martedì 11 ottobre 2016

Fare uno scherzo a Renzi o alla sinistra PD?

Una strada sempre più strettaFederico Geremicca Busiarda 10 10 2016

Bersani dice «trattato come un rottame, voterò no». E Roberto Speranza aggiunge «il tempo è scaduto, voto no». Con due interviste concesse prima ancora di attendere la riunione della direzione convocata per oggi, la minoranza pd ha ufficializzato ieri la propria posizione sul referendum del 4 dicembre: favorendo, quantomeno, un po’ di chiarezza.
Ora, infatti, si può dire che tutte le carte siano davvero sul tavolo: e sono carte, a conti fatti, che non dovrebbero far sorridere Matteo Renzi.
Basta guardare ai numeri. Stando agli schieramenti così come sono oggi rappresentati in Parlamento, il quadro - alla grossa - può esser riassunto così: con il premier e per il sì sono schierati parte del piccolo e confuso arcipelago centrista e la maggioranza del Pd. Tutti gli altri - dall’estrema destra all’estrema sinistra - sono attestati sull’altra sponda: a occhio e croce (e stando alle attuali rappresentanze parlamentari) un rapporto di almeno 75 a 25 a favore del No, ad esser generosi con il Sì.
Può darsi che per un leader che è solito sviluppare la propria azione politica in opposizione a nemici veri o creati ad arte, le ultime scelte di campo non siano poi così preoccupanti: ma certo ritrovarsi contro - e tutti assieme - i «professionisti della tartina» e la Cgil, piuttosto che i gufi, i professoroni e i rottamati di ogni latitudine, qualche preoccupazione (e qualche riflessione) dovrebbe indurla. Così, invece - almeno per ora - non è: e non è detto che non esser riuscito ad allargare il fronte del sì non diventi, tra qualche settimana, terreno di una ulteriore autocritica, come accaduto per l’eccessiva personalizzazione della battaglia referendaria.
Sia come sia, il dado - anche in casa Pd - ormai è tratto: e fermo restando il fatto che l’ufficializzazione del no da parte della minoranza Pd non porterà per ora ad alcuna traumatica separazione, resta da interrogarsi sul senso e sull’utilità di una riunione di direzione (quella di oggi, appunto) quasi completamente svuotata di senso. Ancora ieri sera, infatti, c’era incertezza circa la strada che sceglierà il premier-segretario con la sua relazione: se tentare di recuperare il dissenso interno con una convincente proposta di modifica dell’Italicum oppure - più probabilmente - andare avanti con la ruspa, limitandosi a contestare a Bersani e compagni una posizione preconcetta (il no al referendum prima ancora di attendere la riunione della direzione del partito).
Ci si potrebbe chiedere, naturalmente, il senso - anche tattico - di un annuncio (quello del no al referendum) che la minoranza Pd avrebbe potuto ufficializzare alla fine - piuttosto che alla vigilia - di una direzione pure invocata da tempo. Le risposte offerte - non lasciare altro spazio all’iniziativa di Massimo D’Alema oppure interrompere un minuetto sempre più simile a una presa in giro - convincono fino a un certo punto. Ma insistiamo: la scelta ha il pregio di sciogliere un equivoco e fare chiarezza all’interno di un partito che è in una situazione paradossale, se si riflette sul fatto che dei quattro segretari che si sono succeduti alla guida del Pd dalla fondazione all’avvento di Renzi, due (Veltroni e Franceschini) sono per il Sì e altri due (Bersani ed Epifani) sono col No.
In fondo, fare chiarezza non è poco, all’interno di una campagna costantemente punteggiata da disinformazione e vere e proprie falsità. Non ha alcun senso, per dire, descrivere l’Italia come un Paese in bilico tra dittature sudamericane o paradisi in terra, a seconda dell’esito del referendum. Così come ha ancora meno senso - ed è perfino meno onesto - promettere in caso di sconfitta del Sì un nuovo assetto del bicameralismo paritario (dopo un no del popolo a questo referendum) o una nuova legge elettorale, sapendo che nessuna larga intesa tra i partiti è al momento - e forse non solo al momento - seriamente possibile. Ma tant’è: sta andando così. E l’unico elemento di vera consolazione è che il 4 dicembre è sempre meno lontano.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Cuperlo: quasi scissione sta al leader scongiurarla “Decido oggi come votare al referendum”
