giovedì 9 giugno 2016

Sinistra Inutile sempre pronta a correre in soccorso del PD




Cofferati: «Sinistra così non va, serve una proposta»
Intervista. L'ex pd: ai ballottaggi non possiamo dare indicazioni perché non abbiamo una politica delle alleanze. Per il congresso non possiamo aspettare fino al referendum. Dobbiamo essere un riferimento politico per chi abbandona Renzi intervista di Daniela Preziosi il manifesto 9.6.16
Sergio Cofferati vuole fare due premesse. La prima: «Il costante calo dei votanti alle amministrative, e cioè le elezioni storicamente più partecipate, ha l’effetto di ridurre il consenso con il quale il sindaco viene eletto. Pochissimi sindaci passano al primo turno. Dopo il ballottaggio, dove la partecipazione scende, ci saranno sindaci di città importanti che verranno eletti con un suffragio intorno al 20 per cento degli aventi diritto. Saranno sindaci deboli. E per questo avranno vita complicata». La seconda premessa: «Una cosa simile può accadere contemporaneamente al governo nazionale: con l’Italicum potremmo avere un partito che vince al ballottaggio con un numero basso di voti. Uno scenario inquietante. Mi preoccupa che il presidente del consiglio non se ne preoccupi affatto».
Le amministrative per Renzi sono una battuta d’arresto?
Assistiamo al fenomeno dei voti persi dal Pd, ma non solo. Ci sono anche quelli sostituiti. A Roma il luogo di maggior successo del Pd è Parioli, il quartiere della borghesia; a Milano il Pd regge nel centro storico e arretra nelle periferie. È la conferma che c’è una sostituzione di voti. Non sto parlando di Verdini, parlo dei soggetti sociali che votano Pd. La quantità di voti può restare la stessa, ma il Pd cambia natura perché cambia insediamento sociale. Cambiano le domande che vengono da chi lo vota.
E però questi soggetti sociali in fuga dal Pd non si travasano sui sindaci di sinistra, tranne poche eccezioni. Perché?
Perché la sinistra ha uno spazio potenziale ampio, ma al momento non ha una proposta politica né una struttura organizzativa. Quanto alle eccezioni, sono lodevoli: Cagliari, Brindisi, Caserta, Sesto Fiorentino.
Un momento: a Cagliari Zedda guidava una coalizione di centrosinistra, in molte altre città grandi invece avete promesso liste di ’sinistra sinistra’.
A Cagliari è stata riconfermato il centrosinistra perché ha governato bene. C’è stato un giudizio positivo sulla coalizione e sulle politiche dell’amministrazione, oltreché su Zedda. Le esperienze arancioni, dove hanno funzionato, andavano riproposte.
Scusi, anche a Milano è di nuovo avanti il centrosinistra. Un centrosinistra che a lei non piace e che in molti hanno scomunicato.
Milano è tutta un’altra storia. Lì l’esperienza arancione si è interrotta. Sala non c’entra niente con quella storia. Alle primarie c’erano due candidati di sinistra che si sono eliminati a vicenda. Il sindaco Pisapia prima ha lasciato candidare Maiorino poi gli ha contrapposto Balzani. È stata la sua scelta sbagliata di mettere in contrasto due suoi assessori ad aver affossato la storia arancione. E a non aver garantito la continuità della sua giunta.
Torniamo al Pd che perde voti e alla sinistra che non li guadagna.
Sinistra italiana doveva definire la sua proposta politica e, in essa, il problema delle alleanze. Un problema che c’è: dobbiamo essere una forza che si candida a governare. E nessuno pensa di poter governare da solo si è proceduto a tentoni nascondendo quello che presumibilmente è elemento di dissenso interno, e cioè quali possono essere le alleanze praticabili e a come le si costruisce, con quali discriminanti. Ma se non nasce in fretta la proposta politica, rischiamo di non essere attrattivi. E va definito subito anche il progetto organizzativo. Se vuoi fare un congresso devi avere gli iscritti. Ma oggi la campagna di adesione si basa sostanzialmente sulla rete. Non va bene: la tecnologia è strumento importante ma non può essere la soluzione su cui si fonda il nuovo soggetto. Bisogna fare le tessere guardando in faccia gli iscritti.
