domenica 26 febbraio 2017

Ovvio dei popoli & lotta tra Titani: Francesco Alberoni sfida Matteo Recalcati per riprendersi ciò che è suo


Il famoso sociologo Alberoni dedica il nuovo libro a tutte le forme amorose possibili 

Eleonora Barbieri Giornale - Sab, 25/02/2017


La politica ai tempi del “Soffro ergo sum” 
Così in un’epoca di crisi il masochismo diventa voglia dell’uomo forte

MASSIMO RECALCATI Rep 25 2 2017
Il sogno del masochista è quello di liberarsi della sua libertà. Essere uno straccio nelle mani dell’altro ci libera dal peso di ogni responsabilità. È quello che Erich Fromm in uno storico testo titolato “Fuga dalla libertà” (1943) dedicato all’analisi psicoanalitica delle figure di Lutero e di Hitler, mostra come il paradossale guadagno psichico della sottomissione. Ne parlano, a loro modo, anche tre bei libri più recenti come quello di Jessica Benjamin (“Legami d’amore”, Raffaello Cortina,
2015), di Marisa Fiumanò ( Masochismi ordinari, Mimesis, 2016) e, a suo modo, Thomas H. Ogden ( Vite non vissute, Raffaello Cortina 2017). La condizione paradossale del masochista consiste nel realizzare ciò che il sadico può solo inseguire affannosamente: sottomettersi all’altro rinunciando adì ogni forma di soggettività, realizza il progetto masochista di una forma di vita finalmente riparata dall’angoscia. È evidente che si tratta di una illusione perversa, la quale però è sempre in agguato, soprattutto quando invoca il bastone severo del padrone, il suo muso duro, feroce, pronto a colpire e a colpirci spietatamente assicurandoci che l’abolizione della nostra libertà sia la forma più alta della libertà. È un segno del nostro tempo: consegnarsi nelle mani ruvide di un potere forte salva dall’insicurezza che cresce.
La certezza indubitabile della propria esistenza che Cartesio trovava nell’esercizio metodico del dubbio e del pensiero (Cogito, ergo sum), assume nel masochista i caratteri di un assioma dal tono sacrificale: soffro, dunque sono. Ma la sofferenza che egli si autoinfligge in mille forme non ha come “semplice” meta il piacere del dolore, ma, più radicalmente, una specie di metamorfosi estrema del proprio essere che vorrebbe abbandonare le sue vesti “umane troppo umane” per raggiungere la compattezza minerale di un oggetto che non manca più di nulla. Allora farsi cane, detrito, scarto, offrirsi alla frusta sanguinaria, all’umiliazione, all’insulto e alla violazione di ogni genere non è semplicemente il rovescio della posizione sadica. In gioco, infatti, non è il ribaltamento dell’attività del sadico che gode nell’infliggere sofferenza. Questa era una tesi di Freud: nel sadico prevale l’attività della pulsione, mentre nel masochismo la passività; nel primo il soggetto che gode del dolore dell’altro, nel secondo la riduzione del soggetto ad oggetto che patisce il godimento dell’altro. Sadismo e masochismo sarebbero cioè — in questa lettura — il retro e il verso di una stessa pagina. Ma in questo modo si perde il particolare statuto del masochismo. La sua posta in gioco è assai più alta. Lacan ce lo ricorda quando situa il masochismo non come l’altra faccia del sadismo ma come il vertice più alto della perversione. Perché? Quale sarebbe il primato speciale del masochismo su qualunque altra forma di perversione, compreso il sadismo? In generale si può definire la perversione come il tentativo estremo di liberare la vita umana dalla mancanza che la affligge. Il sogno del perverso è raggiungere un godimento pieno, compatto, assoluto, non intaccato dalla morte. Pasolini ricordava a questo proposito che ogni perverso mira a realizzarsi come se fosse un Dio, se, appunto, consideriamo Dio l’immagine di un essere che non manca di nulla.
I supplizi a cui il sadico costringe le sue vittime non rivelano solo delle pratiche di godimento trasgressive. Non si deve dimenticare che in gioco è una trasformazione assai più radicale del soggetto: la furia distruttrice del sadico vorrebbe raggiungere, attraverso la sofferenza inflitta al suo partner, uno stato d’essere capace di scaricare la mancanza integralmente sull’altro. Il dolore, la sofferenza, l’angoscia non appartengono più al soggetto, ma vengono trasferite brutalmente sulla sua vittima. Tuttavia, mentre il sadico agisce con solerzia nel perseguire il suo obiettivo, questo obiettivo, in realtà, gli sfugge sempre. Egli non potrà mai raggiungere l’ideale di un godimento pieno, assoluto, spurgato da ogni imperfezione, libero dalla mancanza, perché il solo fatto che egli si prodighi nella sua ricerca significa che resta sempre lontano dal realizzare ciò che vorrebbe. Sartre ne ha dato una straordinaria sintesi in una sua pièce teatrale titolata Morti senza tomba. Il torturatore vorrebbe possedere la libertà della sua vittima, diventarne il padrone assoluto, piegarla alla sua volontà, farsi Dio, ma i suoi sforzi sono vani. L’alterità dell’Altro sfugge sempre: l’accanimento del torturatore non è in grado di sottomettere completamente la sua vittima, la quale può, per esempio decidendo di non parlare, non rivelare le informazioni che gli vengono richieste, sottraendosi al disegno sadico del suo carnefice. Diversa e assai più radicale è invece l’opzione del masochista. Più risolutamente del sadico egli si incammina lungo un sentiero di spoliazione di ogni residua soggettività. Riducendosi a un oggetto inerme nelle mani dell’altro, passivizzandosi totalmente, spegnendo ogni residuo di volontà, di pensiero critico, annullando ogni sua libertà, il masochista realizza quello che il sadico insegue senza mai raggiungere: sfuggire definitivamente a ogni mancanza realizzando il sogno di una vita senza desiderio, senza volontà, senza più l’angoscia della libertà e della scelta.
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