venerdì 2 dicembre 2016

Castro - come Gramsci e tutti gli atei senzadio - si è convertito e forse prima di morire ha anche votato Sì al referendum di Renzi



Fidel e il ritorno alla fede “Parlava spesso di religione” 
Le sue ceneri saranno conservate nel cimitero cattolico di Santiago 

Paolo Mastrolilli  Busiarda
è difficile scrutare cosa avviene nell’animo di un uomo novantenne malato, quando si avvicina alla morte, ma Fidel Castro qualche indizio lo ha dato. Il primo era stato un articolo pubblicato a ottobre su Granma, l’ultimo scritto prima di morire, in cui affermava di aver capito che «i principi religiosi sono più importanti di quelli politici e scientifici». Il secondo è quanto ha riferito Frei Betto, il frate dominicano con cui il Líder Máximo aveva scritto un libro dedicato alla fede, parlando con l’ambasciatore brasiliano a Cuba. «Negli ultimi tempi - ha detto - non discutevamo più di politica, ma solo di religione e filosofia».
Le voci del ritorno al cattolicesimo di Fidel, cresciuto dai gesuiti nel Colegio de Dolores di Santiago e poi in quello di Belen a L’Avana, si rincorrono da anni, e la prova definitiva che sia avvenuto non esiste. Persone informate sul suo rapporto con la fede però non lo escludono. Le sue ceneri saranno seppellite domenica mattina a Santiago nel cimitero di Santa Ifigenia, che è cattolico, ma è anche il luogo dove riposa l’eroe nazionale José Martì. Il suo percorso spirituale, invece, è stato documentato anche dai recenti incontri con tre pontefici.
Il fratello Raúl ha detto che se Papa Francesco continuerà a comportarsi come sta facendo, lui potrebbe tornare nella chiesa cattolica. L’evoluzione di Fidel è stata più riservata, ma forse proprio per questo anche più profonda. Sul piano politico il rapporto con la chiesa era stato molto duro, al punto che aveva cancellato dal calendario la festa di Natale. La fede però è rimasta nel cuore dei cubani, come testimoniano ad esempio gli atti di devozione che si trovano al santuario del Cobre, dove i militari portano in dono le loro spalline e i rivoluzionari i certificati di encomio firmati da Castro. 
Sul piano politico il Vaticano ha avuto un ruolo chiave per l’accordo con gli Usa, ospitando i colloqui segreti fra americani e cubani, ma il regime spera ancora che la Santa Sede lo aiuti nella difficile transizione in corso. La chiesa infatti viene vista come un elemento stabilizzante nella società, capace di favorire il dialogo invece dello scontro. Qualche segnale di riconoscenza già si vede. Ad esempio durante l’ultimo uragano che ha colpito l’isola, a differenza del passato, gli aiuti della Caritas e delle parrocchie sono stati incoraggiati, comunicando ai leader locali che erano benvenuti. Raúl stesso ha detto che è un piacere lavorare con la chiesa, anche se poi magari il regime apre le porte pure agli evangelici, per bilanciare un’influenza che potrebbe diventare troppo forte. Il Vaticano in cambio vorrebbe che le scuole cattoliche, tollerate ma non riconosciute, fossero almeno accettate come istruzione complementare, mentre l’Università di L’Avana ha chiesto ai professori dell’Istituto di Studi Ecclesiastici Varela di collaborare. Il nuovo arcivescovo della capitale, Juan Garcia, è meno coinvolto nella politica del predecessore Ortega, e anche questo sta aprendo una nuova pagina nelle relazioni, comunque si sia chiusa quella spirituale con Fidel.
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Castro “ritrova” il Che a Santa Clara città della Revolución La carovana fa tappa al mausoleo di Guevara Busiarda
I galli, che nelle strade di questa città è normale sentire ogni mattina, non hanno ancora preso a cantare il sole nascente, quando dalla Calle Colón si alza un brusio. Il rumore diventa sempre più forte e la curiosità spinge ad aprire la finestra. Sotto, centinaia di persone sono allineate lungo il marciapiede e parlottano tra loro. Alcune alzano gli smartphone, arrivati nella provincia cubana dove il carretto tirato dai cavalli è ancora un trasporto pubblico ufficiale, per scattare foto e girare video dell’evento storico della loro vita. 
