sabato 5 novembre 2016

La sinistra imperiale europea rimpiange Vendola Nero e - laclausiana a convenienza - teme il babau populista dai capelli arancioni

Triste AmericaMichel Floquet: Triste America, Neri Pozza 

Risvolto
L’America riempie il nostro immaginario come nessun altro paese. Non vi è giorno in cui, in Europa e in altri luoghi del mondo, non venga celebrata la più grande democrazia del mondo, il paese della libertà dove tutto è possibile, la terra di principi dove tutti sono uguali davanti alla legge. Ma le cose stanno davvero così, oggi, a distanza di secoli da quel 4 luglio 1776 in cui nacque questo grande paese?
Michel Floquet ha attraversato in lungo e in largo gli Stati Uniti d’America e, armato di fonti, testimonianze, documenti, ha scritto un libro che è il ritratto di un paese sull’orlo del disastro.
I più ricchi, negli Stati Uniti, non sono l’1 ma lo 0,1 per cento della popolazione.
Centosessantamila famiglie circa, che detengono da sole quasi un quarto della ricchezza nazionale. Una casta di nababbi che è unica al mondo, e ha equivalenti soltanto all’inizio del secolo scorso.
Secondo il principio tutto americano «Meno pago le tasse, più sono ricco e più posso dare», i ricchi pagano tra il 15 e il 20 per cento delle tasse, mentre i loro dipendenti e i salariati in generale tra il 25 e il 30 per cento.
Ogni giorno, nella vita quotidiana del paese, manca un milione e mezzo di uomini neri. Sono in prigione o morti prematuramente, per lo più per omicidio. Nella fascia d’età tra i venticinque e i cinquantaquattro anni manca addirittura un uomo su sei. È praticamente il tasso di perdite di un conflitto.
In America, un adulto su cento si trova in carcere. Un prigioniero su quattro, nel mondo, è americano. Nessuno fa meglio di così. Né la Cina, né la Corea del Nord e neppure l’Iran.
Vi sono undicimila morti in media all’anno per colpi di arma da fuoco. Circa novantamila feriti. Dal 1968 a oggi, più di un milione di persone sono state uccise con armi. Il tasso di abbandono scolastico supera il 50 per cento. Alla fine del ciclo scolastico, appena il 40 per cento degli allievi raggiunge il livello sufficiente per passare all’insegnamento superiore, col risultato che il paese è costretto a importare cervelli dall’estero. Ogni anno il governo americano, che non fa nulla per i più indigenti, lasciati alle benevole cure della carità defiscalizzata, spende la metà del budget del paese in campagne militari fallimentari.
Riassumendo dati inoppugnabili, viaggiando nel cuore dell’America più profonda, Michel Floquet ritrae un paese che ha perduto la sua potenza creatrice… un impero in avaria, che inciampa sui suoi vecchi demoni, incapace di reinventarsi.

Cronache di un impero in avaria 

Stati Uniti. Intervista a Michel Floquet autore di «Triste America» per Neri Pozza

Guido Caldiron Manifesto 5.11.2016, 21:22 
Tra i più noti giornalisti francesi, responsabile dell’informazione di TF1, la principale rete televisiva transalpina, a lungo corrispondente dagli Stati Uniti, dove ha vissuto negli ultimi cinque anni, Michel Floquet traccia con Triste America (Neri Pozza, pp. 208, euro 16,50) un quadro documentato e terribile, e soprattutto in gran parte inedito, degli Stati Uniti: quello di un paese in preda ad una gravissima crisi sociale che rischia di trasformarsi ogni giorno di più anche in una drammatica crisi politica. 
Attraversando il paese in lungo e in largo, dai casinò di Las Vegas alle miniere a cielo aperto dell’Oklahoma, dai ghetti neri agli exurbs, le zone residenziali isolate e immerse nel verde dove vive la borghesia agiata bianca, Floquet racconta quello che definisce come «un impero in avaria, che inciampa sui suoi vecchi demoni, incapace di reinventarsi». Il ritratto di una società impoverita e in collera attratta dalle sirene di Donald Trump. 

Il suo viaggio nella società statunitense si conclude con l’affermazione che il «sogno americano è morto». Un’analisi che aiuta a spiegare l’ascesa di Trump ma che in Europa sono in pochi a fare… 

Credo che l’idea dominante sull’America che hanno molti europei non sia falsa, ma incompleta. Nel senso che spesso non si tengono nella giusta considerazione le trasformazioni profonde che hanno caratterizzato il paese nell’arco degli ultimi decenni ed in modo particolare dopo l’11 settembre. Inoltre si utilizzano vecchie categorie interpretative e spesso ci si limita ad osservare i fenomeni che si producono a New York piuttosto che a Los Angeles, dimenticandosi che per capire in profondità gli Stati Uniti si deve considerare anche come si vive in Arkansas o nella Carolina del Nord, vale a dire lontano dai grandi centri economici, politici e culturali. È qui che si scorgono infatti le diseguaglianze, la violenza e le tensioni razziali che continuano a segnare il paese. 