Fare una campagna di tesseramento mentre si va alle comunali con coalizioni di partiti concorrenti a sinistra sarebbe stato complicato.
E perché? Con gli alleati si fa l’alleanza, a casa tua parli con i tuoi iscritti. Senza iscritti e senza congresso restiamo in una fase delicata di democrazia sospesa. Questo tempo va ridotto. Conosco la fatica di questo lavoro. Ma il fatto che non sia iniziato è inquietante. A settembre c’è la campagna referendaria. Come si farà il congresso a dicembre se prima di ottobre non ci saremo dati il tempo di iniziare la discussione?
Ma ha senso per voi fare un congresso prima di un referendum che potrebbe cambiare tutta la scena politica?
Non si può aspettare il referendum per decidere che fare. Ci dobbiamo essere per offrire un riferimento a chi nel Pd decidesse di cambiare collocazione.
Nelle città però i delusi dal Pd però non vi hanno votato.
Ripeto: perché non siamo stati in grado di dare loro un riferimento nella politica nazionale. Sono delusi da Renzi per ragioni di politica nazionale.
Ai ballottaggi i candidati sindaci di sinistra non danno indicazioni di voto. Le piace questa scelta?
Io penso che bisogna sempre votare. Ma la mancanza di indicazione è inevitabile: nasce dalla mancanza di progetto e di una politica delle alleanze.
Nessuna indicazione anche nella sua Bologna dove lo spareggio è fra Pd e Lega?
Bologna non fa eccezione. Anche se non ho dubbi su cosa faranno quelli che hanno votato Martelloni. Spero che partecipino al voto.
Ma una forza politica che non sceglie ai ballottaggi non rischia di mettersi fuori gioco e rassegnarsi a non avere un ruolo politico?
Noi oggi siamo fuori gioco. E non scegliere è un segno di debolezza. Ma è inevitabile. Per questo spero che ora Sinistra italiana, o come si chiamerà, provi ad accelerare i tempi. L’anno prossimo si vota a Genova, la città dove abito e dove c’è una giunta arancione. Non vorrei che ci ritrovassimo ancora in questa condizione. Anzi: mi piacerebbe che Genova proseguisse la sua esperienza arancione. Con Marco Doria.
Vorrebbe che Sinistra italiana invitasse subito Doria ad andare avanti?
Vorrei che mettesse in campo il suo progetto per dare forza alla prosecuzione a esperienze di governi di sinistra e centrosinistra. A Milano non è successo, per fortuna è successo a Cagliari. Aiutateci a salvare il soldato Doria. 

Bersani L’ex leader lancia un ponte verso Sel: “Se non cambiamo strada perderemo altri elettori”
È chiaro chi è la mucca nel corridoio: l’hanno ignorata Fassina fa tenerezza è un peluche Verdini è ruvido come un feltro intervista di Giovanna Casadio Repubblica 9.6.16
ROMA. «Tenere le canalette aperte...». Raccomanda Pierluigi Bersani ai dem. Ma è anche l’invito che ha appena rivolto al candidato sindaco di Sinistra Italiana Stefano Fassina uscito dalla competizione romana con un risultato deludente. Dopo la batosta che il Pd ha preso al primo turno delle amministrative, l’obiettivo di cui parla l’ex segretario resta quello di correggere Renzi e «ricostruire il centrosinistra, cambiare strada». Perciò breve colloquio in un corridoio di Montecitorio di Bersani con Fassina, Alfredo D’Attorre e Carlo Galli, i fuoriusciti del Pd in rotta di collisione totale con il PdR, il partito renziano, al punto che al ballottaggio a Roma danno indicazione di votare scheda bianca. «Tesso la tela con la sinistra? Ma no, fa tutto il segretario...», è la stoccata del leader della minoranza al partito personale renziano. E a sera, ascoltando Renzi in tv a “Otto e mezzo”
che lo accusa di essere coerente nel dire che va tutto male, ironizza: «Beh, imparo da Renzi che è colpa mia...». Polemiche sotto traccia.
