mercoledì 29 marzo 2017

Giovanni Miccoli 1933-2017


Giovanni Miccoli studiare la Chiesa con speranza 
È morto a Trieste il grande storico Allievo di Cantimori, fu il primo a parlare delle omissioni di Pio XII

Rep 29 3 2017ALBERTO MELLONI
«Mi sembra evidentissimo esempio di quel metodo di esposizione positiva di idee, di tendenze e di problemi, fatta prevalentemente di citazioni accuratamente scelte, che senza discutere, senza polemizzare — e senza approvare — tendono tuttavia a suggerire in chi abbia occhi per leggere e orecchi per intendere una chiara interpretazione e un giudizio». Così nel 1967 Giovanni Miccoli spiegava lo stile critico di Delio Cantimori, di cui era diventato allievo nel 1956 subito dopo la laurea, iniziando dalla sua lezione un percorso storico che si è chiuso la scorsa notte a Trieste, dove è morto all’età di 84 anni. Una descrizione che calza perfettamente anche al suo autore.
Medievista alla scuola dello stesso Cantimori, aveva iniziato la sua ricerca sulla storia della chiesa a Monaco, Londra e alla Normale di Pisa, lasciata nel 1968 per approdare a Trieste. Dove, al di là di una breve parentesi veneziana, avrebbe insegnato e lavorato tutta la vita. In una collocazione geografica e culturale che lo rendeva insofferente alle “mode”, sia quando esse spezzettavano la materia in troppe varianti, sia all’opposto, quando volevano far sparire specialismi necessari inglobandoli nella partizione medievale-moderna-contemporanea che appaga solo gli editori di manuali da liceo.
Allergico al manierismo storiografico, Miccoli ha molto lavorato sul papato: sia polemizzando con l’apologetica clericaleggiante, come gli capitò di fare in alcune leggendarie stroncature; sia distinguendosi dal semplicismo di chi vedeva nell’istituzione una matriosca di culture reazionarie dall’immutato contenuto. Lui, che aveva individuato nella ideologia cattolica della cristianità un lessico di lungo periodo e una ideologia di riserva del cattolicesimo romano, vedeva nella denuncia di Benedetto XV della guerra come «inutile strage» un gesto «che fa in un colpo solo piazza pulita di tutte le elucubrazioni dei belligeranti» e delegittimava un’ideologia della guerra che sarebbe ritornata, sì, ma senza togliere nulla alla forza di quel monito.
Per questo — lo diceva alla rivista Bozze 79 — criticava le tendenze volte a confondere «il necessario sforzo di comprensione oggettiva dei fatti e delle situazioni con l’enunciazione di giudizi e di proposizioni accompagnate costantemente dalla cautelosa proposta del loro contrario. Sono le buone maniere di una storiografia che solo attraverso questa miscela un po’ insipida pensa di riuscire a mantenersi distaccata ed equanime». Miccoli dunque aveva imparato presto a percorrere la storia a “spanne” ampie e con altrettanto grande rigore critico: sapendo che la fonte non è un feticcio ma l’attrezzo che illumina le innumerevoli pieghe della realtà, e che alcuni fenomeni “piccoli” — per esempio il clero friulano alle prese con le migrazioni — possono essere declinati in un senso stolidamente localistico, oppure diventare «spia» (il lessico è suo) di più ampi processi e percorsi. Irriverente verso il formalismo dei generi (la sua prima monografia su Pietro Igneo era lunga come un articolo, il suo “libro” sulla chiesa in Italia è nascosto nella storia d’Italia Einaudi) aveva così affiancato studi sui gregoriani e su Leone XIII, su Pier Damiani e su Mazzolari, su Francesco d’Assisi e su Lutero. Non aveva avuto paura a scrivere di Pio XII e dei suoi silenzi a otto anni dalla morte di Pacelli ed era stato fra i primi a sentire lo stacco fra Pio XI e il suo successore. Da anziano aveva analizzato la politica dottrinale di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con un pathos che evocava impercettibilmente anche qualcosa del suo percorso interiore dentro il cattolicesimo, dismesso come militanza e assunto come oggetto di studio. Ma senza smettere di ritenere decisivo il momento in cui, come diceva citando Paul Ricoeur, attendeva dal futuro delle fedi e delle istituzioni religiose una «rinuncia a qualsiasi tipo di potere che non sia quello di una parola disarmata». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Una storia della Chiesa non agiograficaRitratti. La scomparsa, a 84 anni, di Giovanni Miccoli. Vicino alla sinistra cristiana, ha dato un contributo rigoroso agli studi del papato e della figura di san FrancescoLuca Kocci Manifesto 30.3.2017, 0:08
