lunedì 12 dicembre 2016

Al di qua del principio di piacere: Renzi, i renzicchi e il rifiuto della realtà


Ciò che più colpisce nell'uscita di scena dell'Imbroglione Giovane è l'assoluto rifiuto di comprendere e spiegare ciò che è accaduto in questi giorni, anzi in questi anni.
Di fronte a una sconfitta di proporzioni tanto vaste, per qualunque gruppo dirigente politico con un minimo di istinto di sopravvivenza la cosa più urgente dovrebbe essere capire le motivazioni profonde che hanno condotto a questo esito, i sommovimenti che agitano la società e le contraddizioni che ne sollecitano l'evoluzione.

Invece niente di tutto questo, nemmeno l'ombra di uno sforzo di comprensione. Nella narrazione dell'ormai celebre "Discorso da Statista" con il quale il suo ghost writer prepara il terreno per il rientro, così come nell'agiografia dei suoi troppi laudatores, Renzi sembra non aver ha sbagliato nulla. Tutt'al più ha commesso qualche errore di comunicazione e però la sostanza della sua proposta politica di modernizzazione neoliberale è non solo sacrosanta ma persino necessaria per il paese.

Perché allora il Giovane Meraviglioso ha perso? Perché non è stato capito, perché nessuno è stato alla sua siderale altezza. E cioè solo a causa dell'odio viscerale di un'Italia che non vuole cambiare e che invidia e odia chi guarda al futuro e si dà da fare, a tal punto da impedire ogni rinnovamento nel Paese.

Questa Italia stia però molto attenta, perché la vendetta sarà tremenda e la prossima volta non verranno fatti prigionieri.

Prima ancora che gli strumenti concettuali, insomma, a questa masnada di arruffoni rampanti manca la minima volontà di misurarsi con la realtà e di comprenderla. In questo senso, lo Psicoanalista di corte avrebbe un durissimo lavoro da fare per condurre finalmente questi giovani mai cresciuti dal principio di piacere a quello di realtà.

Di solito un simile atteggiamento arrogante è la premessa di ulteriori sconfitte, perché alla lunga la realtà si ribella a chi la tiene in non cale.

Purtroppo, va detto che questa autoreferenzialità adolescenziale riguarda ormai un po' tutte le fazioni politiche e che proprio la sinistra radicale è forse quella parte che per prima ha aperto la strada [SGA].


Ha già cominciato a scrivere un libro sui mille giorni di governo, forse da presentare anche in un tour. Uscita prevista in gennaio. Pagine per ...





Il post triste di Matteo: “Non sono un robot E adesso sono anche senza stipendio” 
In una lunga lettera al successore rivendica la sua eredità 
Andrea Carugati  Busiarda 12 12 2016
Da un lato l’addio malinconico a Palazzo Chigi, raccontato in un post su Facebook nel cuore della notte tra sabato e domenica. Dall’altro una lunghissima lettera (una ventina di cartelle) indirizzata al «Caro presidente» Paolo Gentiloni, in cui Matteo Renzi esamina per filo e per segno tutte le cose fatte nei 1000 giorni del suo governo, ed elenca i dossier aperti e le priorità che saranno sul tavolo del nuovo premier.
Nelle due epistole si legge un perfetto riassunto degli stati d’animo che hanno attraversato il premier uscente: la voglia di eclissarsi per un po’ nella sua Pontassieve, vicino alla famiglia, per tornare semplice cittadino e ritrovare la carica giocando coi figli alla Playstation «in taverna»; e la fatica a lasciare i tanti dossier aperti, condita dall’orgoglio per «l’elenco impressionante di riforme che abbiamo realizzato». 
Nella notte toscana, l’ex premier si racconta intento a «rimboccare le coperte ai figli», come tutti i fine settimana. «Solo che stavolta torno a casa davvero». Lo fa con «l’amaro in bocca per ciò che non ha funzionato». Ricorda di essersi dimesso per «coerenza e dignità», nonostante la fiducia ribadita dal Senato sulla legge di Bilancio. «Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità», racconta. «Ho sofferto a chiudere gli scatoloni ieri notte, non me ne vergogno: non sono un robot. Ma l’esperienza scout ti insegna che non si arriva se non per ripartire». E infatti la chiosa è tutta rivolta al popolo del Sì, al futuro, alla corsa verso il congresso Pd e poi le elezioni. «Noi siamo quelli che quando la sera rimboccano le coperte ai figli pensano che sì, ne valeva la pena. E ne varrà la pena. Insieme. Ci sentiamo presto, amici». Il post è accompagnato da oltre 200mila like e 38mila commenti. Forse un record per lo stesso Renzi, che dei social network è un fruitore assiduo. 
Nella lettera a Gentiloni c’è la sostanza politica di un addio che è solo un arrivederci. Un programma delle cose da fare che è anche una lista dei nodi irrisolti, come i provvedimenti sulla giustizia ancora all’esame del Senato e la riforma della Pa che ha incontrato la bocciatura da parte della Corte costituzionale sul nodo del parere delle Regioni. Una delle novità post referendum riguarda le Province. «Se gli italiani hanno deciso di non abolirle si porrà il tema di un aggiornamento della legge Delrio, nel presupposto che le funzioni da queste espletate necessitano di una coerente e stabile collocazione e di un flusso di risorse finanziarie appropriato», scrive Renzi.
Nella lettera al successore, tuttavia, prevale l’orgoglio per le cose fatte, a partire dai miliardi stanziati per ridurre le tasse, «un piano di riduzione delle imposte che non ha precedenti negli ultimi lustri». Una summa che, nei prossimi giorni, diventerà anche un volume di 50 pagine a cura della presidenza del Consiglio.  BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


