domenica 5 febbraio 2017

Sei figure del filosofo

Libro Il filosofo. Una storia in sei figure Justin E. H. Smith
Justin E.H. Smith: Il filosofo Una storia in sei figure, traduzione di C. Melloni, Einaudi 2016, pp. 237, € 28,00

Risvolto
Justin Smith individua sei personaggi tipo che hanno svolto il ruolo del filosofo in società molto diverse di tutto il mondo nel corso dei millenni: il filosofo studioso di scienze naturali, il saggio, il polemista, l'asceta, il mandarino e il cortigiano. Il risultato è allo stesso tempo un'introduzione non convenzionale alla storia della filosofia e un'esplorazione originale di ciò che la filosofìa è stata, e forse potrebbe diventare nuovamente. Individuando aspetti del lavoro filosofico dimenticati o trascurati, il libro dimostra quanto la filosofia sia un'attività universale, molto più ampia e inclusiva, di quanto in genere si pensi oggi.
             

La storia interviene sulla formazione dei concetti 
Idee. «Il filosofo»: nel chiedersi come definirlo, Justin E. H. Smith elegge sei figure – la curiosa, il saggio, il polemico, l’asceta, il mandarino e il cortigiano – per esemplificare pratiche di pensiero diverse: un saggio Einaudi

