martedì 29 novembre 2016

Una storia del calcio


Paul Dietschy: Storia del calcio, paginauno, euro 22

Risvolto
Codificato dall'Inghilterra trionfante al tramonto del XIX secolo, il calcio è diventato lo sport più popolare al mondo. Eppure la sua storia resta largamente misconosciuta. Come sono nati club, federazioni e competizioni internazionali? Quando e perché sono state fissate le regole sul numero di giocatori o la dimensione del pallone, passando per i cartellini gialli e rossi, i corner e i punti di penalità? Quali sono state le grandi evoluzioni tattiche e tecniche del gioco, dribbling e colpi di testa?
È a queste domande, e a molte altre, che quest'opera senza precedenti, basata su documentazione inedita proveniente in particolare dagli archivi della FIFA, dà una risposta. C'è la storia dei grandi club – Ajax, Bayern, Liverpool, Saint-Etienne, Real, Barcellona, Juventus, Milan, Inter, Napoli, Roma, Torino – degli allenatori carismatici e dei giocatori d'eccezione, come Platini, Rivera, Maradona, Pelé, Garrincha, ma ci sono anche la strumentalizzazione del calcio da parte dei totalitarismi del Novecento e le relazioni pericolose con il denaro e i diritti televisivi.
 
Paul Dietschy, ex allievo della Scuola normale superiore di Fontenay-Saint-Cloud e aggregato di Storia, è oggi professore di Storia contemporanea e Storia dello sport all'Università di Franche-Comté, e anima in collaborazione con Patrick Clastres un seminario sulla Storia dello sport al Centro di Storia di Sciences-Po (Parigi). Ha pubblicato in Francia: Histoire du football (2010), Le football et l'Afrique (2008), Histoire politique des coupes du monde de football (2006).
Paul Dietschy, la Storia del calcio 

Sport. Intervista allo storico, autore del libro che indaga sui fenomeni di globalizzazione del calcio incontrato durante il convegno “I miti dello sport nella storia contemporanea” 

Pasquale Coccia Manifesto 26.11.2016, 1:24 
Il calcio sport della globalizzazione, il calcio come chiave di lettura della storia politica, sociale ed economica di un paese. Il calcio che si sposterà nei centri del potere economico dei prossimi decenni, il Barcellona giocherà a Shangai, il Milan a Pechino, il Bayern a Dubai. Fino a quando durerà il flusso di denaro verso il calcio? Paul Dietschy ha scritto un libro interessante Storia del calcio (paginauno, euro 22). Lo incontriamo a Bologna in occasione del convegno “I miti dello sport nella storia contemporanea”. 
Dietschy insegna Storia contemporanea e Storia dello sport all’università di Franche-Comte. In Francia ha pubblicato: Histoire du football; le football e l’Afrique; Histoire politique des coupes du monde de football. 

Perché un nuovo libro sulla storia del calcio? 

Ho scoperto la passione per il calcio a Torino, all’inizio della mia carriera di storico, quando cercavo un buon argomento per la tesi di dottorato di ricerca. Volevo analizzare la storia di Torino e dell’Italia attraverso il calcio, però consultando gli archivi della Fifa a Zurigo mi sono reso conto che il calcio è lo sport della globalizzazione, perciò ho scritto una storia internazionale del calcio dalle isole Fiji all’Italia. 

Tanti libri di storia del calcio sono ripiegati sul proprio paese, il suo no. Perché? 

In Francia il calcio è popolare, ma non è mai stato identificato con l’identità nazionale, perciò io e altri storici abbiamo cercato di capire come il calcio organizza il mondo, come si possono analizzare i grandi eventi politici, l’evoluzione economica, sociale e politica attraverso il gioco della pallone. 

Ha trattato il rapporto tra totalitarismo e calcio. Oggi il calcio può alimentare i nazionalismi? 

Il calcio è uno dei pochi spazi in cui si possono alimentare i nazionalismi, gioca sull’identità nazionale diffusa. Il calcio ha sempre avuto rapporti complessi con le dittature, con i totalitarismi, non è uno sport dove si può costruire l’uomo del futuro. Il pericolo che oggi il calcio alimenti il nazionalismo è concreto, per fortuna le squadre più forti appartengono ai paesi democratici, all’Europa, l’America Latina è un continente democratico, il Brasile pure, anche se la situazione negli ultimi mesi è cambiata. Ritengo che ci siano pericoli più importanti rispetto al nazionalismo, certe leghe come quella inglese cercano di monopolizzare il denaro che gira intorno a calcio, il vero pericolo è il notevole squilibrio che c’è tra due o tre leghe più forti e il resto del mondo. 

