domenica 11 dicembre 2016

L'organo dei sovranisti italiani "oltre destra e sinistra" che controllano il Cremlino e la Casa Bianca dichiara guerra alla Cina socialista

L’accusa della Cia “Mosca ha interferito nelle elezioni Usa” Ma Trump non ci sta 
Tillerson, ceo di Exxon vicino a Putin favorito per il Dipartimento di Stato
FEDERICO RAMPINI rep 11 12 2016
NEW YORK. Donald Trump non ci sta ad essere “The Manchurian Candidate”, il politico manipolato da una potenza estera nemica, come nel romanzo e nell’omonimo film degli anni della guerra fredda. Reagisce sdegnato alle ultime rivelazioni dell’intelligence, che confermano l’ingerenza della Russia nella campagna elettorale. A costo di umiliare e offendere anche i servizi segreti Usa, alle loro informazioni ribatte sprezzante: «Sono gli stessi che dissero che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa». Battuta folgorante, efficace, ma più da candidato che da (futuro) capo supremo della nazione, delle sue forze armate e delle sue agenzie di sicurezza. Nello stesso giorno Trump sembra deciso a tirare fuori un jolly per la nomina a segretario di Stato: fuori gioco Rudolph Giuliani, in calo le chance di Mitt Romney, il favoritissimo diventa di colpo un altro petroliere, il chief executive di Exxon Mobil, Rex Tillerson, che Putin nel 2013 onorò dell’ordine dell’amicizia. L’annuncio può arrivare da un momento all’altro e così si riempirebbe l’ultima casella importante delle nomine. Confermando la fisionomia della squadra Trump come di un governo di generali e petrolieri (3 più 3, precisamente).
La polemica “Manchurian Candidate” nasce da uno degli ultimi atti di Barack Obama da presidente: ordina un rapporto esaustivo sull’interferenza della Russia nell’ultima campagna americana. Non che questo possa invalidare in extremis il risultato del voto, che lo stesso Obama ha accettato senza riserve. L’idea è di lasciare “nero su bianco” un resoconto ufficiale di una pagina di storia senza precedenti, una campagna elettorale segnata dalle continue “incursioni” di un governo estero. E magari lasciare all’Amministrazione un libro nero sui pericoli della cyber-pirateria di Stato, sperando che non li sottovaluti. Anche se stavolta gli hacker russi hanno tifato per Trump, non è detto che sia sempre così. Ma per quanto Obama non voglia insinuare dubbi sulla regolarità del voto, la reazione stizzita di Trump è dovuta a quello: ammettere che lui è “il candidato di Vladimir Putin” getta un’ombra sulla sua vittoria.
Perché intanto le maggiori agenzie di intelligence hanno già anticipato alla stampa americana quelle che saranno le conclusioni del rapporto. In una serie di indiscrezioni trapelate sul
Washington Post e sul New York Times, dai vertici della Cia e della National Security Agency emerge un quadro preciso. Con tre costanti. Primo, ci furono ripetute incursioni degli hacker russi nei siti del partito democratico e anche di quello repubblicano. Secondo, quei pirati informatici sono direttamente riconducibili al governo russo. Terzo, i russi usarono WikiLeaks per mettere in circolazione i segreti di Hillary e dei suoi collaboratori, al fine di infliggere il massimo danno alla credibilità e reputazione della candidata democratica; viceversa, mantennero la massima discrezione sul materiale trafugato ai repubblicani. Il rapporto che l’intelligence consegnerà a Obama prima della sua partenza il 20 gennaio, non si discosterà da queste conclusioni: la Russia si è prodigata per influenzare l’esito dell’elezione, se ci sia riuscita esula dai compiti della Cia.