Luca Illetterati Manifesto Alias 2.2.2017, 18:27 
Nel V libro della Repubblica di Platone, Socrate, dopo aver delineato insieme ai suoi interlocutori la struttura e l’organizzazione dello stato giusto, viene immediatamente chiamato a rispondere alla domanda incalzante di Glaucone, il quale gli chiede come si possa passare dall’ideale teorizzato alla realtà concreta. Consapevole dello scandalo che andrà pronunciando, Socrate risponde – com’è noto – che in fondo basta un’unica modifica, per quanto non piccola e banale, affinché quell’idea assuma realtà: che i filosofi diventino governanti o che i governanti diventino filosofi. La risposta produce subito nell’interlocutore una domanda conseguente, rispetto alla quale Socrate rivela un qualche imbarazzo: come è possibile riconoscere il filosofo? Come facciamo a sapere che colui che si dice filosofo lo è davvero? 
Quando si afferma (lo fa ad esempio Bernard Williams in un saggio contenuto all’interno della raccolta La filosofia e il suo passato) che Platone è l’inventore della filosofia non si intende dire che è stato il primo filosofo, o anche semplicemente che ha elaborato una teoria tanto ampia e potente da avere costretto a confrontarvisi tutti coloro che sono venuti dopo di lui – la storia della filosofia occidentale altro non sarebbe infatti, secondo la famosa osservazione di Whitehead, che una nota a margine al pensiero di Platone. Ciò che fa di Platone l’inventore della filosofia è il suo chiedersi cosa la distingua da altre forme di sapere o da altre pratiche umane con le quali pure è connessa, e soprattutto l’adoperarsi a salvaguardare la filosofia dal pericolo, che le è evidentemente connaturato, di diventare qualcosa d’altro da se stessa, di poter essere pensata da ognuno a seconda dei propri interessi o dei propri bisogni, di poter essere assoggettata da pratiche o da poteri esterni che vorrebbero asservirla. Detto con termini non platonici, Platone è l’inventore della filosofia perché è il primo filosofo a mostrarsi consapevole della necessità da parte della filosofia di essere anche e sempre una metafilosofia, e cioè una riflessione su sé stessa, un’indagine circa la propria natura, circa la propria forma discorsiva. 
Si potrebbe infatti dire che la filosofia non è mai, di per sé, qualcosa di già dato. Certo, esistono stili di pensiero che rientrano all’interno di un canone e di una storia, ma questi non garantiscono mai la filosofia rispetto al proprio essere e al proprio esserci. Per Kant, ad esempio, la filosofia, intesa come una disciplina che può essere considerata nello stesso modo della matematica, della fisica o dell’astronomia, non esiste. Ed è per questo, sempre secondo Kant, che non la si può imparare: al massimo, si può apprendere a filosofare. 
C’è forse un libro paragonabile agli Elementi di Euclide che, una volta imparato, ci consenta di dire che possediamo i principi fondamentali della filosofia a partire dai quali procedere nelle nostre conoscenze verso risultati sempre più avanzati?
Il saggio di Justin E.H. Smith, Il filosofo Una storia in sei figure (traduzione di C. Melloni, Einaudi 2016, pp. 237, € 28,00) si propone di rispondere alla domanda «che cos’è la filosofia» in un modo piuttosto originale. Non attraverso un percorso del tutto teorico quale si può trovare ad esempio nel famoso testo del 1991 di Deleuze e Guattari (Che cos’è la filosofia?) nel quale la filosofia si differenzia dall’espressione artistica e dalla pratica scientifica come forma di discorso che si impegna nell’invenzione dei concetti; e nemmeno secondo quanto avviene perlopiù nel vivace dibattito metafilosofico contemporaneo di area analitica, dove si cercano di isolare le metodologie specifiche dell’indagine filosofica, perlopiù evitando qualsiasi enfatizzazione circa la differenza di statuto tra filosofia e scienze particolari (emblematico in questo senso il libro di Timothy Williamson, The Philosophy of Philosophy, Blackwell 2007). 
Smith è uno storico della filosofia, esperto soprattutto del dibattito, anche scientifico, della prima modernità, e cerca dunque di arrivare a una qualche definizione della filosofia, o per meglio dire, a una messa in discussione dei diversi tentativi di definirla, attraverso una prospettiva che consenta di mettere in evidenza la molteplicità delle forme e delle pratiche che la filosofia ha assunto e può assumere. La consapevolezza storica (perlopiù assente dentro una prospettiva analitica, ovvero dentro la prospettiva oggi più influente soprattutto all’interno del dibattito anglo-americano) permette di relativizzare i tentativi di disciplinamento delle pratiche filosofiche dentro una concezione standardizzata e dunque univoca. 
La curiosa, il saggio, il polemico, l’asceta, il mandarino e il cortigiano – le sei figure nelle quali si articola il percorso del libro, delle quali vengono mostrati esempi concreti sia sul piano storico sia attraverso alcuni espedienti narrativi – sono modi diversi, che certamente non si equivalgono e che non si pongono dunque necessariamente sullo stesso piano, attraverso cui ha preso forma, nella storia, la pratica concreta della filosofia. Una pratica che si mostra perciò refrattaria a rigide determinazioni disciplinari, alla possibilità di essere ricondotta dentro forme discorsive specifiche definite e rigorose e dunque alla costruzione di una comunità di ricerca omogenea. 
Da qui Smith riesce a discutere in termini problematici e senza pretese omologanti (anche se talvolta con eccesso di compiacimento in relazione ai particolari storici) il rapporto fra filosofia e ricerca empirica, fra filosofia e poesia, tra filosofia e scrittura, trail modo in cui la filosofia si è sviluppata dalla Grecia fino a oggi e esperienze di pensiero a essa avvicinabili, anche se altre rispetto al canone della filosofia occidentale. E lo fa – questo il punto – mostrando come tutte le distinzioni che questi rapporti implicano abbiano sempre un margine di artificiosità che, se non consapevole, rischia di produrre effetti ideologici particolarmente pesanti. 
Lo sguardo storico rivela una peculiare potenza critica nei confronti di qualsiasi assolutizzazione di un modello che pretenda di imporsi come capace di inglobare le differenze dentro cui vive il discorso della filosofia, magari espellendo tutte quelle forme di discorso non omologabili allo stesso modello. Soprattutto all’interno dell’istituzione universitaria contemporanea, nella quale i meccanismi di valutazione e controllo del lavoro scientifico richiedono giocoforza discipline standardizzate e una ricerca sempre più canalizzata e orientata dagli stakeholeders economici, proprio questa potenza critica è più che mai necessaria.

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