martedì 28 febbraio 2017

Democrazia Proletaria: il "politologo" Marc Lazar mette in guardia dalla deriva estremista di... D'Alema e Bersani

Chi gli ha dato la patente di politologo? [SGA].

PROMESSE E LIMITI DELLE NUOVE SINISTRE 
MARC LAZAR Rep 27 2 2017
SI CHIAMERÀ dunque “Articolo 1 — Movimento democratici e progressisti” la formazione nata dalla scissione del Pd. Spiega Roberto Speranza: «Serve una nuova radicalità. Dobbiamo avere il coraggio di essere forza di governo». Resta da scoprire il contenuto programmatico di questa nuova radicalità.
UNA radicalità che non senza ragione innalza il lavoro e i giovani a priorità assolute. Solo così si comprende il vero, grande contrasto tra la maggioranza del Partito democratico e la sua minoranza, al di là della profonda avversione di quest’ultima per Matteo Renzi. In verità, la creazione di questo movimento volto a ricostruire un nuovo centro-sinistra si inserisce in un processo generale, che coinvolge parte della sinistra europea, quali che siano i sistemi elettorali e l’organizzazione dei partiti. In Portogallo il governo socialista al potere è sostenuto da una coalizione parlamentare che raduna ecologisti, comunisti e altre formazioni di estrema sinistra: un’esperienza seguita da vicino da molti responsabili della sinistra europea, che l’hanno eretta a modello. In Spagna Pedro Sanchez, recentemente estromesso dalla direzione del Partito socialista operaio spagnolo, tenta di riconquistarlo proponendo un’alleanza con Podemos e i sindacati. In Gran Bretagna Jeremy Corbyn usa argomentazioni di sinistra che seducono i giovani militanti, ma non convincono gli elettori. In Francia, Benoît Hamon ha vinto le primarie presentando nel suo programma un mix di proposte classiche della sinistra e di misure ecologiche e “post-moderne”, in base al presupposto che la civiltà del lavoro sia ormai finita. Ha firmato un accordo coi Verdi, ai quali ha fatto una serie di concessioni, in cambio della rinuncia del loro candidato a presentarsi alle presidenziali. E cerca ora — ma senza molte prospettive — di ottenere l’adesione di Jean-Luc Mélenchon, rappresentante della sinistra estrema. In tal modo sposta il suo partito verso sinistra, facendo infuriare la sua ala riformista che guarda sempre più verso Emmanuel Macron. Anche in Germania, in vista delle elezioni del settembre prossimo, il social-democratico Martin Schulz si presenta come “l’uomo nuovo” (non avendo fatto parte dei governi di coalizione), e pur non rinnegando le riforme degli anni Novanta promosse da Gerhard Schroeder spiega che è venuto il momento di aprire una nuova fase di politiche più sociali.
Esiste dunque la tentazione di radicalizzare la sinistra, riconducibile a motivi specifici per ciascun Paese, ma anche a una serie di fattori comuni: gli scarsi risultati dei governi della sinistra riformista, la persistente disoccupazione, soprattutto nell’Europa del Sud, Francia compresa, le disuguaglianze sempre crescenti, il disagio democratico, la delusione nei riguardi dell’Unione europea. Sta emergendo un nuovo paesaggio politico, con formazioni come Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, La France insoumise, Die Linke in Germania, e coi partiti socialdemocratici e socialisti che riorientano le loro strategie, come in Portogallo, in Gran Bretagna e in Francia. Quello della Spd tedesca è un caso particolare, dato che per il momento Martin Schulz sta portando avanti una manovra tattica, piuttosto che un cambiamento di fondo della politica del suo partito.
Questa sinistra emergente è attraversata da profondi contrasti, ma presenta anche vari punti di convergenza. I suoi adepti dichiarano di incarnare la “vera” sinistra — o il “vero” centro-sinistra nel caso dell’Italia: espressioni usate come totem identitario al fine di mobilitare tutti coloro che continuano a fare riferimento a quella cultura politica. E tutti, rispondendo ai loro avversari che li accusano di barricarsi nella protesta, sostengono di essere anche forza di governo.
È indubbiamente su questo punto che la sinistra radicale manca gravemente di credibilità. Spostare la barra a sinistra vuol dire far fuggire i moderati, e andare incontro a un insuccesso elettorale.