È morto il 28 marzo a Trieste, città dove era nato e nella cui università ha insegnato per molti anni, all’età di 84 anni, Giovanni Miccoli, uno dei più autorevoli studiosi di storia della Chiesa.
Storico rigoroso, era allergico e distante da un uso mediatico della storia utile a conquistare le prime pagine dei giornali o le «ospitate» nelle serate televisive, spesso a detrimento della serietà della ricerca. Non aveva tuttavia rinunciato a partecipare al dibattito pubblico e a esprimere giudizi sempre argomentati e mai acriticamente apologetici o aprioristicamente di condanna, come ad esempio quelli sulle contraddizioni del pontificato di Giovanni Paolo II o sulla virata anticonciliare di Ratzinger sia come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede che come papa Benedetto XVI.
Nato nel 1933 a Trieste, si è laureato all’università di Pisa in Storia medievale e poi diplomato alla Scuola normale superiore, dove è stato allievo, fra gli altri, del grande storico modernista Delio Cantimori, e dove ha insegnato Storia della Chiesa dal 1962 al 1967. Nel 1968 è tornato a Trieste, e lì – tranne una breve parentesi a Venezia – ha trascorso tutta la sua vita accademica, insegnando Storia medievale e soprattutto Storia della Chiesa. Ha fatto parte dei comitati scientifici di Cristianesimo nella storia e della Rivista di storia del cristianesimo comitato e della direzione di Studi storici, la pubblicazione dell’Istituto Gramsci.
DAL PUNTO DI VISTA politico-culturale è stato vicino all’area della sinistra cristiana, senza farne mai parte organicamente: negli anni ’70 e ’80 ha partecipato attivamente ai convegni di Bozze, la rivista diretta da Raniero La Valle quando era parlamentare della Sinistra indipendente nelle liste del Pci, mentre in anni recenti è stato più volte invitato a tenere relazioni ai convegni dei preti operai italiani (l’ultima volta nel 2011).
I suoi interessi storiografici hanno spaziato dal medioevo all’età contemporanea. Ha studiato la riforma gregoriana dell’XI secolo e ha scritto un importante volume su Francesco d’Assisi, pubblicato da Einaudi nel 1991 e recentemente riproposto da Donzelli (Francesco. Il santo di Assisi all’origine dei movimenti francescani, 2013). Prima, nel 1975, aveva dato un significativo contribuito alla monumentale Storia d’Italia dell’Einaudi con il lungo saggio Storia religiosa dall’alto Medioevo al ’500.
Ma il volume che probabilmente gli ha dato maggiore notorietà è stato I dilemmi e i silenzi di Pio XII (Rizzoli, 2000), uno dei primi libri a indagare il ruolo di papa Pacelli durante la Shoah. Negli ultimi anni si è occupato prevalentemente del papato contemporaneo, osservando con occhio critico ma sempre attento il pontificato di Wojtyla (In difesa della fede, Rizzoli 2007), la parabola di Ratzinger e il nuovo vigore del tradizionalismo cattolico (La Chiesa dell’anticoncilio. I tradizionalisti alla riconquista di Roma, Laterza, 2011).
UN IMPEGNO storiografico mai disgiunto dalla militanza civile. Nel 2011, Miccoli è stato promotore di un appello «Contro i lager italiani» (i Cie); e nel 2014 ne ha firmato un altro, promosso dal movimento Noi Siamo Chiesa, per la «riabilitazione» di Ernesto Buonaiuti, prete e storico modernista, scomunicato, espulso dall’università da Mussolini perché non aveva giurato al fascismo, mai riammesso per l’applicazione retroattiva di una norma dei Patti lateranensi che prevedeva il divieto, per un prete scomunicato, di occupare una cattedra in un’università statale.
«Voglio ricordare in particolare due aspetti della ricerca di Miccoli – spiega Daniele Menozzi, docente di Storia contemporanea alla Normale di Pisa e curatore (insieme Giuseppe Battelli) di un volume dedicato allo studioso appena scomparso (Una storiografia inattuale? Giovanni Miccoli e la funzione civile della ricerca storica, Viella, 2005) – L’attenzione al papato nel lungo periodo e al suo ruolo nel voler orientare la presenza dei cattolici nella storia e nella società. E, in maniera speculare, l’attenzione alle alternative, per esempio Francesco d’Assisi, e alle proposte di chi nella Chiesa ha seguito un percorso meno istituzionale e più evangelico».

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