La processione con le ceneri di Fidel, che percorre a ritroso il cammino della Caravana de la Libertad nel gennaio del 1959, sta per passare qui. E non poteva essere altrimenti, visto che la battaglia di Santa Clara, vinta dalle due colonne comandate da Che Guevara e Camilo Cienfuegos, era stata la trave che aveva spezzato la schiena dell’asino, convincendo Batista a scappare da Cuba.
L’urna di cedro nero che contiene i resti del Comandante in Capo è arrivata in città nella notte, e già era stato uno spettacolo inusuale vedere decine di persone schierate con le bandiere lungo l’autostrada, per accoglierlo al buio. Lo hanno portato proprio nel mausoleo dedicato al Che, dove sono sepolti i suoi resti rimpatriati dalla Bolivia, per fargli passare un’ultima notte al fianco del suo amico. Poi, alle sette, è prevista la processione sul carro tirato da una jeep, ma la città in pratica non ha dormito. Santa Clara ha fatto la veglia a Fidel, e verso le quattro del mattino è già assiepata in strada per salutarlo.
Il primo in cui mi imbatto, Jorge, è un campesino che porta ancora in faccia i segni della sua missione in Angola. Gli chiedo perché è qui, perché invece di guardare al passato di Cuba non pensa al suo futuro, e lui mi guarda come se fossi un pazzo: «Quando la rivoluzione trionfò - mi spiega - Fidel aveva 33 anni e una lunga barba». Come Gesù, in pratica. Questa connessione quasi mistica fra la novella di Castro e quella di Cristo mi era sfuggita, ma l’errore evidentemente è mio. Infatti nel soggiorno della casa particular dove ho passato la notte, in assenza di stanze negli alberghi della città, il proprietario Julio ha appeso alla stessa altezza un ritratto del Sacro Cuore, e una foto di Fidel in divisa da baseball. Ad essere fiscali, il ritratto di Cristo è decisamente più grande di quello di Castro, ma ciò non toglie nulla al significato della scelta, e anzi fa onore alla capacità dei cubani di mantenere le proporzioni.
Julio è uno dei tanti che lavorano «per conto proprio», cioè pagano una tassa allo Stato in cambio della possibilità di esercitare le attività private previste dalle riforme volute da Raúl. Dunque, è insieme una persona moderna e rispettosa del passato: «Cosa succederà ora? Niente, tutto continuerà come prima», e dalla smorfia che compare sul suo viso non capisci se è contento o afflitto da questa incrollabile certezza.
Elvira Valenzuela, che dice di essere un’economista ed è venuta in strada con le due nipoti, approfondisce il concetto: «Lo so che molti pensano sia stato il regime a portarci in piazza. In qualche caso sarà pure vero, però guardati intorno: sarebbe possibile smuovere tanta gente, se non ci fosse un affetto sincero?». Per spiegarsi meglio, fa il suo caso: «Io venivo da una famiglia povera, in qualunque altro Paese non avrei avuto una possibilità. Qui invece mi hanno dato la casa, la sanità e l’istruzione gratuita. Ho lavorato sodo per farcela, ma senza Fidel non avrei avuto neppure l’occasione di provarci». Elvira sembra una donna ragionevole, che ha calcolato tutte le possibili soluzioni della propria equazione esistenziale: «So anche che alcuni non la pensano come me, a Cuba e soprattutto fuori, dove pochi conoscono i fatti. Dicono che il prezzo da pagare è stato alto, non c’è la libertà, i dissidenti vengono puniti, l’economia è a pezzi e con un altro sistema saremmo tutti più felici. Guardiamo allora agli Usa, e a come sono divisi: una come me, partendo da zero, quante possibilità avrebbe avuto? Là non avrei avuto neppure i soldi per curarmi un’appendicite».
I galli di Santa Clara nel frattempo hanno cominciato a cantare, e in strada sono arrivati anche i bambini della scuola in divisa bianca e ruggine. «Fidel sono io!», gridano. Perché non hanno mai visto altro nella vita, e chissà se mai lo vedranno. [p. mas.]