Questa sinistra avanza proposte spesso irrealizzabili, col rischio di provocare gravi delusioni, se mai arrivasse al potere. D’altra parte, tranne qualche eccezione, per il momento non sembra attirare le fasce di popolazione più bisognose e meno istruite, che nella maggior parte dei Paesi europei hanno abbandonato la sinistra in tutte le sue espressioni per ripiegare sull’astensionismo; oppure votano per formazioni populiste nettamente di destra, o per quelle che si dichiarano né di destra né di sinistra. Infine, molto spesso questa sinistra si mostra estremamente critica — anche se in misura minore in Italia — nei confronti dell’Ue, in un momento in cui la questione europea sta diventando esplosiva e cruciale; ed è oggetto di un travaglio profondo in tutte le forze politiche, contrapponendo gli europeisti — che però vorrebbero riformare l’Europa — agli anti-europeisti, fautori di un ripiegamento nazionale e protezionista. Neppure la sinistra radicale si sottrae a questo dilemma, e dovrà imperativamente scegliere da che parte stare. E ciò non mancherà di frenare la sua attuale dinamica e di indebolirla. Traduzione di Elisabetta Horvat ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Collegi e premio di coalizione la carta segreta dell’ex premier per la nuova legge elettorale 
Il Pd riparte dal Mattarellum, ma è pronto a mediare con Forza Italia per far uscire dallo stallo la legge elettorale IL PIANO PER LA LEGGE ELETTORALE. E DP PARTE DA IUS SOLI E VOUCHER 
CARMELO LOPAPA Rep
MATTEO Renzi torna dalla California ed è subito campagna elettorale. La volata per le primarie del 30 aprile parte in tv dallo studio di Fabio Fazio e da un’apparente frenata sulle elezioni anticipate. Il voto è «previsto nel 2018, se Gentiloni vorrà votare prima lo deciderà lui», rassicura. Detto questo, proprio il Pd di Renzi lavora già alla carta-jolly da giocare per imprimere una svolta, da qui a un paio di settimane, alla complicata partita della riforma elettorale.
UNA proposta di mediazione alla quale gli esperti più vicini al leader hanno già lavorato e che sarà presentata in commissione Affari costituzionale della Camera, dove dal fine settimana inizierà l’iter con l’audizione dei professori, quando i lavori entreranno nel vivo.
Nella strategia dell’ex premier sarà il colpo d’acceleratore contro tutti gli attendisti che lavorano per le calende greche, per trascinare la legislatura fino alla scadenza naturale del 2018. Ma anche una risposta ai fuoriusciti bersaniani che in questi giorni vanno ripetendo che la riforma resterà congelata almeno fino alle primarie pd del 30 aprile. Ma in cosa consisterà il piano B che sarà proposto agli altri partiti a marzo? «Il nostro punto di partenza resta il Mattarellum — mette le mani avanti il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato — ma se non dovesse incontrare un consenso sufficiente in Parlamento non resteremo di certo senza legge elettorale. E fin d’ora è chiaro che punteremo sui due principi cardine: collegi e premio di governabilità».
I primi sono già presenti nel Mattarellum, ma anche nell’Italicum ancora in vigore alla Camera. Ed è proprio su questi ultimi, di piccola estensione, che ricalcherebbe anche la nuova proposta. Quanto al premio, anche lì, il segretario uscente del Pd lo preferirebbe per il partito, ma se mediazione dovrà essere, allora è molto probabile che sarà convertito in premio alla coalizione.
Resta il nodo dei capilista bloccati, che hanno superato il vaglio della Corte Costituzionale, ma non senza rilievi e strascichi polemici. «Il nostro punto di partenza è il Mattarellum — conferma il capogruppo pd in commissione Affari costituzionali, Emanuele Fiano — ma adesso Forza Italia ha presentato una sua proposta ed è un elemento di chiarezza in più. Ora si tratterà di trovare tra le varie proposte una possibile sintesi e a quella lavoreremo».
Ecco, la sintesi. Con Berlusconi e i suoi, soprattutto. Questo il punto. La proposta depositata dai forzisti la scorsa settimana in commissione consiste in un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che supera il 40 per cento dei voti validi, niente preferenze, un leader individuato dalla lista che ottiene il miglior risultato e capilista bloccati in macrocollegi. Un sistema che — nello spirito appunto della mediazione — da Forza Italia fanno sapere che potrebbe essere rivisto. Ad esempio con un Mattarellum che preveda il 50 per cento di maggioritario e 50 di proporzionale. Purché vengano salvati i capilista bloccati ed escluse le preferenze.
Ipotesi, per ora, da mettere nero su bianco quando in commissione si farà sul serio, non prima di un paio di settimane, nella migliore delle ipotesi.
