La Cina e altri ostacoli al nuovo programma
Ma con i suoi agenti è già sbarcato in Asia Mentre Pechino studia un’intesa “made in China”
Trump va all’offensiva con l’esperto Edward Feulner, l’ex ufficiale dell’intelligence Michael Flynn e la finta colomba Walid PharesANGELO AQUARO Rep
La campagna d’Asia è cominciata quando nessuno avrebbe mai scommesso un soldo su un miliardario alla Casa Bianca: nessuno, ovviamente, tranne quel miliardario. Che mentre nei comizi sbandierava una personalissima “dottrina Monroe”, l’America agli americani e al diavolo tutti gli altri, mandava un suo uomo a trattare le postazioni che all’ora X serviranno alla conquista. E indovinate dov’è cominciata la missione di Edward Feulner, l’uomo che conosce il Sud-Est asiatico come i corridoi del Congresso? Proprio da Taiwan: l’isola-nazione che da 70 anni è la spina nel fianco di Pechino, il piccolo Dragone che con la presidente Tsai Ing-wen sta accarezzando quell’idea contro cui ancora ieri ha tuonato Xi Jinping, l’imperatore rosso di tutte le Cine: siamo una e indissolubile, la riunificazione non è più una virtù, Pechino addio.
Altro che isolazionista, altro che alleato riluttante: invece che disimpegnarsi, Trump è già partito per la guerra d’Asia. I cinesi, sotto sotto, pensavano di averla scampata, Hillary Clinton era la nemica giurata perché era stata lei a ispirare a Barack Obama la dottrina del pivot verso l’Asia, quel Trattato Trans Pacifico che avrebbe finito per isolare la Cina. Così ieri già gongolavano alla notizia che il Trattato era stato stracciato: perché non sostituirlo con un altro made in China? L’idea è tutto tranne che peregrina, e magari alla fine il Dragone la sfrutta e la spunta davvero. Peccato che, al momento, il miliardario sembra averli fregati sul tempo.
C’è perfino una data d’inizio per la campagna di Donald Trump, il giorno in cui Feulner ha incominciato a tessere la tela d’Asia, rivelato al China Post grazie al lavoro delle opposizioni di Taiwan: 13 ottobre, la scoperta dell’Asia. È stato allora che l’ideologo repubblicano, che da presidente della Fondazione Heritage guadagnava 1 milione e 200 milia dollari ma che oggi, con The Donald presidente, s’è guadagnato l’ingresso nell’empireo del suo staff, ha intrapreso quel viaggio che da Taiwan l’ha poi portato sicuramente in Corea del Sud e probabilmente anche in Giappone. A fare che? Tessere, rassicurare, complottare forse. Il dottore d’altronde sa come funziona, il suo think thank ha fatto della manipolazione uno slogan: “Dobbiamo educare la gente che fa la salsiccia e chi è costretto a mangiarla: il popolo americano”. Bello eh?
Per la verità anche tutti gli (altri) uomini d’Asia del presidente non è che scherzino. Michael Flynn , ex ufficiale dell’intelligence, s’è fiondato guarda un po’ anche lui già a ottobre in Giappone per preparare il Sol Levante a digerire l’amaro calice d’addio al Trattato. C’è quel falco travestito da colomba di Walid Phares: «È chiaro che Trump vuole ridurre le tensioni con i cinesi, per spingerli a impegnarsi nella Corea del Nord è disposto a usare tutte le leve economiche ». Cioè, traduce The Diplomat, le sanzioni. C’è ovviamente Peter Navarro, il prof per cui la Cina è la madre di tutti i mali. E poi c’è la rete sudcoreana.
Anche lì, alla faccia dell’isolazionismo, Il presidente eletto è in affari da trent’anni con i Daewoo, che hanno finanziato metà Trump Tower a Manhattan e hanno costruito le torri del Trump World di Seul, ripagandolo con un affitto del marchio da almeno 5 miliardi l’anno. E chi sono qui gli amici di Feulner, cioè dell’amico di The Donald? Gente come Lee-Jae-yong, proprio lui, il figlio del magnate della Samsung che si appresta a prenderne le redini. O Chung Mong-joon, il più intrallazzato tra gli eredi della Hyundai. E voi, con due amici così, ve ne stareste davvero al largo della Corea, come Trump ha promesso, lasciandola al suo destino deciso dal pazzo Kim Jong-un?
No, la domanda vera da farsi è un’altra: possibile che i cinesi si facciano circondare così? Nel gioco degli specchi di questa guerra di posizione, dove oggi sembra spuntarla uno e domani tocca all’altro, proprio ieri l’ambasciatore negli Usa, Cai Tiankai, si è fatto intervistare dalla Cnn, per una volta ripresa anche dalla tv nazionale CCCTV, per dire che «la Cina spera di collaborare presto con la nuova amministrazione ». Ok: qualcuno ha il numero del dottor Feulner da passargli?
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