Le ceneri di Castro  Quell’urna tra le reliquie della RevoluciónA Santa Clara, prima tappa delle esequie di Fidel Un percorso inverso a quello dei “liberatori” La gente recita gli slogan rivoluzionari come un rosario, sui muri ancora i segni delle pallottoleBERNARDO VALLI IL CORTEO IL SALUTO DEI BAMBINI Rep 2 12 2016
SANTA CLARA LE CENERI viaggiano da due giorni. Sono dirette a Santiago, a quasi mille chilometri di distanza, all’altra estremità dell’isola, dove saranno sepolte. È un corteo funebre e trionfale. L’urna, coperta da una bandiera cubana, è posata su un rimorchio piccolo e basso, agganciato a un’auto militare scoperta, ed è ben visibile.
La folla assiepata in città e villaggi, ma anche nelle pianure su cui si stendono piantagioni di canna da zucchero e di tabacco, o dove il paesaggio è ondulato o montagnoso, la vede passare a pochi metri. All’altezza dello sguardo. E scandisce il nome di Fidel. Recita come un rosario gli slogan della Revolución. Ci sono volute più di dodici ore per percorrere la prima tappa, circa trecentocinquanta chilometri, tra L’Avana e Santa Clara.
L’URNA sul rimorchio spesso traballante, per la Carretera Central non priva di crepe e buche, non corre nell’attraversare luoghi dove sono evidenti i segni delle difficoltà economiche dell’ultimo mezzo secolo. Il Paese è bello e sciupato. Le difficoltà hanno a volte sconfitto lo zelo della resistenza. E il disordine nelle decisioni vi ha contribuito. La Revolución si è spesso impegnata altrove, non solo nell’America Latina, ma anche in Africa. Il Che andò persino a chiedere aiuto alla Cina e, da solo, si avventurò nel Congo. Senza fortuna. La piccola Cuba pensava in grande.
Al passaggio della “Carovana della Libertà” che ripercorre a ritroso il cammino dei “barbudos” e va verso Santiago, la gente ha il tempo di osservare la scatola posata su un tappeto di fiori, in cui sono rinchiuse le ceneri di Fidel. È una folla in bianco e nero. Molti sono gli uomini e le donne di origine africana, mischiati agli uomini e le donne di origine europea, com’era Fidel, la cui famiglia veniva dalla Galizia. La Revolución del ’59 ha subito abolito ufficialmente la discriminazione razziale così come ha emancipato i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero. Nel ‘61 un’amica cubana della grande borghesia che aveva aderito al castrismo (era una segretaria di Raúl Castro) mi portò nel club sul mare riservato ai bianchi il giorno in cui veniva aperto alla popolazione di origine africana. Lei apprezzava l’avvenimento, ne era orgogliosa, ma pianse nel vedere la sua spiaggia invasa dai neri. L’emancipazione risale ormai a parecchi decenni fa. I sentimenti contrastanti della mia amica di allora non sono stati forse cancellati del tutto. Non ce n’era comunque traccia nella folla che, spontanea e unita, invocava Fidel morto. Le possibili ferite subite, le altrettanto possibili delusioni e rancori erano o sembravano sepolti sotto il cordoglio collettivo. Il decretato rimpianto nazionale prevaleva. E pareva avesse la sincerità delle grandi manifestazioni popolari. Il passaggio del corteo annunciava anche la fine di un’epoca nell’isola. Chi l’aveva dominata, con il potere e le prepotenze annesse, invadendola con la sua passione, se ne è andato.
Le ceneri di Fidel hanno passato la notte a Santa Clara. Nel dicembre ‘58 la città fu il teatro della battaglia che segnò la fine della dittatura di Fulgencio Batista e il trionfo della Revolución. Batista interruppe le feste di fine d’anno e fuggì in aereo insieme ai tanti uomini della mafia, proprietari di casinò, di alberghi e night club (freddi come frigoriferi per consentire alle turiste nordamericane di sfoggiare visoni ai tropici). Ad aprire la strada per l’Avana furono i barbudos comandati da “Che” Guevara e Camilo Cienfuegos. I muri dell’albergo Santa Clara Libre, nella piazza centrale, il Parque Vidal, sono ancora crivellati dalle pallottole dell’inverno ’58. Oggi è dipinto di un verde acceso, ma i graffi restano lì, come reliquie. Dall’alto dell’albergo, un piccolo grattacielo dominante la città di poco più di duecentomila abitanti, una donna che ha vissuto bambina quei giorni ci indica i luoghi in cui la battaglia fu intensa. Dal Parque Vidal si diramano strade dritte e case basse, come in molte città latinoamericane sulle quali pesa la tradizione ispanica.