Anche perché nel frattempo bisognerà capire come cambieranno gli equilibri nelle commissioni, dopo la scissione consumata e con la nascita del Movimento dei democratici e progressisti. E con quei nuovi equilibri fare i conti per verificare se il Pd in commissione Affari costituzionali sarà autosufficiente. «Per noi è prioritaria l’abolizione dei capilista bloccati per restituire lo scettro agli elettori — spiega il senatore del nuovo soggetto politico, Miguel Gotor — Dopo di che, l’ideale sono collegi uninominali piccoli al massimo con 150 mila elettori al posto degli attuali 600 mila previsti per la Camera. E guai a mantenere le scellerate preferenze ». E poi Angelino Alfano, per lui e i centristi tutto dipenderà dalla soglia di sbarramento che per loro coinciderà con la sopravvivenza.
Parecchio da lavorare, insomma, ma distanze non insormontabili. Sta di fatto che strappare la legge elettorale in un paio di mesi, come sogna Renzi, per votare magari a settembre, non sarà affatto facile.
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Dp, prime proposte Ius soli e reddito 
Speranza: “Gentiloni deve temere Matteo, non noi. Ma il governo fissi la data del referendum sui voucher” Guerini: “Mettano via l’odio, parlino dell’Italia”. Domani il battesimo dei nuovi gruppi in Parlamento

MONICA RUBINO Rep
Ius soli, correzione dei voucher e reddito di inclusione. Sono le prime proposte su cui si batterà in Parlamento “Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti”, il nuovo soggetto politico a sinistra del Pd, nato sabato a Roma dalla fusione fra i fuoriusciti dem e di Sel.
Domani è fissata la prima riunione dei gruppi di Camera e Senato e la nomina dei relativi capigruppo. A Palazzo Madama saranno in 13, tutti ex democratici, e in molti auspicano che il loro capo sia una donna: in pista Cecilia Guerra e Doris Lo Moro, la madrina della legge sul diritto di cittadinanza dei figli di genitori immigrati. Sul ddl, già approvato alla Camera ma bloccato in Senato da oltre un anno, ci potrebbe essere convergenza tra Dp e il presidente dem Matteo Orfini, favorevole a porre la fiducia sul provvedimento.
È a Montecitorio invece che si potrebbe presentare qualche difficoltà in più, perché il capogruppo dovrà tenere insieme due anime diverse. Dei 38 deputati Dp, infatti, 21 sono gli ex Pd, 17 gli ex Sel di Arturo Scotto. L’ipotesi di nominare Roberto Speranza, tra i fondatori di Dp, sembra però tramontare: l’esponente bersaniano è troppo impegnato a girare l’Italia per presentare il nuovo movimento. «Il capogruppo sarà espressione di un confronto democratico », fa sapere il deputato calabrese Nico Stumpo, che aggiunge: «La coalizione Italia Bene Comune di Pier Luigi Bersani potrebbe essere la piattaforma comune a cui ispirarsi».
Intanto nel clima velenoso che si registra nelle prime battute tra i candidati al congresso dem, sul quale incombe la vicenda dell’inchiesta Consip, è subito polemica tra Pd e Dp, con il rischio che tali fibrillazioni si riflettano sui provvedimenti del governo in Parlamento, come le norme sulla sicurezza e i decreti attuativi della Buona scuola. Ma anche i voucher. Ieri Roberto Speranza, ospite dell’Intervista di Maria Latella su Skytg24, ha ribadito la necessità di fissare una data per il referendum della Cgil, al quale voterà Sì. E ha criticato Matteo Renzi, mettendo sul chi va là il premier Paolo Gentiloni dai possibili sgambetti dell’ex segretario. Parole che hanno provocato la replica del vicesegretario dem Lorenzo Guerini: «Arriverà un giorno in cui finalmente metteranno da parte l’odio personale e ci racconteranno che cosa pensano dell’Italia ». Una «reazione scomposta » secondo gli esponenti Dp, come sottolinea il senatore Miguel Gotor: «Spiace che un solitamente mite Guerini di fronte a una critica politica rifiuti il confronto. Bisogna pulire il linguaggio senza fare le vittime aggredendo». E il deputato Davide Zoggia: «Ricorda la retorica berlusconiana».
Sembra invece risolta l’altra grana con il Pd sulla questione del nome (“Democratici e progressisti” si chiamava anche una lista civica che nel 2014 appoggiò in Calabria il governatore Mario Oliverio). «Orfini saggiamente sorvola sulla questione», aggiunge Gotor. E Stumpo di rimando: «Incroceremo anche Campo progressista di Giuliano Pisapia e vedremo come si chiamerà l’alleanza sulla scheda elettorale».
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