Quel rapporto Trump lo butterà nel cestino? A giudicare dalla reazione immediata il presidente- eletto lo considera poco più che un’insinuazione di parte. Del resto Trump può contare su un’altra “sponda” nel mondo dell’intelligence: l’Fbi. La polizia federale, che svolge anche funzioni di contro-spionaggio interno e anti-terrorismo, per volontà del suo capo James Comey, si è messa in rotta di collisione con la Cia e le altre agenzie di intelligence. L’Fbi ha sempre minimizzato il ruolo degli hacker russi e più volte ha rifiutato di aprire indagini su quel dossier. È la stessa Fbi che sotto la guida di Comey fu la protagonista di un clamoroso colpo di scena anti-Hillary, la riapertura a sorpresa delle indagini sulle sue email a poco più di una settimana dall’elezione. Trump presto normalizzerà anche la Cia mettendo alla sua guida il falco repubblicano Mike Pompeo.
Ma c’è una parte della destra repubblicana che non digerisce tanto facilmente l’interferenza di Putin nella campagna elettorale. Sono i conservatori tradizionali, quelli che preservano la memoria storica della guerra fredda, quando Mosca era la grande nemica. In questi giorni diversi parlamentari repubblicani di punta, dotati di posizioni chiave per la politica estera e la sicurezza, hanno preannunciato che sull’ingerenza russa vogliono andare fino in fondo. Dal senatore John McCain (che fu candidato contro Obama nel 2008) ai deputati Michael McCaul e Devin Nunes che presiedono le commissioni sulla sicurezza e sui servizi segreti alla Camera, è un coro di dichiarazioni che auspicano l’apertura di un’inchiesta parlamentare. Non saranno certo i compagni di partito a insinuare dubbi sulla regolarità della vittoria di Trump, ma quelle inchieste potrebbero lasciare qualche “macchia” sulla ricostruzione storica degli straordinari eventi del 2016.
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Le Pen all’Eliseo e Frexit l’ipotesi paradossale che spaventa la Francia La vittoria della leader del Front National è improbabile. Ma lo erano anche la Brexit e l’elezione di TrumpTIMOTHY GARTON ASH Rep 11 12 2016
PARIGI MARINE Le Pen eletta alla presidenza potrebbe attivare l’articolo 50 senza il via libera del Parlamento? Intendo l’articolo 50 del trattato di Lisbona, per far uscire la Francia dall’Unione Europea, sulle orme della Gran Bretagna. Mi ritrovo a discuterne a Parigi assieme a illustri esperti francesi. Questa la risposta provvisoria all’interrogativo: poiché la Francia, a differenza della Gran Bretagna, è una Repubblica presidenziale, Le Pen potrebbe fare da sé.
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IL PARLAMENTO però dovrebbe in seguito approvare una modifica della costituzione. Il semplice fatto che i miei amici francesi sollevino la questione, seppur in via molto ipotetica e semi scherzosa, è un segno dei tempi. Cosa diceva Rousseau? «Essere sàvi in un mondo di pazzi è di per sé una forma di follia».
È ovviamente impensabile che la leader del Front National, partito di destra, populista e anti- immigrazione, diventi presidente della Repubblica francese alle prossime elezioni, in maggio. Proprio come era impensabile che la Gran Bretagna votasse di uscire dall’Unione Europea e impensabile che gli Stati Uniti eleggessero Donald Trump. Mi trovo in Francia in parte proprio in cerca di rassicurazione, per sentirmi dire che l’impensabile non accadrà di nuovo, questa volta nel cuore dell’Europa. Prenderò l’Eurostar per Londra tutt’altro che rassicurato.
Di certo la maggior parte dei miei interlocutori sono ancora fiduciosi che Le Pen perda, a vantaggio di François Fillon, il candidato del centro-destra. Nella seconda tornata delle presidenziali gli elettori del centro-sinistra si mobiliteranno, tappandosi il naso, per votare Fillon — per il bene della Repubblica. Dopo tutto nel 2002 votarono Jacques Chirac per far fuori il padre di Marine Le Pen, il fondatore del Front National, sospirando «meglio un ladro che un fascista». Il voto di protesta nelle elezioni europee e amministrative ci può stare, ma le presidenziali sono una cosa seria. Fillon, col suo forte patriottismo cattolico e conservatore e la sua rassicurante solidità personale, può riconquistare molti elettori del Front National e della Francia suburbana. Stando ai sondaggi attuali, entrambi i principali candidati potrebbero ottenere un quarto dei voti al primo turno, il 23 aprile del prossimo anno, ma al ballottaggio, il 7 maggio, Fillon si porterebbe a casa circa due terzi dei voti. Questo è quello che dicono il buon senso e i sondaggi, che ci sono stati così utili in Gran Bretagna e Usa.
