lunedì 27 marzo 2017

Tutti gentiliani. Una classificazione filosofica assai discutibile nel libro di Ronchi








Ogni cosa è intelligenza: non un lampo ma un fare 
Filosofia italiana . Dell’intuizione, che non ha nulla da spartire con un atto di magia, si può esibire la struttura: questa la scommessa di Rocco Ronchi in «Canone minore», Feltrinelli 
Federico Leoni Manifesto Alias Domenica 23.4.2017, 19:12 
Da tempo la filosofia ha rinunciato a voler dire come sono fatte le cose, come è fatto l’essere, o magari il divenire, e si è piuttosto accontentata – almeno da Kant in avanti – di spiegare come è fatto il discorso che parla delle cose. La rivoluzione filosofica introdotta da Kant consiste nel liquidare la metafisica, che è appunto quel discorso la cui pretesa sta nel dire come è fatto l’essere, e nel sostituirle la filosofia critica, che è tale proprio perché esamina, distingue, delimita le forme dei discorsi umani sulle cose. Ad altri, cioè alle scienze, il compito di praticare quel discorso diretto, e magari il piacere, il godimento di toccare con mano le cose, la natura. 
Questa sublime astinenza dei moderni da un lato vuol dare fondazione alle scienze, esaminando le strutture del suo discorso, cartografando il senso e i confini e i meccanismi delle sue procedure. Dall’altro, con le migliori intenzioni, mette di fatto la filosofia in una curiosa posizione. Mentre suppone di fondare le scienze, la filosofia critica si ritrova infatti a irridere proprio il lavoro degli scienziati, assumendo la coincidenza tra la loro posizione e una beata ingenuità. 
Gli scienziati avrebbero la curiosa convinzione di star parlando dell’essere, la testarda incapacità di avvertire il peso delle mille deformazioni che le loro procedure introducono tra l’osservatore e l’osservato. Ma così facendo la filosofia critica si condanna a una splendida superfluità. Gli scienziati procedono dritti per la loro strada, senza badare più di tanto ai filosofi, ai quali non resta che stare a guardare, e a volte guardare il fatto di stare a guardare. 
La cifra che attraversa da cima a fondo il progetto di Rocco Ronchi sta tutta nel gusto per il godimento, per il contatto diretto con l’immediato, per il ritrovarsi cosa tra le cose, vita vivente nel bel mezzo della complicata armonia di tutte le infinite vite viventi. 
Ronchi chiama «canone maggiore» della filosofia quella sequenza di posizioni che dalla modernità in avanti si esprime nel criticismo, poi nella dialettica, poi nella fenomenologia, dunque nell’ermeneutica, e ancora nel decostruzionismo, e per finire nella filosofia analitica. È la linea dell’astinenza, dello stare a guardare e dello stare a guardare che si sta a guardare. Non a caso il libro di Ronchi si intitola Il canone minore (Feltrinelli, pp. 312, euro 25.00) . Perché riguarda tutto il resto, ciò che è residuale, trascurato dagli studi e dagli studiosi mainstream, fatto di autori essenzialmente antimoderni, che restano ai margini della filosofia moderna e delle sue buone e astinenti maniere. 
Antimoderni o perché antichi, o perché sembrano antichi anche quando non lo sono, antichi perché essenzialmente antimoderni. Accanto a Platone, Aristotele, Plotino, Eriugena, Ronchi rilegge e riutilizza dunque, senza battere ciglio, Bergson, Whitehead, Giovanni Gentile, William James. 
Ci sarebbe un fiume carsico, questa la sua ipotesi, che dalle origini a oggi non cessa di comparire e scomparire nel grande corso della storia della filosofia, con insistita testardaggine e un unico desiderio ricorrente: dire come è fatto l’essere, e soprattutto il divenire, la processualità naturale. Ecco spiegato il sottotitolo del libro: Verso una filosofia della natura. 
