martedì 17 gennaio 2017

La Buona Sòla










La Tecnica della Scuola

Scuola, io insegnante di professione,  bidella per necessitàLa storia di Francesca Capecce di Termoli, idonea all’insegnamento nel concorso ma costretta a fare il collaboratore scolastico. Anche nella sua vecchia scuoladi Valentina Santarpia Corriere 17 1 2017


La maturità con il 5 Ammessi all’esame anche con insufficienze e stop alla terza prova
Dal 2018 basterà la media del 6 e conterà la condotta. Per il voto, più peso alla carriera

CORRADO ZUNINO Rep 18 1 2017
ROMA. Le otto deleghe salvate, ovvero la Buona scuola bis, approdano alle due commissioni parlamentari. E alla Camera diventa pubblico il primo “schema” (perfettibile, modificabile) sugli otto argomenti su cui nasceranno — nei prossimi due mesi — i nuovi decreti legge. Il tema più seguito è quello delle valutazioni degli studenti e presenta diverse novità. Morbide per gli studenti.
Nell’articolato numero 384 si introduce in tre passaggi chiave il concetto di “media scolastica”. Per essere ammessi alla Maturità, a partire dal giugno 2018 non sarà necessario avere tutte le sufficienze, ma basterà una media matematica del 6. Significa che si potrà fare l’Esame di Stato anche con un 5 (o un 4) su una o due materie purché ci siano 7 e 8 a compensare su altre discipline. Non è importante — seguendo il testo — che le insufficienze siano presenti in materie fondamentali: anche educazione motoria, religione e, ovviamente, condotta concorrono alla media finale.
Su questo allentamento del rigore si legge l’impronta di parlamentari del Pd che, di fronte a un esame di Maturità a cui accede oltre il 95 per cento degli studenti, hanno provato a togliere al passaggio scolastico l’aura di prova della vita. Il concetto della “media del 6”, d’altro canto, è entrato con questo testo anche nell’accesso all’Esame di terza media e persino nelle decisioni di promozione o bocciatura nelle otto classi del primo ciclo (le cinque elementari e le tre medie): di fronte a un “6 di media” lo scolaro non ripeterà l’anno anche se ci sono insufficienze nelle singole materie. Se per la bocciatura diventerà decisivo il voto di religione, il fatto dovrà essere messo a verbale. La bocciatura nella primaria, comunque, dovrà fondarsi «su motivazioni eccezionali ».
Il nuovo schema sulla Maturità — che non è un testo finale, ma l’inizio di una discussione che durerà sessanta giorni — prevede che per l’ammissione all’esame serviranno la partecipazione alle prove Invalsi di quinta (si terranno in aprile su italiano, matematica e, novità, inglese), la prova dello svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro in terza e quarta superiore e, si ribadisce, una frequenza scolastica pari a tre quarti del monte ore annuale.
Il decreto prevede, sempre per l’Esame di Stato superiore, la scomparsa della terza prova (il quizzone) e della “tesina” portata dal candidato (era nata con il ministro Fioroni nel 2007). Si dovrà portare, invece, un resoconto del periodo di “alternanza lavoro” realizzato nelle due stagioni precedenti. La composizione delle commissioni d’esame resta mista (tre interni, tre esterni) con il presidente di commissione (esterno) scelto da un Albo e preparato per condurre l’esame.
La prova di italiano si trasformerà nella redazione di un testo argomentativo con la possibilità di strutturare la prova in più parti. La seconda prova (matematica, per esempio) avrà all’interno quesiti anche su altre discipline (nel caso specifico, Fisica).
Nel colloquio orale sarà la commissione a dettare il punto di partenza della riflessione. Per il voto finale peserà di più il percorso degli anni precedenti: si potrà ottenere un massimo di 12 punti in terza, 13 in quarta e 15 in quinta. Quaranta (su cento) in totale contro i 25 precedenti. Altri quaranta punti arriveranno, equamente divisi, dalle prime due prove scritte. Venti dal colloquio. Il bonus di cinque punti scatta da un voto minimo di 80. La lode che segue il cento dovrà essere votata all’unanimità.
L’esame di Terza media si snellisce: sarà composto di tre prove (italiano, matematica e lingue straniere). Il Test Invalsi sarà anticipato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