Bersani parla col contagocce: «Non voglio discutere dei risultati, non ora, anche se l’analisi del voto ce l’ho qui», dice toccandosi la fronte. È un’analisi impietosa, che parte dalle cifre «giuste e certe» elaborate dal senatore-statistico Federico Fornaro, il quale sull’Unità è stato accusato di essere un “manutengolo” di Bersani e di avere falsificato i dati indicando il calo del Pd di almeno 4 punti percentuali nel complesso rispetto alle comunali 2011. «Fornaro è una persona seria e perbene, non può essere trattato così dal giornale di Gramsci, le cifre sono quelle lì», lo difende Bersani. Comunque le polemiche sono rinviate al 20 giugno: «Per me la ditta è la ditta, è il Pd e l’Ulivo, è solo quella. Certo che mi impegnerò per i ballottaggi, aspetto che mi dicano il calendario e vado in giro a fare iniziative, però...». Quel “però” che resta sospeso e brucia dalla voglia di farsi strada («È dura...»), anche se prudenza impone («Siamo persone serie») di aspettare il secondo turno prima di chiedere e pretendere una resa dei conti, che vada dalla linea politica del partito al cambiamento dell’Italicum.
«Sì in queste elezioni non si è voluta vedere la mucca in corridoio», scherza ricordando che «le metafore del Bersani», i suoi proverbi, detti emiliani e aneddoti, sono «orecchiate dal popolo». Quello che Renzi, i suoi e tutto il partito non hanno voluto vedere è che «il Pd così perde, gli elettori di sinistra ci hanno abbandonati, il partito non è più accattivante per quegli elettori lì, perché ha caricato i trasformisti e ha trattato meglio Verdini e Berlusconi che la sinistra interna ». Nei colloqui della sinistra dem che si sono moltiplicati nella giornata di ieri, al primo piano della Camera nell’ufficio di Roberto Speranza e poi ieri sera a Nens, l’associazione di Vincenzo Visco e Bersani, l’analisi è stata ripetuta entrando nelle questioni concrete, come «l’idea sbagliata di togliere la tassa sulla prima casa a tutti anche ai miliardari». E così si perdono le periferie, i ceti più deboli.
«E si sono persi anche gli insegnanti», si sono detti Bersani e Speranza. «Che fate? Votate il centrosinistra. Sono preoccupato sì, per il Pd », è lo sfogo dell’ex segretario con Fassina. «Ci siamo parlati da amici, lui mi ha detto che il suo risultato è stato deludente. Con Stefano c’è un rapporto personale che non si guasta, lui è come un peluche ». Vuol dire “tenero”, nel gergo bersaniano, mentre Verdini, l’alleanza sbagliata e «più dannosa che utile» è per Bersani un po’ «feltro», ruvido, pruriginoso. Chiaro il pericolo di perdere i ballottaggi e quindi la preoccupazione per Roma, per Milano e per Torino. Forse un po’ meno per Bologna: «Basta stare solidi, tranquilli, propositivi in posti come Bologna, io sono fiducioso». Bersani diserta ieri sera la riunione dei bersaniani capitanati da Speranza: analisi del voto e obiettivi di riscossa in vista del congresso che si terrà al massimo tra 5 mesi. 

La politica prigioniera di vecchi schemi 

La sorpresa non è arrivata dall’esito del primo turno per le amministrative di domenica, perché, questa volta, i sondaggi ci hanno sostanzialmente azzeccato. 

Luigi La Spina Busiarda 9 6 2016
La sorpresa, e la delusione, è venuta dalle interpretazioni della nostra classe politica e dirigente sui risultati del voto, sintomo quanto mai significativo di quel preoccupante distacco dalla realtà delle cosiddette «élite» del Paese, pervicacemente ostinate a guardare con gli occhiali del Novecento le tumultuose trasformazioni sociali di questo inizio del nuovo secolo.
Perché stupirsi ancora che, sul consueto asse destra - sinistra del panorama politico italiano gli schieramenti sociali si siano, da tempo, rivoluzionati, non più nel binomio conservatori-progressisti, ma in quello integrati-esclusi? Con l’ovvia inversione delle tendenze elettorali nei quartieri delle nostre città. 
Perché ritenere che abbia ancora validità la tradizionale divisione socio-politica tra lavoratori dipendenti che votano a sinistra e autonomi che scelgono la destra, quando gli effetti della globalizzazione dell’economia e della finanza li hanno accomunati in un nuovo tipo di proletariato, precario e sfiduciato? 