intervista di Francesca Schianchi La Stampa 10.10.16
Gianni Cuperlo, cosa si aspetta dalla Direzione di oggi?
«Vorrei ascoltare la relazione di un premier che, oltre a rivendicare quanto ha fatto, vede i pericoli di una frattura nel centrosinistra e se ne fa carico. Vorrei sentire la volontà di una svolta nelle priorità sociali del governo e un atto concreto sulle regole: elezione diretta dei senatori e nuova legge elettorale che garantisca rappresentanza, collegi e un premio per la governabilità tale da non farci uscire da una repubblica parlamentare».
Pensa che arriveranno questi impegni?
«I segnali di questi giorni non incoraggiano. Io però non voglio arrendermi perché ci sono momenti in cui una classe dirigente, per esser tale, deve trovare la forza di remare in salita».
Lei voterà in base a questi impegni? Bersani e Speranza hanno già annunciato il loro no...
«Speranza ha ripetuto che ascolterà e valuterà la relazione del segretario. Aggiungo che in questi mesi non abbiamo “protestato” ma avanzato proposte di merito su come ridurre le distanze».
È difficile che Renzi garantisca tutti i cambiamenti che lei chiede: quindi voterà no?
«Deciderò dopo la Direzione, come ho sempre detto».
Bersani dice di essere stato trattato come un rottame: ha ragione?
«Le parole di Bersani mi hanno colpito e ho colto la sua amarezza. Lui si è assunto le sue responsabilità, ma i numeri generosi che oggi in Parlamento sostengono il governo Renzi sono frutto del suo lavoro. Un’antica saggezza orientale dice “quando prendi l’acqua al pozzo ricordati di chi lo ha scavato”. Temo che parecchi non conoscano il detto. Spero solo che non vendano il pozzo».
Lei come si sente trattato?
«Io? Benissimo. Alla direzione mi fanno anche parlare».
Che impressione le ha fatto lo scambio tra D’Alema e Lotti?
«Scambio mi pare un termine generoso. D’Alema ha criticato il premier. Puoi essere d’accordo o meno, ma se lavori a fianco del capo del governo non dovresti coprire di insulti chi è stato lì prima dell’inquilino di ora. La realtà è che si è strappata la tela e ricucirla non sarà facile. Ma anche su questo le responsabilità più gravi sono di chi guida».
Secondo i renziani alla base delle vostre critiche c’è un solo obiettivo: il desiderio di fare fuori il segretario.
«No, è un alibi consumato e che non aiuta. Il punto è che un Pd unito fa la differenza. Ma questo gruppo dirigente anche con i suoi trasformismi ha mostrato di non capirlo o non volerlo».
Dice Renzi: «Nel Pd è un anno e mezzo che mi danno contro» e «quando uno vota per antipatia mostra di avere scarsa visione per il Paese».
«Ma io i meriti di Renzi li ho riconosciuti, dai migranti all’Europa a leggi di civiltà come sulle unioni civili o il “dopo di noi”. Penso anche che se avesse colto il senso di alcune nostre proposte forse avremmo perso meno consensi nelle urne. Il premier però sbaglia se pensa che il voto di milioni di italiani sia figlio dell’antipatia nei suoi confronti. Casomai riflette una delusione per le speranze che aveva prodotto e la distanza dai risultati ottenuti».
Dal 5 dicembre c’è il rischio scissione?
«Potrebbe accadere e sarebbe un trauma. Evitarlo è la responsabilità comune che ci tocca affrontare. Credo non lo si possa fare indossando elmetti e svuotando il dizionario degli insulti. Servirebbero equilibrio, umiltà e la cura per alcune ragioni dell’altro. Servirebbe la politica».