A ricordare la battaglia c’è il mausoleo dominato da una statua in bronzo del “Che”. È davanti a quel monumento che le ceneri di Fidel si sono fermate arrivando dall’Avana. Là, nel mausoleo, ci sarebbero i resti di Guevara, della guerrigliera Tania, sua compagna di allora, e di alcuni compagni caduti in Bolivia. Ci sono anche quelli di quattordici combattenti uccisi in Guatemala. Il ”Che” raffigurato è il guerrigliero in azione, con il mitra, ma in un’altra parte del mausoleo viene ricordato anche come medico durante lo sbarco dei barbudos a Cuba nel ‘56.
Il lungo viaggio delle ceneri di Fidel può essere interpretato come un segno della stabilità del regime, nonostante la distensione con la vicina superpotenza avviata da Barack Obama sia seriamente minacciata dall’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. E nuove nubi si addensino sull’isola. Oltre all’inevitabile omaggio al “comandante” e al desiderio di mobilitare il Paese con il ricordo di chi ha incarnato mezzo secolo di vita nazionale, il successore Raúl Castro ha voluto dare un’im- pronta solenne ai funerali del fratello per manifestare la volontà di non venir meno alla Revolución. Accettando, com’era inevitabile e ragionevole, l’apertura americana egli ha forzato la mano a Fidel che pur essendo gravemente malato non ha esitato a esprimere la sua reticenza a un abbraccio con i gringos. Raúl ha anche avviato o confermato riforme: piccole iniziative private, limitate proprietà della terra ai coltivatori diretti, acquisto di case, viaggi all’estero, limitata estensione del turismo (che ha i noti risvolti sessuali) agli americani. Ma non ha cambiato l’essenziale natura del regime. Ha rafforzato il ruolo fondamentale dei militari presenti, oltre che nella sicurezza, in tanti settori della vita economica. Su questa base il fratello minore, presidente di rincalzo, dovrebbe poter garantire una certa stabilità al regime nei due anni da governare che gli restano, stando al mandato che si è assegnato. Potrebbe succedergli il figlio Alejandro. Roberto Vega di Cuba Posible, organizzazione per il dialogo politico, è di questo parere: crede nella stabilità. Non è d’accordo Enrique Lòpez Oliva, storico della Chiesa, il quale, nella morte di Fidel, vede piuttosto il forte segno di un cambio. Determinato anche dalla svolta americana, che potrebbe rinviare sine die l’approvazione del Congresso all’abolizione dell embargo contro Cuba, e dall’indebolimento o addirittura la fine dell’aiuto del Venezuela di Maduro in grande crisi.
Figlio di un proprietario terriero di Biran, nella parte orientale dell’isola, Fidel è sempre stato un appassionato di agricoltura. Chi l’accompagna nell’ultimo viaggio, mentre le sue ceneri attraversano le belle pianure cubane, lo pensa impegnato nella riforma agraria che realizza subito nel 1959 limitando a 400 ettari la superficie massima delle proprietà agricole, poi ridotta a 67 ettari nel ’63. Salda così un primo debito con i campesinos che l’hanno aiutato, protetto, nutrito, negli anni della guerriglia sulla Sierra Maestra e riforma un sistema di sfruttamento che rende schiavi o miserabili i lavoratori nelle piantagioni di canna da zucchero. Sotto forma di fattorie del popolo o di cooperative la Revolución arriva così a controllare il 70 per cento delle terre. I piccoli proprietari sopravvissuti sono costretti a vendere allo Stato, che fissa i prezzi, la quasi totalità dei loro prodotti. Il 90 per cento. E poi, col tempo, dovranno cedere anche gli orti che avevano potuto conservare per i consumi familiari.
Fidel non ha mai rinunciato a imporre non solo la sua politica agricola, ma anche la sua abilità di tecnico dell’agricoltura. E in questa veste venne descritto come presente ovunque, ostinato, collerico e sempre pronto a pontificare sulla coltivazione della canna da zucchero come sull’allevamento del bestiame. Le pianure coltivate che, in questi giorni, l’urna con le sue ceneri attraversa non hanno mai migliorato la loro produzione. In molti casi l’hanno peggiorata. Nei campi assolati la rivoluzione non è riuscita. Sotto la guida di Fidel non hanno mai assicurato all’isola orgogliosa un’autonomia alimentare, economica. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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