venerdì 31 marzo 2017

Zapperi su Lonzi: l'agiografia di un pezzo della nostra catastrofe

Giovanna Zapperi: Carla Lonzi. Un’arte della vita, DeriveApprodi

Risvolto
Da circa un decennio la storia biografica e teorica di Carla Lonzi, figura preminente del femminismo italiano degli anni ’70, è oggetto di una continua riscoperta, non solo in Italia: dapprima con la ripubblicazione di tutti i suoi scritti, tra i quali il famosissimo Sputiamo su Hegel; poi con convegni e studi specifici. Sta così riemergendo il lavoro di riflessione di un’autrice affascinante ed enigmatica che ha saputo pensare il femminismo quanto il mondo dell’arte, il potere quanto le forme dell’emancipazione delle donne.

Giovanna Zapperi si interessa alla traiettoria di Carla Lonzi e ai rapporti tra arte e femminismo nell’Italia tra gli anni ‘60 e ‘70. Attingendo a fonti di archivio inedite, questo libro dimostra che i due periodi che sembrano scandire la biografia di Carla Lonzi (prima la critica d’arte, poi il femminismo) segnano in realtà un percorso che intreccia l’intera espressione teorica di questa importante autrice. Questa lettura ci consente allora di ricavare dal pensiero di Carla Lonzi categorie per leggere il presente, tanto per una critica all’altezza dei tempi sul ruolo e l’uso delle immagini, quanto per capire le forme di subordinazione legate al genere, all’identità e alle classificazioni sociali che non cessano di riprodursi.
La radicale creatività della vita e degli scritti di Carla Lonzi trovano in questo libro una sintesi biografica e analitica compiuta, grazie alla minuziosa e fertile ricerca della storica dell’arte e femminista Giovanna Zapperi, la quale di quel «gesto creativo all’altezza della vita» è in tutto e per tutto un’erede.
Autoritratto dell’imprevedibilità 
Femminismi. «Carla Lonzi. Un’arte della vita» di Giovanna Zapperi, per DeriveApprodi. La biografia, l’amicizia e la rottura con Carla Accardi e la sua scelta della radicalità politica, a 35 anni dalla scomparsa 
Paola Rudan Manifesto 30.3.2017, 17:53 
Per la copertina del suo Carla Lonzi. Un’arte della vita (DeriveApprodi, pp. 320, euro 17) Giovanna Zapperi ha scelto una fotografia sorprendente. La fotografia è a colori. Lonzi incrocia le braccia e sorride. Sullo sfondo, la ruota panoramica di San Antonio, in Texas, le incornicia il capo come un’aureola. Il sorriso di Lonzi sembra prendersi gioco di quell’improbabile effetto mistico e, con esso, del lavoro del mito che nel corso di mezzo secolo avrebbe fatto di lei un’icona del femminismo italiano inchiodandola a «una temporalità fuori dalla storia» e nascondendo, dietro al bianco e nero, le tinte accese del percorso contraddittorio e travagliato che aveva dovuto intraprendere per fare di sé stessa un soggetto e della propria vita un’arte. 
IL TITOLO DEL VOLUME, d’altro canto, indica la possibilità di seguire quel percorso con uno sguardo che non separa il femminismo di Lonzi dalla sua singolare biografia e formazione, ma lo legge in modo innovativo nella complessa continuità con la sua riflessione sull’arte e la critica d’arte, all’interno della quale prendono forma le categorie politiche e le modalità di comunicazione che, a partire dal 1970, avrebbero dato voce all’autentica esperienza di rivolta di un’intera generazione di donne. Leggere l’approdo di Carla Lonzi al femminismo partendo dalla storia dell’arte non solo contribuisce ad accrescere la conoscenza della sua vita e del suo pensiero, ma ha un effetto spiazzante che investe tanto l’oggetto dell’indagine quanto la prospettiva da cui è analizzato. L’intento non è di rintracciare l’esperienza di un’«arte femminista» degli anni ’70 con propri canoni estetici e stilistici.
Al contrario, la posizione femminista aggredisce dall’interno la storia dell’arte come disciplina e raccoglie la sfida di Lonzi che ne aveva messo in questione i canoni e le strategie di potere. Così il femminismo di Lonzi, la sua arte della vita, non si lascia fissare in un’icona statica e canonizzata, ma si rivela un movimento vivo e un’incomponibile frattura che attraversa la storia e raggiunge il presente.
In questo itinerario Autoritratto, pubblicato nel 1969, rappresenta un fondamentale punto di svolta. Si tratta di un’opera che esprime – ed è resa possibile da «un’autoinvestitura come soggetto» che porta Lonzi a sviluppare la propria critica alla critica d’arte come istituzione, prendendo le distanze dal linguaggio e dalla postura autoritativa di figure quali Giulio Carlo Argan e Roberto Longhi, che di Lonzi era stato il maestro. In Autoritratto la critica della critica non è articolata come una teoria, ma risulta dalla forma stessa dell’opera, che si presenta al pubblico come la trascrizione della registrazione, rimontata da Lonzi e accompagnata da immagini spesso fuori contesto, di una serie di conversazioni con importanti artisti d’avanguardia del tempo.
