giovedì 1 dicembre 2016

Panebianco contende in extremis a Battista il premio Sciacallo e ribadisce qual è il vero terrore della borghesia. Ciai senza chances






















No a imprese e investimenti all’Avana si apre la stagione del neo-isolazionismo 

Dopo la visita di Obama a marzo Raúl ha promosso una sorta di “controriforma”

OMERO CIAI Rep 1 12 2016
L'AVANA. L’AVANA. Com’è diversa l’atmosfera di questa città da quella che quasi due anni fa, era il 18 dicembre 2014, accolse con giubilo l’annuncio di Obama e Raúl Castro sulla ripresa delle relazioni tra i due Paesi dopo oltre mezzo secolo di guerre ideologiche, diplomatiche e commerciali. Ma non è soltanto il serrate le fila intorno alla memoria del padre della Rivoluzione, né i nove giorni di lutto, né il corteo funebre con la teca delle ceneri che attraverserà ogni villaggio di Cuba fino all’altra punta dell’isola, in un lungo addio che vuole essere l’affermazione di solidità perenne del regime, ad aver cambiato il clima che si respira nelle strade dell’Avana. Qualcosa s’è rotto molto prima della vittoria di Donald Trump e della scomparsa di Fidel. Come se il brivido dell’ignoto avesse fermato Raúl e il gruppo dirigente al potere di fronte all’accelerazione delle riforme economiche e all’introduzione degli elementi di mercato nel sistema, spingendoli verso un’altra orgogliosa stagione di neo isolamento. Il primo a notarlo era stato un raffinato storico cubano, Rafael Rojas, che insegna all’Unam, l’Università di Città del Messico. Settimane prima della morte di Fidel e dell’elezione di Trump, Rojas aveva parlato di una “controriforma a Cuba” che a suo giudizio sarebbe iniziata subito dopo la storica visita di Obama, nel marzo del 2016, con l’assise del Congresso del partito comunista cubano che si aprì poco dopo, in aprile. Era lo stesso periodo di tempo nel quale diventava sempre più evidente l’epilogo dell’epoca dei governi di sinistra, amici di Cuba, nei grandi Paesi dell’America Latina. Dal Brasile all’Argentina, passando per la crisi senza fine del miglior alleato dell’Avana: il Venezuela di Nicolás Maduro. Una controriforma che, secondo Rojas, ha come oggetto «la riaffermazione dell’egemonia dello Stato nella politica economica, nelle relazioni internazionali, nell’ideologia e nella cultura», e si è tradotta anche «in un aumento del controllo sulla sfera pubblica, con più repressione per la società civile e per l’opposizione, e con l’irrigidimento della retorica ufficiale ». Un argine al rinnovamento che ha colpito tutti quelli che avevano confuso la pax americana con una spallata verso l’uscita dalla società socialista. Dai cuentapropistas, quel germe di nuove attività private liberate dalle prime riforme di Raúl Castro dopo il 2008, ai blogger indipendenti, alle deboli organizzazioni dei dissidenti. Oggi si calcola che i lavoratori in proprio, dai contadini alle cooperative di servizio, dagli affittacamere fino ai tassisti, impieghino ormai il 30 percento della forza lavoro. Le possibilità di crescita sarebbero grandi, lo stesso governo riconosce che ci sono almeno due milioni di lavoratori di troppo nell’apparato statale che potrebbero avviarsi alle imprese private. Ma il nuovo cammino s’è fermato. E le forti tasse imposte ai nuovi privati complicano di molto la loro espansione.
Episodio minore ma molto simbolico è la vicenda della fabbrica di trattori Cleber. Quando due imprenditori dell’Alabama annunciarono che avrebbero prodotto sull’isola un migliaio di trattori l’anno da vendere ai contadini cubani che, in molti casi, ancora oggi arano i loro appezzamenti di terra con l’aratro tirato dai buoi, la notizia venne salutata come il vero inizio della nuova Era. Barack Obama, nonostante l’embargo, autorizzò l’investimento in febbraio, alla vigilia del suo trionfale sbarco all’Avana, come un’ennesima prova delle sue buone intenzioni. Ma la fabbrica Cleber a Cuba non è mai nata perché la Commissione cubana l’ha bocciata. È la stessa sorte toccata ad altri medio-piccoli imprenditori americani eccitati dalla svolta che sono finiti nelle strette maglie della complicata, e lentissima, burocrazia locale. Alle grandi aziende del turismo è andata meglio. Le navi da crociera fanno ormai scalo a Cuba senza problemi e qualche giorno fa American Airlines ha potuto fare anche il primo volo commerciale. Ma a dominare oggi è l’incertezza sul futuro. Il doppio effetto della morte del Líder máximo e delle elezioni di Trump, con il ritorno dell’influenza sulla Casa Bianca della lobby anticastrista della Florida, spingerà Raúl e i dirigenti cubani a tornare nella trincea di un neo-isolazionismo per difendersi dai nuovi nemici, oppure no? Di fronte ai nuovi scenari, qualcuno, come Jon Lee Anderson, il biografo americano del Che Guevara, esprime dubbi sulla possibilità che Raúl, ormai 85enne ma in ottima salute, onori la promessa di lasciare il potere entro il 2018. E l’assenza di tanti leader alle cerimonie funebri non lascia troppo spazio all’ottimismo. Neppure Putin ha teso la mano ai cubani sempre più a corto di petrolio per la tragedia venezuelana.
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