venerdì 31 marzo 2017

La comica finale: il formidabile complotto di Peppe Grillo e Putin


Il governo Usa: “Fate attenzione Ci sono legami Russia-M5S”
 L’allarme dell’amministrazione all’Italia: strategia di destabilizzazione
Paolo Mastrolilli Stampa 30 3 2017

«Fate attenzione ai legami fra governo russo e M5S». È il messaggio circolato nei mesi scorsi nell’amministrazione Usa, con lo scopo di mettere poi Roma al corrente di un fenomeno più vasto: l’esteso impegno di Mosca a sostenere forze politiche intenzionate a sfidare gli establishment nazionali.
Con lo scopo di indebolire nel lungo periodo tanto l’Unione Europea, quanto la Nato. Sono fonti governative americane a ricostruire per «La Stampa» quanto sta avvenendo, spiegando in particolare che sono preoccupate per l’influenza che la Russia sta cercando di avere sulle prossime elezioni italiane, nell’ambito di una strategia di interferenza che tocca tutta l’Europa, dopo quella adottata durante le presidenziali degli Stati Uniti. Finora il potenziale punto di contatto è stato individuato da Washington soprattutto nei rapporti che Mosca sta costruendo con il Movimento 5 Stelle, e con la Lega, che però ha prospettive elettorali inferiori.
All’origine di tali sviluppi ci sono le conseguenze dell’Election Day. Quando l’intelligence americana è arrivata alla conclusione che il Cremlino aveva gestito le incursioni degli hacker nell’archivio digitale del Partito democratico, per rubare documenti con cui deragliare la candidatura presidenziale di Hillary Clinton, l’apparato governativo degli Usa si è attivato per comprendere meglio le dimensioni e lo scopo di questa strategia. Quindi si è convinto che la Russia sta cercando di dividere e indebolire l’intero Occidente, favorendo le formazioni politiche che mettono in discussione le alleanze storiche e più recenti tra le due sponde dell’Atlantico. Questa offensiva era già presente negli Stati baltici, che avendo fatto parte dell’Unione Sovietica sono abituati a simili tattiche di propaganda e manipolazione, e le riconoscono in fretta. Discorso analogo per la Serbia e l’intera area della ex Jugoslavia. L’operazione però si è allargata anche al resto dell’Europa occidentale, che secondo gli analisti di Washington è meno pronta a capirla e difendersi. Perciò il governo Usa si è attivato, con missioni discrete che hanno riguardato anche l’Italia.
Gli obiettivi di Mosca sono tutti i Paesi dove nei prossimi mesi sono in programma le elezioni, che per la loro natura democratica consentono di infiltrare i sistemi politici e cercare di condizionarli. Al primo posto ci sono le presidenziali francesi, dove gli effetti dell’offensiva russa sono già stati pubblicamente notati, con la visita di Marine Le Pen al Cremlino e le informazioni uscite per attaccare l’indipendente Macron. Nel radar degli americani però ci sono anche le presidenziali del 2 aprile in Serbia, il voto di settembre in Germania, e quello che comunque dovrà avvenire in Italia entro la primavera del 2018.
Secondo quanto appurato da Washington, i metodi usati sono diversi. Negli Stati Uniti gli attacchi sono avvenuti nel campo digitale, perché è molto sviluppato e offriva grandi opportunità. Lo stesso sta avvenendo già in Europa, come hanno dimostrato le denunce fatte da Macron. Più difficile è provare eventuali finanziamenti o aiuti diretti per le campagne elettorali e i partiti. In Italia il sistema digitale è meno sviluppato di quello americano, e i nostri apparati contano anche sul naturale scetticismo degli elettori per depotenziare eventuali offensive. Nel mondo di oggi, però, non serve molto: basta intercettare una mail o una lettera, per demolire un candidato o un partito.
Poi ci sono i rapporti personali diretti. Ha sorpreso, ad esempio, la visita di una delegazione italiana che qualche tempo fa è andata in Lituania, dialogando con la comunità di origine russa nel Paese. Rilevanti sono anche gli incontri con le ambasciate, che sono leciti, ma possono andare oltre la cortesia diplomatica. M5S e Lega non hanno fatto mistero dei contatti avuti con Mosca, e ciò ha suscitato preoccupazione, anche se in scala diversa.
L’attenzione riservata dal governo americano a questi fenomeni è maturata prima dell’entrata in carica della nuova amministrazione Trump, e delle stesse presidenziali dell’8 novembre. Finora se ne sono occupati funzionari di carriera non partisan, e la loro attività è completamente slegata dalle inchieste in corso all’Fbi e al Congresso sulle eventuali complicità tra gli hacker russi e la campagna del candidato repubblicano. Si tratta in sostanza di valutazioni professionali, indipendenti dalle vicende politiche interne. La transizione naturalmente complica le cose, perché il governo deve affrontare altre priorità, e nei Paesi che sono potenziali obiettivi non sono ancora stati nominati i nuovi ambasciatori. Le elezioni italiane però sono quelle più lontane nel calendario, a fine aprile il premier Gentiloni verrà alla Casa Bianca e a maggio ospiterà Trump al G7, e quindi ci sarà il tempo per discutere e chiarire queste preoccupazioni. Da qui lo scenario di una consultazione in crescendo fra Washington e Roma sul ruolo dei grillini come emissari del Cremlino nel Bel Paese.