Renzi prepara il blitz “Cambiare lo statuto sul congresso Primarie a febbraio” 

Il segretario vuole subito la rivincita “Saltiamo le consultazioni nei circoli”
MASSIMO VANNI AL’USCITA DA MESSA Rep
FIRENZE NIENTE congressi di circolo, né regionali. Candidature per la segreteria nazionale del Pd entro il 10 gennaio e primarie aperte a tutti il 26 febbraio o al più tardi il 5 marzo. Matteo Renzi torna nella sua villetta di Pontassieve.
PORTA scatoloni di documenti sbaraccati dalla scrivania di Palazzo Chigi. E, nel suo primo giorno in famiglia da ex premier, già progetta il Gran Ritorno. A tempo di record.
Lo fa immaginando una road map con un congresso blitz e primarie super ravvicinate per “lavare” la sconfitta sulle riforme costituzionali e scalare di nuovo il Pd con una nuova, catartica investitura popolare.
A metà mattinata si mette alla guida della Tiguan di famiglia per accompagnare il figlio maggiore alla partita di calcio. E quando Paolo Gentiloni sale al Quirinale per ricevere l’incarico dal presidente Mattarella, Renzi esce dalla messa assieme alla moglie Agnese e agli altri due figli. Scambia poche battute con amici e conoscenti che lo chiamano “presidente”. E a chi gli chiede se tornerà a Roma risponde: «No, resto pontassievese». Solo una battuta, per uno che viene da Rignano. Sufficiente però a marcare il distacco.
«Torno da semplice cittadino. Non ho paracadute, non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità», scrive a notte fonda su Facebook, appena rientrato da Roma. Il post dove confessa l’amarezza: «Ho sofferto a chiudere gli scatoloni ieri notte, non me ne vergogno: non sono un robot». Pontassieve non è però per Renzi un buen retiro. E già oggi tornerà nella Capitale per partecipare alla direzione nazionale del partito. Non più da premier, ma da segretario. A lungo ha riflettuto se esserci o no: «Dobbiamo valutare se una sua presenza può essere o no utile a Gentiloni», spiegano i suoi.
A fine mattinata, dopo la messa, non raggiunge Rignano per pranzare con il babbo Tiziano e la mamma Laura, come aveva fatto per l’Immacolata. Si rintana in casa, senza mai lasciare il telefonino. Studia e ristudia la lista dei ministri, in stretto contatto con il presidente incaricato. Si consulta con Luca Lotti. Sfoglia il dossier ormai pronto sui suoi mille giorni di governo, «l’elenco impressionante delle riforme che abbiamo realizzato, dal lavoro ai diritti, dal sociale alle tasse, dall’innovazione alle infrastrutture, dalla cultura alla giustizia», come scrive nel post che in un giorno totalizza oltre 200mila “mi piace”. Mentre i figli lo reclamano disegna anche il percorso congressuale più veloce. Una vera e propria autostrada verso le primarie nazionali, che lo vedrà adesso in gara con il governatore toscano Enrico Rossi, determinato a «spostare l’asse a sinistra del Pd».
Ma per autorizzare le primarie sprint serve il voto dell’assemblea nazionale con la maggioranza degli eletti (non dei presenti), già convocata per domenica prossima. Voto necessario per modificare lo statuto e saltare le convenzioni dei circoli che, secondo statuto, affiancano i congressi e selezionano i tre candidati da inviare alla conta finale. È questa che verrà votata? Renzi ci conta. Anche perché non sarebbe un totale inedito: già nel 2009, al tempo delle primarie tra Bersani, Franceschini e Marino, si dette priorità alle primarie nazionali. Mentre nel 2013, quando fu eletto Renzi, il rinvio riguardò i congressi regionali.
«Ne stiamo parlando, fare subito le primarie nazionali è la cosa migliore», dicono gli uomini del segretario. «Anche perché - aggiungono - svolgere le convenzioni e i congressi di circolo finirebbe per sbattere le elezioni amministrative».
Saltare tutto e tenere solo le primarie nazionali, quelle che la sinistra interna guarda con sospetto per il rischio-plebiscito, non è però indolore. Se verrà modificato lo statuto, anziché con un massimo di tre candidati, le primarie potrebbero tenersi con anche quattro o più candidati.
Ma per Renzi non è comunque un rischio. Ha fretta. Non teme nessuna delle candidature fin qui ipotizzate. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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