martedì 29 novembre 2016

Aspra contesa tra storici e giornalisti per chi vince il premio Sciacallo. Battista vincente o piazzato sicuro

Corriere della Sera
De Luna
La rivoluzione rimasta incompiuta - La Stampa
Annunziata


Il mito di Castro
e la negazione della realtà

Gli intellettuali di sinistra hanno chiuso gli occhi per credere all’utopia comunista e non vederne le ombre

di Pierluigi Battista






Nella città a lutto per il Líder E il regime teme i dissidenti

I cannoni sparano in onore di Fidel. “L’opposizione sfrutterà il momento” è la voce che si ripete I repubblicani a Obama: “Non andare ai funerali”

DANIELE MASTROGIACOMO Rep
L’AVANA. L’urna con le ceneri di Fidel resta un mistero. Nessuna l’ha ancora vista. Ma chi ha avuto il privilegio di osservarla e di toccarla, giura che ha i colori della Rivoluzione. Conservata in una piccola sala al primo piano del ministero della Difesa, è immersa nel silenzio e avvolta dai fasci di luce offerti da un sole finalmente generoso. Un’aria mesta avvolge tutta l’Avana. Per nove giorni, Cuba sarà a lutto. Niente musica, niente rhum, niente feste. Il silenzio domina una città da sempre chiassosa e allegra. Le strade restano deserte; bar e ristoranti lavorano a ritmi ridotti. Persino le auto, dalle berline storiche tirate a lucido ai nuovi modelli arrivati con il disgelo voluto da Obama e da Raúl, scorrono sul Malecón senza diffondere le noti costanti della salsa e del reggaeton.
I cubani si adeguano. Per rispetto. E per autodisciplina. Ma dietro questo dolore collettivo, la tensione è palpabile. Da parte del regime, convinto che l’opposizione sfrutterà il momento con qualche protesta clamorosa. E da parte della gente angosciata da un futuro pieno di incertezze. La morte di Fidel Castro, arriva una settimana dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Due momenti così lontani e insieme così vicini, rendono tutto più difficile. Ci sarà tempo per capire cosa riserva il futuro. Ma pochi s’illudono che il cambiamnto sarà facile come sembrava fino a pochi mesi fa. L’embargo, allentato da Obama, è ancora in vigore. Solo il Congresso può eliminarlo e i primi segnali dagli Usa sono negativi: i repubblicani attaccano il presidente e chiedono che nessuno — neanche il vice Biden o il segretario di Stato Kerry — partecipino ai funerali del «tiranno Castro».
Da oggi, fino al 4 dicembre, Cuba commemora il líder maximo. L’urna sarà esposta sulla Plaza de la Revolución, Dalle 9 alle 18, tutti i giorni, allo scoccare di ogni ora, una salva di cannone esploderà a L’Avana e a Santiago de Cuba, nell’Oriente, come omaggio alla guida suprema. Il ministero della Difesa è il regista di una cerimonia che si snoderà attraverso tutta l’isola. Dal 30 novembre, per quattro giorni, le ceneri inizieranno un pellegrinaggio che toccherà i luoghi-simbolo della rivoluzione. La conclusione è prevista a Santiago, dove riposerà in un mausoleo.
All’Avana, Plaza della Revolu- ción è stata tirata a lucido. Gruppi di operai stanno allestendo il grande palco che ospiterà il vertice del partito e dell’apparato. Il programma è ancora da definire. Ma la radio, quasi con ossessione, elenca le strade che saranno chiuse alla circolazione e quelle dove potrà confluire la folla chiamata a raccolta. La polizia vigila con pattuglie di auto bianche della sicurezza e con agenti in borghese piazzati ad ogni angolo delle strade. I controlli sono serrati sin dagli arrivi all’aeroporto. L’occasione è unica. I segnali che arrivano da Miami, dove la comunità degli anticastristi da due giorni festeggia senza soste la scomparsa del grande nemico, rendono tutti più nervosi. La cattedrale di Santa Rita al Miramar, luogo tradizionale di raduno delle damas de blanco, è presidiata dai poliziotti fin dall’alba. Le madri, sorelle, mogli dei dissidenti in carcere, non si sono fatte vedere. Chi ha partecipato alla messa di mezzogiorno, lo ha fatto con discrezione. Nessuna protesta, nessun gesto clamoroso. Stessa cosa al Lawton, il quartiere dove erano nati Camilo Cienfuegos, una delle figure più paradigmatiche della rivoluzione e la celebre cantante Celia Cruz, diventato il punto di ritrovo degli oppositori. Il parco che circonda grappoli di case logorate dal tempo e dalla povertà era vuoto, pochi passanti.