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E Di Stefano ora ammette: “Putin è già un interlocutore ha vinto su tutta la linea” “Repressione? Non tocca a noi valutare la democrazia in Russia” Ilario Lombardo Stampa
«Gli arresti a Mosca? E allora Guantanamo? Non tocca a me valutare la democrazia in un altro Paese» dice Manlio Di Stefano per levarsi dall’impaccio di una domanda che in tanti fanno ai 5 Stelle: cosa dite della retata di massa di Vladimir Putin? Se c’è un partito in Italia che per somiglianza avrebbe motivo di simpatizzare con i giovani ribelli di Mosca è il M5S. Una piattaforma anticorruzione nata online, un leader, Aleksej Navalnyj, che è un blogger: cosa vi ricorda? Ma perché allora il M5S, nel suo complesso, tace?
Nei piani di governo a 5 Stelle, Di Stefano è destinato a fare il ministro degli Esteri: perché è il più competente e ha una passione, coltivata negli anni, che ora è diventata un lavoro che lo fa viaggiare, incontrare popoli, stringere relazioni. E infatti è a lui che il M5S ha affidato il compito di delineare il programma di esteri che in questi giorni si vota sul blog di Beppe Grillo. Dieci punti che Di Stefano sta illustrando in diverse tappe da Nord a Sud. Ci sono i capisaldi del pensiero grillino che punta a ridefinire il ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, con accordi bilaterali inseriti all’interno di una strategia multilaterale più fluida che dalla Russia arriva fino alla Siria di Assad, e alle critiche all’Eurozona affianca l’idea di un’Alleanza mediterranea, senza rinunciare al riconoscimento della Palestina.
A Putin si torna sempre, senza timore per la durezza del pugno contro gli oppositori e l’aggressività fuori dai confini russi. «Perché allora non ci occupiamo anche dell’Arabia Saudita a cui l’Italia vende le armi? - chiede Di Stefano -. Io mi devo solo preoccupare di non favorire un governo nel commettere crimini. Mentre il ministro Alfano contesta gli arresti di Mosca, abbiamo fatto accordi milionari con i sauditi». Mosca ha represso il diritto di manifestare contro la corruzione. Matteo Salvini, leader della Lega Nord, amico di Putin, ha detto chiaramente che hanno fatto bene ad arrestarli perché le proteste non erano autorizzate. E il M5S? «Arrestarli tutti così non è propriamente democratico, ma perché non parliamo anche di Guantanamo? È ancora aperta e a Barack Obama hanno dato il Nobel per la Pace. Questa è ipocrisia: o condanniamo tutti i Paesi che ledono i diritti o non possiamo fare una selezione». Nel giugno scorso Di Stefano era l’unico politico italiano presente al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, un invito «accolto con grande entusiasmo» ebbe a dire durante la visita dove riaffermò uno dei punti cardini dei 5 Stelle: l’eliminazione delle sanzioni alla Russia: «Putin è un partner strategico nella lotta al terrorismo, non vederlo è cecità. Assieme ad Assad ha vinto la guerra in Siria».
Altro capitolo: Assad. Nel programma c’è scritto che vanno «ristabiliti i rapporti diplomatici con la Siria». Con un dittatore che ha sterminato civili e bambini? «Anche Federica Mogherini, ministro degli Esteri Ue, si è svegliata e ha riaperto ad Assad. Cosa fai altrimenti? O lo butti giù come Gheddafi o ci parli». Ogni punto si tiene assieme e c’è una coerenza nella visione di Di Stefano. Così per la Nato: «Va ridefinita la partecipazione italiana» dice il deputato che vuole organizzare una conferenza di pace sulla Libia a Roma e propone un’Alleanza del Mediterraneo tra i Paesi europei del Sud per fare blocco comune contro quelli a Nord in attesa di sapere se l’euro reggerà. «Fosse per me uscirei subito dall’euro, ma poiché nel M5S ognuno ha la sua posizione faremo un referendum. Sappiamo però che con la moneta a due velocità Merkel vuole istituzionalizzare la Troika, un organo di strozzinaggio per i Paesi più deboli che proponiamo di smantellare». Il futuro dell’Europa non sembra in cima ai suoi pensieri: «Io parlo di Italia non di Europa. E anche se non vedo l’Alleanza mediterranea come alternativa all’Ue è giusto chiedersi cosa esiste oltre l’Eurozona». L’idea è quella di «fare accordi commerciali bilaterali con chi conviene, in un contesto multilaterale». Via dall’euro, Ue e la Nato più deboli, Alleanza mediterranea: ma così non si favorisce solo Putin come interlocutore privilegiato e i suoi sogni di un’Unione Euroasiatica? «Putin - risponde Di Stefano - è già un interlocutore, perché ha vinto su tutta la linea».