Cosa ci racconta questa «America profonda»? 

Per prima cosa indica il fatto che il «sogno americano», vale a dire l’idea che comportarsi da buon cittadino e lavorare sodo consenta a un individuo di poter sperare in una vita migliore di quella dei suoi genitori, non esiste più. 

L’America si caratterizza per l’assenza pressoché totale di mobilità sociale: i figli dei ricchi sono destinati a diventare sempre più ricchi, mentre la gran massa dei figli della classe media rischia al contrario non solo di non migliorare le proprie condizioni, ma di scivolare piano piano verso la povertà. Le diseguaglianze sociali si sono fatte ancor più evidenti, diffuse e insopportabili. Al punto che oggi gli Stati Uniti sono il paese occidentale che presenta il maggior numero di poveri, tra il 15 e il 20% della popolazione, decine di milioni di persone. 

Nel sistema dell’istruzione e tra i più piccoli tutto ciò assume la forma di una catastrofe sociale.
La cifra più drammatica, da questo punto di vista, è quella del numero di persone che beneficiano del Nutrition Assistance Program. Secondo le ultime statistiche, tra i 47 e i 48 milioni di americani fanno ricorso ai programmi di aiuto alimentare: un bambino su due in molte scuole. Negli istituti pubblici viene distribuita gratuitamente la colazione all’inizio della giornata; per alcuni alunni quello rischia di essere infatti il solo vero pasto che consumeranno. Poi c’è la percentuale di abbandono scolastico che in certi Stati sfiora il 50% e il fatto che il costo degli studi, che continua ad aumentare, è diventata una delle prime voci nel budget di molte famiglie. 

Una situazione evidente nelle università, che sono tornate ad essere un simbolo dei privilegi dei ricchi. Per pagare le tasse, tre studenti su quattro fanno ricorso a dei prestiti che dovranno poi continuare a pagare a volte per decenni. Lo scorso anno l’ammontare complessivo di questo debito degli studenti era stimato in ben 1160 miliardi di dollari. 

La crisi sociale si salda con la delusione maturata nei confronti di Barack Obama e con il ritorno della «questione razziale», cosa è andato storto? 

L’elezione del primo presidente afroamericano era stata salutata come il debutto di una nuova era «post-razziale», ma le cose non sono andate affatto così. Oggi le condizioni complessive dei neri, che si tratti dei tassi di scolarità, occupazione o di arresti e detenzioni, sono peggiorate rispetto ad otto anni fa, e la separazione tra le diverse comunità si è fatta sempre più forte. 

Eppure, prima che il Congresso cadesse nelle mani dei repubblicani, che hanno sistematicamente boicottato ogni sua iniziativa, Obama poteva cercare di portare a termine ciò che aveva annunciato. A parte la riforma della Sanità, il suo è invece un bilancio pressoché nullo sul piano interno, in molti gli rimproverano anche di aver fatto poco o niente per la classe media e i lavoratori, mentre sul piano internazionale gli errori che hanno condotto alla nascita di Daech sono sotto gli occhi di tutti. 

In questo contesto ha preso forma la candidatura di Trump. Al di là delle sue posizioni sessiste e xenofobe, il consenso che raccoglie cosa dice della realtà americana? 

Trump può essere considerato per molti versi come un sintomo della crisi che attraversano gli Stati Uniti. Un numero crescente di americani, arriverei a dire perfino la maggioranza, detesta ciò che identifica con «Washington», vale a dire l’establishment, i politici di professione, l’amminstrazione federale. Molti cittadini vedono le proprie condizioni di vita peggiorare mentre il sistema politico appare bloccato e in mano ad una ristretta élite. All’inizio gli intellettuali e i media hanno ironizzato sullo stile di Trump, non lo hanno preso sul serio, ma lui si rivolge proprio a questa America esasperata e arrabiata. Il sistema elettorale è complesso ed è perciò difficile dire se alla fine possa addirittura vincere, ma si deve ricordare che solo un anno fa nessuno avrebbe anche solo immaginato che si sarebbe aggiudicato le primarie repubblicane. E poi non si deve sottovalutare quanto Hillary Clinton sia poco amata, molti la considerano un simbolo di quel sistema di potere che tanto detestano. La partita è perciò davvero aperta.

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