Perché non accorgersi che l’improvvisa mobilità elettorale degli italiani, dopo decenni di assoluta impermeabilità tra gli schieramenti, è il segnale di una disperata, frammentata e occasionale domanda politica che non trova mai una offerta, adeguata alle necessità concrete e convincente nella promessa di soddisfarle? 
Ecco perché, a sinistra, si immagina nostalgicamente che sia ancora possibile ricostruire una alleanza politica che rifletta quella soluzione, chiamiamola socialdemocratica o laburista, che non ha più una base sociale di riferimento. Come, peraltro, dimostrano le convulsioni culturali e politiche persino dei Paesi scandinavi, esempi classici di tale modello, davanti alle sconvolgenti novità sia dei fenomeni migratori, sia di quelli finanziari di questi tempi. Così, a destra, si invoca, altrettanto nostalgicamente, la ricomposizione di un centro cosiddetto «moderato», in caccia di quegli elettori che sono diventati tutt’altro che «moderati», perchè spinti, dalla devastante crisi del ceto medio, alle estremità più radicali dello schieramento partitico. 
La prigione mentale di schemi interpretativi obsoleti, paradossalmente, induce anche coloro che avvertono l’impossibilità di perpetuare ipotesi di soluzione di nuovi problemi con antiche ricette a proporre rimedi insufficienti o illusori. Se è vero, ad esempio, che le novità tecnologiche riducono pesantemente il mercato degli attuali lavori, ricorrere al cosiddetto «reddito di cittadinanza» come innovativa soluzione all’impossibilità di garantire il sistema tradizionale di welfare costituisce un sostegno, per di più senza speranze, alla sopravvivenza di tanti giovani e meno giovani e non l’offerta di occasioni per un progetto di vita o di «nuova vita».
Alle difficoltà italiane, del resto molto simili a quelle di quasi tutte le società occidentali, purtroppo non esistono rimedi con efficacia immediata, proprio perché i mutamenti sociali, economici, culturali avvenuti dall’inizio del secolo sono stati troppo rapidi per la comprensione delle conseguenze da parte di classi dirigenti arroccate nel privilegio di non doverle subire. Ma il loro isolamento dalla realtà produce, per limitarci alle cronache di queste ore, effetti grotteschi, come gli appelli dei leader politici agli elettori perché, al ballottaggio, seguano le loro indicazioni, quando è ormai chiaro che i cittadini le ignorano e decidono solo con la propria testa. Quei partiti che i presunti capi-partito pensano di guidare, infatti, non esistono più da parecchi anni, trasformati, nei casi migliori, in comitati elettorali a seguito di un più o meno improvvisato leader e, nei casi peggiori, in clan personali e affaristici di potentati locali. O come le volenterose e improbabili trasposizioni del voto di domenica su quello del 19 giugno e, nella foga profetica, i calcoli sulle prossime scadenze elettorali o referendarie alla luce di risultati che hanno, nelle variabili locali, indecifrabili significati nazionali.
Meglio sarebbe, alleggeriti dai pur rispettabilissimi fardelli dei libri di Adamo Smith o di Carlo Marx , andare, con liberatoria curiosità, alla scoperta di tanti fenomeni nuovi che hanno cambiato la nostra vita e, soprattutto, quella delle più giovani generazioni. Ci accorgeremmo, allora, che la scuola e l’università, una volta deputati ascensori della mobilità sociale, sono diventate, tranne qualche eccezione, istituzioni che perpetuano una feroce conservazione di classe nei destini dei loro studenti. O che il sistema di welfare familiare che negli anni passati consentiva, con il patrimonio dei risparmi accumulati dal lavoro di nonni e padri, di mantenere figli precari o disoccupati per lunghi anni, incomincia a franare. I minimi tassi di remunerazione di quei capitali, piccoli o meno piccoli che siano, non consentono più ai tesoretti depositati in banca dalle vecchie generazioni di far fronte alle necessità di un sostegno supplementare ai magri guadagni, quando ci sono, dei giovani d’oggi.
Ci accorgeremmo, forse, che la prossima rivoluzione non verrà dai poveri che troviamo all’aperto, agli angoli delle strade, ma da quelli che stanno al chiuso, dentro le loro case e si vergognano di esserlo diventati. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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