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Perché siamo il Paese più facile da destabilizzare Marcello Sorgi  Stampa
Si tratti di un sospetto concreto o di un’ipotesi di intelligence che viene da un Paese, come gli Usa, appena uscito dalle presidenziali che hanno visto a sorpresa la vittoria del candidato populista Trump, alla quale sembra non sia stato affatto estraneo il ruolo degli hacker russi sulla rete, non è affatto peregrina l’idea che Putin, dopo la Francia dove appoggia smaccatamente Marine Le Pen, possa dedicarsi all’Italia, spendendosi a favore di Grillo e dei 5 stelle, e non solo di Salvini, con cui coltiva relazioni privilegiate, nelle prossime elezioni politiche.
Da tempo il leader russo è interessato a una destabilizzazione dell’assetto che penalizza la Russia con le sanzioni nate a causa dell’intervento in Ucraina, che nelle previsioni di Mosca sarebbero state destinate ad esaurirsi in tempi assai più brevi, e invece resistono, contraddicendo anche singoli ammorbidimenti di nazioni interessate a riaprirsi le frontiere del mercato russo.
Nel tormentato attuale quadro internazionale, e in attesa di una soluzione della vicenda siriana che sembra prossima ma ancora non arriva, non c’è dubbio che agli occhi del leader russo l’Europa rappresenti l’anello debole, che può cedere da un momento all’altro, e soprattutto può cambiare indirizzo, in caso di successo delle forze populiste, rispetto ai tradizionali e consolidati assetti delle alleanze strategiche. Il Regno Unito, con il successo della Brexit e l’apertura, due giorni fa, della procedura per il divorzio dall’Unione; la Francia con la Le Pen arrembante, che se anche non riuscirà a farsi eleggere presidente corre sicuramente verso un risultato storico. E subito dopo l’Italia, in cui, almeno nei sondaggi, la primavera del Movimento 5 stelle resiste a qualsiasi turbolenza e alla penuria di risultati dell’amministrazione romana conquistata nove mesi fa.
Sì, non ci vuol molto a capire che nell’Europa di oggi noi siamo i più facili da destabilizzare; e l’Italia, per la sua importanza di Paese fondatore, può innescare una reazione a catena fino a minacciare la tenuta del sistema dell’euro e dell’Unione. Per questo, la simpatia con cui i 5 stelle venivano guardati da Oltreoceano nel 2013, adesso ha mutato segno.
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La rete putiniana dei populisti Dall’Ukip ai tedeschi di Afp Nei rapporti con la Lega centrale il ruolo di un parlamentare russo Marco Bresolin Stampa
C’è una data-chiave nel disegno di Putin che ha portato alla creazione di una rete di partiti populisti europei legati a doppio filo al Cremlino. È il 15 dicembre del 2013. Quel giorno, al Lingotto di Torino, Matteo Salvini è diventato segretario della Lega Nord. Sotto il palco c’erano anche l’austriaco Heinz-Christian Strache (presidente del Partito della Libertà), il francese Ludovic De Danne (consigliere per gli affari istituzionali del Front National) e l’olandese Geert Wilders (leader del Partito della Libertà). Nulla di strano, visto che i movimenti della destra anti-sistema stavano preparando l’alleanza per le Europee del 2014. Accanto a loro, però, c’era anche Viktor Zubarev, parlamentare di Russia Unita. Che ci faceva l’uomo di Putin al congresso della Lega Nord? Negli anni successivi i contorni della risposta sono stati meglio definiti.
Matteo Salvini è stato più volte a Mosca. Marine Le Pen, proprio nelle scorse settimane, è stata ricevuta ufficialmente da Putin. Nel frattempo i rapporti tra i partiti della “rete” si sono intensificati e allargati, sempre in stretto contatto con il Cremlino. I movimenti, uniti tra le altre cose dalla lotta all’Ue, sono stati usati come una sorta di cavallo di Troia russo per spaccare l’Ue dall’interno. Alle elezioni del 2014 hanno ottenuto buoni risultati, ma non hanno stravinto e - almeno nel Parlamento europeo - sono stati marginalizzati. Era solo l’inizio di un percorso, che è proseguito nelle rispettive capitali. La rete si è poi estesa ad altri movimenti, Putin è riuscito a lavorare anche con i tedeschi dell’Afd, che dopo i buoni risultati in alcuni Land ora puntano alle elezioni politiche di settembre. C’è il forte sospetto che le campagne elettorali siano state finanziate con i soldi di Mosca.
Nel Regno Unito i media della propaganda russa hanno giocato un ruolo decisivo nella campagna per il referendum sulla Brexit e il leader dello Ukip, Nigel Farage, ha più volte espresso la sua ammirazione in pubblico per Putin. In Austria, i russi hanno puntato dritti alla presidenza dello Stato (senza però riuscirci), sostenendo il candidato Norbert Hofer. A dicembre è stato ufficialmente firmato un accordo con Russia Unita. In Ungheria, il Cremlino può contare sul forte appoggio del partito di estrema destra Jobbik, ma negli ultimi mesi ha messo un piede nel governo, grazie ai legami stretti con il premier Viktor Orban. Sempre più “disturbatore” nell’Unione Europea.
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