Carla Accardi è l’unica donna coinvolta e la conversazione tra «le due Carle» è l’indizio di un dialogo che precede ed eccede la traccia registrata, trasformando la critica della critica d’arte nel momento di gestazione del femminismo lonziano. Il concetto di «autenticità» – il segno di quella soggettività della donna che si afferma nella pratica della «deculturazione» – prende vita in questo Autoritratto: non la certificazione impartita dal critico d’arte all’opera, la corrispondenza dell’opera con canoni definiti autoritativamente, ma l’atto creativo in cui si esprime la libertà dell’artista, non compromessa dal rapporto di dominio cristallizzato nell’arte come istituzione. 
L’IDEA DELLA DIFFERENZA sessuale come «progetto politico che mira a ribaltare l’ordine sessuato e patriarcale» dell’arte prende quindi forma nella relazione con un’altra donna, che permette a Lonzi di intravedere nell’arte stessa una possibilità di esprimere la creatività e l’autonomia femminili. Quando la fiducia in questa possibilità viene meno, l’amicizia con Carla Accardi si rompe.
Per Lonzi l’arte è ormai un’istituzione intrinsecamente patriarcale: l’opera riduce chi osserva alla passività, mentre l’artista fa della propria creatività il «privilegio» che lo eleva individualmente a scapito degli altri e delle altre. Di conseguenza, una donna che ricerchi un riconoscimento nel mondo dell’arte non fa che «imitare l’individualità maschile», rinunciando alla propria autenticità. Questa è la posizione che Lonzi attribuisce all’amica e che la spinge a rifiutare ogni espressione «visuale» della creatività in favore della scrittura. La scrittura è l’esito della relazione tra donne che si dà nella pratica dell’autocoscienza, di una reciprocità che fa dell’ascolto e della «rispondenza» la possibilità stessa della presa di parola e dell’emergenza della donna come «soggetto imprevisto». 
IL SEPARATISMO – il rifiuto di ogni compromissione con la cultura e le istituzioni patriarcali, la forma della «deculturazione» – diventa allora la condizione di possibilità dell’autenticità femminile. In questo modo però, osserva Zapperi, il significato di «autenticità» slitta pericolosamente dall’idea di un gesto di rivolta contro le identità e i ruoli ascritti verso un’esteriorità e una negatività assoluta della donna come soggetto, che rischia sempre di trasformarsi in un’«essenza» e in una trappola: può essere libera soltanto chi è già libera.
Così, il separatismo produce uno stallo: mentre consente alla donna di prendere parola sul mondo, esso la obbliga a prendere parola fuori dal mondo. Il problema della «rispondenza», del riconoscimento, sembra diventare per Lonzi un’ossessione che trapela dalle pagine del suo diario Taci, anzi parla, e in quelle di Vai Pure. Dialogo con Pietro Consagra, la registrazione di un addio lungo quattro giorni in cui si esprime la posizione paradossale del «soggetto imprevisto». Questo è il risultato di un «fallimento» politicamente fecondo, cioè del rifiuto di avere successo come donna abbracciando un’identità e un ruolo imposti dall’ordine patriarcale, ma è anche continuamente esposto al rischio dell’invisibilità e del silenzio. 
SE L’EMERGENZA della donna come «soggetto imprevisto» è il risultato di un processo di rifiuto e di rivolta che può avere luogo solo collettivamente, il suo confinamento in uno spazio separato rischia sempre di trasformarsi nell’impotenza individuale di chi resta fuori da quella storia che aveva avuto la pretesa di interrompere. La via d’uscita da questo stallo non può che essere un «tradimento», un uso improprio della riflessione di Lonzi come quello praticato dalle artiste contemporanee di cui Giovanna Zapperi discute in epilogo.
Tradire Lonzi, per quelle artiste, significa fare della sua riflessione un’ispirazione per l’arte che lei aveva abbandonato, riattivando il potenziale polemico della «donna clitoridea»: non un’identità che deriva da un carattere anatomico, ma un progetto politico di rifiuto dell’identità e dei ruoli che il patriarcato continua a imporre alle donne.
Tradire Lonzi, «interrogare la creatività come pratica trasformativa dentro e fuori i confini del mondo dell’arte», significa interrompere il tempo omogeneo e vuoto del patriarcato e far precipitare quel progetto nella storia del presente. Questo hanno fatto le donne con lo sciopero dell’8 marzo: senza attendere il riconoscimento maschile: hanno preteso uno schieramento degli uomini contro l’ordine globale che le opprime e hanno raccolto la sfida lanciata da Sputiamo su Hegel di realizzare, a partire dalla propria presa di parola, «una modificazione totale della vita».
(La versione integrale di questa recensione è pubblicata su connessioniprecarie.org)

1 commento:

Mario Galati ha detto...

Sputiamo su Hegel... Il vitalismo pulsionale creatore reazionario. La restaurazione biologista della storia nella teoria differenzialista. Su connessioniprecarie gli equilibrismi precari di un pensiero precario. Sempre grazie al Manifesto.