Passiamo ai dubbi. Fillon esprime un connubio di conservatorismo sociale e liberismo economico che è insolito in Francia, rischiando di alienarsi gli elettori su entrambi i fronti. Ha posizioni cattoliche conservatrici su tematiche quali la maternità surrogata e i matrimoni gay. Al contempo vuole la deregulation in campo economico, tagliare 500mila posti di lavoro nel pubblico impiego, riformare il sistema sanitario nazionale e tagliare le prestazioni previdenziali. Recentemente è apparso in una caricatura sulla copertina di Libération con un’acconciatura alla Margaret Thatcher. Persino all’interno del suo partito si levano voci critiche rispetto a questo thatcherismo francese. Per gli elettori provenienti dalla sinistra frammentata potrebbe essere un boccone troppo difficile da mandar giù, per cui al secondo turno potrebbero scegliere di astenersi dal voto. Ma il liberismo economico rende Fillon vulnerabile anche tra gli elettori dei ceti popolari e della piccola borghesia, che deve riconquistare strappandoli a Front National. Sono elettori da rassicurare e proteggere, non vanno presi di petto alla Thatcher.
Alla base c’è un senso di malessere generale, associato a una crescita economica che lo scorso anno ha toccato a stento l’1% e a una disoccupazione giovanile che sfiora il 25%, il rancore che si manifesta ad ogni piè sospinto contro una classe politica considerata distante, egoista e corrotta nonché il desiderio diffuso di dare un bel calcione a tutto il maledetto sistema. Fillon non proviene dalla classica élite parigina, ma fa senza dubbio parte dell’establishment. Come ha detto un personaggio vicino a Le Pen: «Fillon, è il sistema». E poi sembra proprio che la storia al momento vada in questa direzione, con Trump e la Brexit a sdoganare le scelte populiste.
Non da ultimo, Le Pen è una candidata forte, il perfetto modello del populista moderno, che sa portare avanti le sue tesi con vigore. Se avete qualche minuto, andate sulla pagina Facebook del Front National e guardate Le Pen intervistata in tv mercoledì sera. Eccola che sorride dall’alto della pagina con una bella rosa blu (si appropria del simbolo socialista cambiando il colore) piazzata in orizzontale tra le parole “Marine” e “Présidente”. Da notare che “Président” è declinato al femminile, con la “e” finale, perché sarà la prima donna presidente di Francia.
Nell’intervista televisiva Le Pen sfoggia la sua abilità “faragesca” e “trumpiana” di dare l’idea di parlare il linguaggio della gente comune. Si è candidata alle elezioni «in nome del popolo», dice, mentre Fillon lo ha fatto «in nome della Commissione europea, delle banche di Monsieur Schäuble ». Lei difende «il ritorno della nazione… e la democrazia » e aggiunge che «molti paesi hanno fatto questa scelta». Cita innanzitutto gli Stati Uniti, poi la Gran Bretagna, quindi l’Italia che ha votato No al referendum. Oh sì, e «Io difendo i diritti delle donne», dice.
Cosa farà riguardo all’Europa? Vuole un referendum sull’adesione della Francia all’Ue: «Io non ho paura della gente». Sostiene con enfasi che indirà il referendum e ne rispetterà il risultato.
No, non prevedo la Frexit. Una cosa che si può dire con certezza dei francesi è che non hanno lo stesso atteggiamento dei britannici rispetto all’Europa. Ma la Festa dell’Europa, che cade il 9 maggio, due giorni dopo il turno decisivo delle presidenziali francesi potrebbe essere una giornata nera e Jean Monnet si rivolterà nella tomba.
( Traduzione di Emilia Benghi)
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