SE QUESTA È CULTURA UMANISTICA TOMASO MONTANARI Rep 23 1 2017
INSIEME agli altri decreti attuativi della cosiddetta Buona scuola, è appena arrivato alla Camera anche quello «sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività». Per la redazione di questo testo, la ministra senza laurea né maturità Valeria Fedeli si è avvalsa della collaborazione dell’ex ministro, ex rettore, professore emerito e plurilaureato ad honorem Luigi Berlinguer: e il risultato dimostra che il punto critico non è il possesso di un titolo di studio.
Sul piano pratico, la principale obiezione al decreto (che tra 60 giorni sarà legge) è che si tratta di un provvedimento a costo zero (art. 17, comma 1): e dunque anche a probabile efficacia zero. Ma, una volta che se ne considerino i contenuti, c’è da rallegrarsene. L’articolo 1 chiarisce i principi e le finalità del provvedimento: «il sapere artistico è garantito agli alunni e agli studenti come espressione della cultura umanistica… Per assicurare l’acquisizione delle competenze relative alla conoscenza del patrimonio culturale e del valore del Made in Italy, le istituzioni scolastiche sostengono lo sviluppo della creatività».
Cultura umanistica, creatività e Made in Italy (in inglese) sarebbero dunque sinonimi: per conoscere il patrimonio culturale, la Ferrari e il parmigiano (tutto sullo stesso piano) bisogna essere creativi. Si stenterebbe a credere alla consacrazione scolastica di questo “modello Briatore” se la relazione illustrativa del decreto non fosse ancora più chiara: «Occorre rafforzare… il fare arte, anche quale strumento di coesione e di aggregazione studentesca, che possa contribuire alla scoperta delle radici culturali italiane e del Made in Italy, e alla individuazione delle eccellenze già a partire dalla prima infanzia». Insomma: fin da bambini bisogna saper riconoscere (e, inevitabilmente, desiderare) una giacca di Armani o una Maserati. E visto che si raccomanda «la pratica della scrittura creativa», la via maestra sarebbe fare il copywriter per gli spot, o scrivere concept per reality show, per rimanere alla lingua elettiva del Miur.
Ora, anche ammesso che tra la nostra storia dell’arte e il «Made in Italy» esista un rapporto genetico, ciò non si traduce in un’equivalenza culturale, e tantomeno in un orizzonte formativo. E non è solo un problema di confusione concettuale: la domanda più urgente riguarda il tipo di società prefigurata da questa idea di scuola. Una società in cui non si riesca nemmeno più a distinguere la conoscenza critica dall’intrattenimento, l’essere cittadino dall’essere cliente, il valore delle persone e dei princìpi dal valore delle «eccellenze» commerciali. Una società dello spettacolo a tempo pieno, un enorme reality popolato da «creativi» prigionieri di un eterno presente, senza passato e senza futuro. Già, perché la creatività ha preso il posto della storia dell’arte, che continua a non essere reintrodotta tra le materie curricolari da cui la Gelmini l’aveva espulsa in vari ordini di scuole.
Più in generale, l’identificazione tra cultura umanistica, creatività e mercato nega e soppianta la vera funzione della vera cultura umanistica: che è l’esercizio della critica, la ricerca della verità, la conoscenza della storia. «Il fine delle discipline umanistiche sembra essere qualcosa come la saggezza», scrisse Erwin Panofsky nel 1944. Negli stessi mesi Marc Bloch scriveva, nell’Apologia della storia: «nella nostra epoca, più che mai esposta alle tossine della menzogna e della falsa diceria, che vergogna che il metodo critico della storia non figuri sia pure nel più piccolo cantuccio dei programmi d’insegnamento! ». Di fronte al nazismo e all’Olocausto la cultura umanistica sembrava ancora più necessaria: Bloch — fucilato dalla Gestapo perché membro della Resistenza — la definisce «una nuova via verso il vero e, perciò, verso il giusto».
È su questo fondamento che, nel dopoguerra, sono state ricostruite le democrazie europee. È per questo che la nostra Costituzione impone alla Repubblica di promuovere «lo sviluppo della cultura e la ricerca». La necessaria scommessa di un umanesimo di massa è infatti quella di riuscire a praticare tutti, anche se in dosi omeopatiche, le qualità della ricerca: precisione, desiderio di conoscere e diffondere la verità, onestà intellettuale, apertura mentale. Per secoli si è creduto, a ragione, che queste virtù non servissero solo a sapere più cose, ma anche a diventare più umani: e che dunque non servissero solo agli umanisti, ma a tutti. E oggi sono il presupposto necessario perché le democrazie abbiano un futuro.
Essere umani — ha scritto David Foster Wallace nel 2005 — «richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri... Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo». Formare gli italiani del futuro al marketing del «Made in Italy»; indurli a coltivare la scrittura creativa e non la lettura critica di un testo; levar loro di mano i mezzi culturali per distinguere la verità dallo storytelling, o per smontare le bufale che galleggiano in Internet; annegare la conoscenza storica in un mare di dolciastra retorica della bellezza: tutto questo significa scommettere proprio sull’inconsapevolezza, sulla modalità predefinita, sulla corsa sfrenata al successo. La cultura umanistica è un’altra cosa: è la capacità di elaborare una critica del presente, di avere una visione del futuro e di forgiarsi gli strumenti per costruirlo. Siamo sicuri di non averne più bisogno? ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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