Tutti pensano che qualcosa accadrà. La polizia e la gente. Lo danno per scontato. Così come tutti sono convinti che la morte di Fidel sia avvenuta qualche giorno fa e che solo venerdì notte sia stata annunciata ufficialmente. «Sappiamo che esisteva un protocollo da seguire», sostiene la nostra guida, un ex veterano della guerra in Angola, profondo conoscitore dei meccanismi del regime. «Prima sono stati informati i ministri, poi il vertice del partito e solo dopo i cubani. L’impatto andava gestito. Così stanno facendo». «Ma sappiamo anche che l’opposizione sfrutterà il momento», aggiunge. «Cuba ha gli occhi del mondo puntati addosso. Anche una sola piccola protesta, potrebbe avere un impatto dirompente. Il regime vuole evitarlo ad ogni costo».
La gente ne parla, ma lo fa senza enfasi. La morte di Fidel ha colto ancora in vita tre generazioni. Diverse per storia e formazione. Ci sono i veterani; quelli che hanno vissuto i fasti e i guasti della rivoluzione; quelli che l’hanno solo subita. Con il blocco che per mezzo secolo ha strangolato un’economia in affanno e le maglie di un regime avvolto in sé stesso. C’è chi si emoziona, chi si adegua. I dipendenti dell’Hotel Naciónal si radunano nella hall e tra le lacrime rievocano i vecchi slogan. Frotte di turisti s’immortalano davanti ai monumenti con i cellulari. La morte di Fidel li ha colti nel viaggio che programmavano da tempo. Felici, si mettono in posa. Sotto i murales del Che e del leader supremo, immortali sulla spianata della Revolución, vivono l’ultimo atto che chiude la storia del Novecento.
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“Cuba ha perso il suo dittatore ora sono gli Usa ad averne uno” ANTONELLO GUERRERA Rep
«CHE BALORDO il destino. Cuba ha perso Castro. E noi abbiamo preso quello nuovo».
In che senso?
«Donald Trump. Gli Stati Uniti, che negli anni tanto hanno osteggiato il dittatore cubano, ora il Castro ce l’hanno in casa».
Lei davvero crede che Trump possa spingersi a tanto?
«Certo che sì. Si ricordi tutto quello che ha detto e fatto in campagna elettorale. Trump, come Fidel quando inneggiava alla democrazia appena preso il potere per poi rinnegarla, vuole limitare la libertà in America. Come Castro, manipola la verità. E, come Castro, vuole rendere il potere una cosa di famiglia installando figli e parenti nei luoghi nevralgici della diplomazia e della nazione. Trump, come Castro, non ha limiti. Se il popolo americano lo lascia fare, in tre-quattro anni gli Stati Uniti non saranno più gli stessi». Dopo la morte di Fidel Castro, lo scrittore americano Martin Cruz Smith, padre del bestseller Gorky Park e di uno dei più bei romanzi di sempre ambientati a Cuba, Havana, teme la castrizzazzione degli Stati Uniti. Cruz Smith è triste, come lo era terribilmente il suo celebre detective Arkady Renko nella Cuba di Havana, dove tenta il suicidio. Ora il prossimo marzo per Mondadori uscirà il suo nuovo La ragazza di Venezia, ambientato in Italia durante la Seconda guerra mondiale, il Parkinson lo perseguita da anni («prima pensavo e scrivevo molto più veloce») ed è stato molte volte a Cuba.
Signor Cruz Smith, ma chi era davvero Castro?
«Un mostro che riusciva perfettamente a negare la realtà, un padre che ha saputo plagiare i suoi figli sfruttando i loro sentimenti, un astuto fanatico che appena arrivato al potere non ha aspettato a divorare tutte le promesse democratiche che aveva fatto».
E ora Cuba come continuerà il suo cammino verso la democrazia e la libertà?
«Non è facile dirlo perché può accadere di tutto. La morte di Fidel Castro, nonostante la scorza solida del regime, può innescare grosse tensioni. In più l’attuale “reggenza” è molto anziana, c’è tutta un’altra generazione che spinge. Nonostante le mosse di Raúl, una maggiore apertura democratica potrebbe causare paradossalmente ulteriori fratture nel gotha del potere».
Lei ha ambientato il suo “Havana” nella tensione tra l’isola e Unione Sovietica. Secondo lei, Cuba può subire lo stesso destino oligarchico di Mosca, la stessa “democratura”?
«Secondo me no. All’inizio, Raúl e gli altri si limiteranno a stimolare l’economia con l’apertura ai mercati. Poi può succedere di tutto. Anche un governo molto più democratico».
Gli Stati Uniti come dovrebbero comportarsi?
«Ovviamente col dialogo. Ma Trump ci farà tornare ai vecchi tempi, spero non quelli dei patetici tentativi di assassinio di Castro. Tuttavia, Cuba ha sempre utilizzato l’embargo per mascherare e giustificare la sua anemia economica».
E se Trump, da uomo di affari, sfruttasse il grande potenziale di Cuba, abbandonando la linea dura?
«Ah, certo. Lui è un voltafaccia continuo. Per ottenere i suoi obiettivi, cambia sempre idea».
Cosa le mancherà della Cuba di Castro?
«Il suo popolo straordinario. Chissà se ora rimarrà lo stesso. La prima volta che arrivai rimasi colpito per la libertà e la dignità che avevano i neri sull’isola. Da noi non era mai stato così. Ero sconvolto».
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