Il calcio in Francia? 

E’ uno specchio molto interessante della società, la vittoria dei mondiali del 1998 è stata una sorpresa che nessuno si aspettava, l’entusiasmo è coinciso con una crescita economica della Francia, tutto questo ha dato l’illusione che l’integrazione fosse ben riuscita, tunisini, algerini,arabi, che sono scesi in strada con la bandiera francese facevano pensare che avessero un lavoro, dei diritti, che fossero integrati nella società. Nel 2001 nel corso della partita Francia-Algeria i tifosi algerini hanno invaso lo Stade de France provocando uno shock tra i francesi, nel 2005 ci sono state violenze nelle banlieue, a dimostrazione che l’integrazione non si è realizzata. Molti sociologi francesi ritengono che durante i mondiali in Sudafrica del 2010, quando i calciatori francesi hanno fatto una sorta di ammutinamento, sono diventati dei miti per i giovani delle periferie, musulmani, non integrati, poco rispettoso delle regole e delle persone. In Francia si è rovesciato il concetto del calcio come integrazione, è diventato la spia di una società che va male. 

Il rapporto tra politica e calcio? 

Il rapporto è solido, c’è sempre un maggiore interesse della politica-spettacolo verso il calcio. Un’edizione dei mondiali di calcio in cui questo aspetto è emerso con grande forza è stata nel 1998, quando vinse la Francia, sia il presidente Chirac, sia il primo ministro Jospin, hanno cercato di associare la loro immagine a quella vittoria. Nel 2014 con la vittoria dei mondiali in Sudafrica la cancelliera Merkel ha cercato di trarre profitto facendosi ritrarre con il calciatore che ha deciso la finale dei mondiali in Brasile, dando una visione più umana del suo potere e della sua immagine. L’Italia sotto questo aspetto ha anticipato i tempi con Berlusconi che attraverso il Milan ha costruito una vasta rete di consenso intorno a Forza Italia. Nella costruzione della propria immagine da parte dei dirigenti politici il calcio resta un terreno privilegiato. In un paese poco democratico come la Cina, il presidente Xi Jinping, ha manifestato recentemente interesse per il calcio, non so se sia un esperto, però ha capito che è lo sport della globalizzazione e costruisce la sua immagine mondiale attraverso il calcio. In Cina o in altri paesi, attraverso il calcio si vuole dare l’idea di un potere morbido, in Europa una visione della politica come intrattenimento, una cosa che può andare a braccetto con il calcio spettacolo. 

Nell’Inghilterra vittoriana, il calcio consolidava l’identità maschile. Oggi? 

Il calcio oggi è parte integrante della cultura maschile, tuttavia in questi ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti, come l’interesse delle donne verso le grandi competizioni internazionali. Ci sono momenti in cui le donne si ritrovano con gli uomini per festeggiare una vittoria o vedere una partita di calcio. C’è un altro aspetto che non va trascurato, le donne stanno entrando nel mondo del calcio maschile, in Francia da due stagioni c’è la squadra del Clermon-Foot, in serie B, che è allenata con ottimi risultati da Corinne Diacre. Il segretario generale della Fifa è una donna di origine africana, non so se lo facciano per immagine o le siano state riconosciute le sue capacità professionali. In Francia la Lega Calcio ha come presidente una donna Nathalie Boy de la Tour, sono in corso dei piccoli cambiamenti che rendono il mondo del calcio meno maschile. La diffusione del calcio in Asia, porterà dei cambiamenti in questo mondo perché aumenterà l’interesse delle donne asiatiche, si potrebbe delineare un futuro del calcio al femminile. 

Il calcio del futuro? 

C’è una questione geopolitica del calcio che riguarda i paesi che hanno ingenti risorse economiche, come la Cina, o possiedono grandi risorse di petrolio e gas. C’ è una grande contraddizione tra i paesi dove il gioco del calcio è praticato e seguito da milioni di persone e i paesi che lo finanziano e possiedono squadre, forse tra trent’anni il Barcellona giocherà a Shangai, il Milan a Pechino, il Bayern a Dubai, è possibile che il calcio si sposti verso il centro del mondo economico dei prossimi decenni. Occorre porsi alcune domande: l’eccesso di denaro che oggi investe il calcio durerà all’infinito? Il calcio rifletterà ancora lo Stato-nazione? La Coppa del mondo sarà sempre disputata oppure il calcio avrà una dimensione transnazionale e si svolgerà un’unica competizione, come avviene oggi con l’Nba negli Usa e il flusso di denaro si concentrerà solo su quella competizione?

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