Non è la prima volta che qualcuno insorge contro la filosofia che si fa cauta esaminatrice di discorsi e di esperienze soggettive, per rivendicare l’idea che la realtà esiste eccome. Questa volta però le cose vanno diversamente: in questione non è il fatto di ribellarsi ai discorsi e in nome dell’oggettività, ma in nome della processualità. La precisazione è decisiva. Perché chi rivendica gli oggetti contro i soggetti ha già dato ragione, senza saperlo, al soggettivismo, cioè a chi non vuole parlare delle cose ma dei discorsi sopra le cose. Se diciamo che c’è la realtà nel senso che ci sono gli oggetti, di fatto stiamo mettendo al posto della realtà quei ritagli che noi soggetti realizziamo nella stoffa della realtà, a nostro soggettivo uso e consumo. Gli oggetti non sono altro se non ciò che i soggetti vedono e usano nel mondo. Fallacia della concretezza malposta, direbbe Whitehead, stella polare di questo libro. 
Lo sforzo di Ronchi è invece mostrare da un lato che gli oggetti, l’oggettività, sono una pura illusione ottica. E dall’altro che lo sono perché anche i soggetti sono illusioni ottiche. Noi uomini non abbiamo – secondo Ronchi – uno statuto particolare nell’universo, né abbiamo motivo di pensare l’essere a partire da noi anziché a partire dall’essere. Il reale insomma non è diviso in due: soggetti da una parte, oggetti dall’altra, è uno solo. Ed ecco che, tolta di mezzo questa fantomatica linea di divisione, succedono due o tre cose mirabili, nel campo delle nostre idee. Se il reale è uno, allora la distanza, la mancanza, la negazione, non esistono. Ciò che c’è è il pieno, la continuità, l’inerenza di tutto in tutto, l’implicazione di ogni cosa in ogni altra cosa. Ma dato che gli oggetti non esistono, questo tutto non può risolversi in una totalità di oggetti, dunque dire che tutto è in tutto significa piuttosto dire che tutto si muove muovendo tutto, che tutto si prolunga in tutto, che tutto si trasforma in tutto ed è a sua volta trasformato da tutto. Tolto il due, ecco l’uno, e insieme, ecco che l’uno è processo.
Canone minore non si limita però a sostenere che tutto è processo, va oltre e dice che se queste premesse sono vere, allora tutto è intelligenza. Tutto comprende tutto ed è compreso da tutto, tutto vive e si muove intuendo tutto il resto, ed essendo vissuto e mosso e cioè intuito da ogni altra cosa. Quello che chiamiamo natura è questo movimento di intuizioni. 
La grande scommessa sta nel dimostrare che dell’intuizione si può esibire la struttura. Lungi dal somigliare a un lampo di magia, l’intuizione è un’operazione complessa, è la struttura stessa che si disegna quando ogni cosa vive e si trasforma in ogni cosa, essendone simultaneamente ritrasformata e rivissuta. 
All’alba del Novecento Bergson, James, Whitehead, Gentile hanno amato follemente questa danza di intuizioni. Rileggerli insieme a un secolo di distanza significa tratteggiare l’agenda filosofica del presente. Lo strano e profondo saggio di Rocco Ronchi, dice che ogni cosa è intelligenza, stando perfettamente in bilico tra la mistica e la logica pura. E nel farlo parla in effetti di ciò che vediamo ogni giorno accadere: nei laboratori degli scienziati, nei processi economici globali, nella disperata e fragilissima interazione di ogni pezzo del pianeta con ogni altra sua parte. Dietro la filosofia, questo libro parla di politica, economia, ecologia. 
Che ogni cosa è intelligente non è un modo di dire, bensì un modo di fare: il modo in cui la natura fa le cose. È il metodo e la struttura della sua meravigliosa e inquietante e incessante creatività, profondamente antiumanistica perché sommamente realistica. Converrà affacciarsi alla sua scuola, se non vogliamo scomparire, magari con eleganza, come filosofi ma soprattutto come specie.

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