Il grande attacco a Renzi Il Pd vicino alla frattura e il dilemma del premier
Oggi in Direzione deve scegliere se usare il bazooka o tendere la mano ai dissidenti, tra i quali avanza Marino di Fabio Martini La Stampa 10.10.16
Oggi pomeriggio direzione cruciale del Pd: si annuncia una resa dei conti fra il segretario Renzi e l’opposizione interna guidata da Bersani, Cuperlo e D’Alema, che renderà palese il voto contrario al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Alle cinque della sera, davanti alla Direzione del Pd, verrà formalizzata la separazione legale tra Matteo Renzi e la minoranza del partito in vista del referendum del 4 dicembre: sarà il primo atto di un possibile, clamoroso divorzio, tante volte annunciato, ma che una eventuale vittoria del «sì» renderebbe concreto? Per ora una sola certezza: l’opposizione interna - guidata da Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Gianni Cuperlo - ufficializzerà la decisione di votare «no», al referendum: un comportamento elettorale clamoroso, anche perché capovolto rispetto alle indicazioni del partito e in contraddizione rispetto a come votarono in Parlamento molti degli esponenti della minoranza. La decisione è stata anticipata venerdì notte da Pier Luigi Bersani in un pubblico dibattito e in una intervista pubblicata ieri dal «Corriere della Sera», dunque in anticipo con la attesa Direzione del Pd, convocata alle 17 di oggi per ascoltare la proposta di modifica della legge elettorale che avrebbe dovuto fare Matteo Renzi.
Ma oggi nulla vieterebbe al segretario di presentare la propria proposta di mediazione, provando a mettere in difficoltà la minoranza con proposte «ragionevoli», come l’abolizione dei capolista bloccati. Ma lo farà? Oppure preferirà caricare il bazooka contro la propria minoranza, evidenziandone le contraddizioni? Ieri sera Renzi non aveva deciso quale privilegiare tra le due opzioni e all’ultimo momento potrebbe decidere per una sintesi.
Vicenda significativa, quella interna al Pd, perché la minoranza potrebbe trascinare sulla propria posizione una quota significativa dell’elettorato democratico (un quinto? Un quarto?), anche se la partita per la vittoria al referendum sembra destinata a giocarsi in un campo più vasto. E da questo punto di vista nelle ultime ore sono emerse due novità: da una parte la decisione di Renzi di personalizzare ancora di più la campagna referendaria, dall’altra l’emersione dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. liberato dal peso processuale, come possibile alfiere-portavoce del «no». La super-personalizzazione da parte del presidente del Consiglio è stata confermata con la decisione di accettare anche l’invito dell’«Arena», il talk show della domenica su Raiuno, Incalzato dalle domande e dalle interruzioni di Massimo Giletti, che non ha voluto smentire il ruolo di intervistatore scomodo, il presidente del Consiglio ha lanciato due messaggi. Il primo: «Se vince il “no”, non cambia niente per il Paese. Continueremo con il Parlamento più costoso e più numeroso». Il secondo mirato contro la minoranza del Pd: «Nel partito è un anno e mezzo che mi danno contro, l’unico obiettivo è attaccarmi», «ma quando uno vota per antipatia mostra di avere scarsa visione per il Paese. Bersani ha votato sì tre volte a questa riforma. Ma se lui cambia idea per il referendum, ciascuno se ne farà una opinione». Bersani replica in serata: «La solita ipocrisia di chi fa finta di non capire. Con la nomina dei senatori e dei deputati e con la democrazia del capo, la riforma è indigeribile. Da sempre questa è stata la mia posizione».
Altrettanto significativo il «ritorno» di Ignazio Marino. Intervistato da Lucia Annunziata su RaiTre, l’ex sindaco, oltre a picchiare duro su Renzi e i renziani, si è riproposto con un profilo «liberal», da alfiere dei diritti civili, da sostenitore tradito dei valori meritocratici del primo Renzi. Un profilo diverso da quello “comunista” della minoranza Pd e anche per questo più temibile. Come conferma la grandinata di richieste di partecipare ad iniziative, piovute su Marino da tutta Italia. 

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