linea fa ricorso a due grandi autori russi, in particolare riprende il discorso di Dostoevskij su Puškin del 1880, laddove lo scrittore cita il poeta nell’analisi del rapporto fra élite oligarchica e popolo. Puškin identifica quello che chiama ceto dell’intelligencija, che «crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo», responsabile di aver alimentato una «società sradicata, senza terreno» e ne censura il comportamento «svincolato dalla terra del nostro popolo». In questo forse, nella difesa di alcuni valori, la Russia, con la sua cultura, non solo è parte integrante dell’Europa, ma ne rappresenta meglio le sue radici. Scrive l’autore di Russofobia: «Senza Bisanzio non ci sarebbe stato nessun Rinascimento italiano; ma senza Bisanzio e senza la Russia non ci sarebbero state né l’Europa cristiana né la civiltà europea».
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