mercoledì 1 marzo 2017

Volpi del Tavoliere e altri esseri animati








Bersani difende D’Alema “Regista della scissione è Renzi” 

L’ex segretario del Pds: da Matteo stupidaggini. Emiliano cerca voti “non Dem” Orlando tesse la tela: dopo industriali e sindacati, contatti anche con Prodi 

Carlo Bertini Stampa
Pierluigi Bersani non ci sta a passare come quello che regge la coda a Massimo D’Alema, con il quale peraltro ha ripreso a parlarsi dopo anni di grande freddo. È pure in questa chiave che va letta la difesa d’ufficio fatta ieri dall’ex segretario. Nella querelle giornaliera tra Pd ed ex Pd tiene banco lo scontro su D’Alema, tacciato da Renzi come il regista della scissione: «Non vorrei alimentare ossessioni», dice D’Alema. «Non c’è nulla di personale tra me e Renzi, questa del fatto personale è una sua guapperia, una stupidaggine, con quella aria che ha. Ha svilito e distrutto il partito». Da Modena alla prima iniziativa di Mdp, Bersani vuole dimostrare di non essersi accodato a “Baffino” e rovescia l’accusa addosso a Renzi:«Renzi adesso ricerca il regista, ma ha fatto tutto lui, la disgregazione di questo partito ha un regista, e questo regista si chiama Renzi».
Emiliano e i voti “non Pd”
La campagna delle primarie entra nel vivo, tutti i leader girano l’Italia: Renzi visita il cantiere del polo scolastico che sorgerà a Cernusco sul Naviglio dopo l’estate anche grazie allo sblocco di risorse del Patto di stabilità, poi incontro privato a Milano con Sala. Emiliano si divide tra tv locali e nazionali, lanciando l’invito ad andare ai gazebo anche a chi non è iscritto al partito: 
«Se qualcuno vuole togliersi Emiliano dai piedi può votare Renzi. Se qualcuno vuole togliersi dai piedi Renzi, però, può votare Emiliano». Orlando dice che è riduttivo dare la croce addosso a D’Alema. Intanto i suoi ex compagni a sinistra si organizzano: oggi saranno battezzati i gruppi parlamentari di Mdp. Al Senato derby tra Doris Lo Moro e Cecilia Guerra per il ruolo di capigruppo, mentre alla Camera potrebbe esserci il primo problema serio, visto che dei 37 deputati, 17 sono ex Sel. E già escono i primi sondaggi: quello di Emg fotografa un Pd al 28% che perde l’1,8%, Mdp, al 3,8% e i grillini che passano in testa come primo partito.
Orlando e i padri nobili
Ma nel Pd sono i due sfidanti di Renzi a prendersi la scena. Massimo D’Alema rivela di aver consigliato a Orlando di uscire dal Pd, «fai un gesto, questo ti darà una grande forza...», aggiungendo caustico, «ma questi ragazzi fanno fatica». Lui, Orlando, vuole far capire di esser diverso da Emiliano. «Prendere i voti anche dai non Dem? Io voglio i voti del centrosinistra, perché non si chiama la gente a votare per qualcuno, ma per qualcosa». Il ministro ha provato a prendersi la scena ieri a Firenze, proprio in quel teatro, l’Obihall, che Renzi aveva usato per aprire l’anno scorso la sua campagna referendaria senza riuscire a riempirlo del tutto. E quindi gli amici del leader erano curiosi di vedere come sarebbe andata la trasferta di Orlando. Neanche a dirlo, a detta dei seguaci del ministro bene, a detta dei renziani un flop, con il teatro semivuoto, con meno di 300 persone sedute in platea: a riprova che parte subito pure la guerra dei numeri che andrà avanti per due mesi. Partito tardi, Orlando è in corsa su tutti i fronti: non solo andandosi a misurare in «casa» del segretario. Ma pure cercando sponde sul versante delle rappresentanze sociali, confindustria, sindacati, associazionismo. Ricollegandosi poi idealmente ai padri nobili dell’Ulivo e del partito Democratico, a cui è legato da anni. A cominciare da Veltroni: del suo Pd Orlando fu il primo portavoce e non c’è da stupirsi se abbia lodato su twitter la sua intervista domenica a Scalfari. Fino a Romano Prodi, con cui Orlando ha preso contatti per sentire come la pensa, senza voler per questo tirare dalla propria parte la figura del professore.  BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


È già rissa a sinistra D’Alema attacca “Picchiatori nel Pd” La replica: solo odio 
Oggi i gruppi Dp, lite anche sui posti in aula Orlando: “Dem a rischio se si lotta nel fango”

Rep
Un braccio di ferro sui posti in aula tra Pd e Dp. Gli scissionisti ex dem ed ex vendoliani vorrebbero sedersi all’estrema sinistra dell’emiciclo di Montecitorio ma il Pd non vuole mollare l’ala sinistra e sarebbe disposto piuttosto a lasciare ai fuoriusciti gli scranni più a destra. Questioni simboliche, insieme a quelle molto concrete degli uffici da potere utilizzare. A Palazzo Madama i 13 senatori Dp hanno chiesto 95 metriquadrati al Pd. Stamani saranno presentati i nuovi gruppi. 38 i deputati, capogruppo forse Francesco Laforgia, ex segretario milanese del Pd che costruì l’operazione politica dell’elezione di Giuliano Pisapia a sindaco di Milano.
Ma cresce un clima da rissa. Massimo D’Alema risponde a Renzi che lo ha accusato di essere l’artefice della scissione: «È stato il rottamatore a rompere tutto, non certo noi. Ha svilito l’ispirazione ideale e politica del Pd. Per creare una grande forza di centrosinistra deve essere ridimensionato il suo ruolo». E ha aggiunto, in un’iniziativa pubblica a Genova: «Il Pd è diventato un partito in cui ci sono gruppi di picchiatori e mazzieri, che guai se osi criticare il capo...».
Oggi si chiude il tesseramento: con questi iscritti si va al congresso. Al Nazareno fanno sapere che sarà in linea con i dati del 2015: circa 400 mila tessere. Renzi lo celebra oggi a Firenze e annuncia: «Non mi piacciono i troll, preferisco il trolley con cui riprenderò a girare l’Italia». Invita tutti a stare sereni e a «parlar dell’Italia, di futuro, delle periferie e non di antipatie». Ma Michele Emiliano chiede ai no dem di votare ai gazebo per lui per mandare ko Renzi. E pensa di inserire nel suo programma l’abolizione totale dei vitalizi per i parlamentari come - dice - nella Costituzione cubana. Mentre Andrea Orlando, l’altro sfidante, ieri a Firenze a un’iniziativa organizzata da Elisa Simoni, cugina di Renzi ma orlandiana: «Siamo arrivati qui con candidati che non si risparmiano colpi. Il Pd rischia di non sopravvivere a una lotta nel fango e quindi ho ritenuto importante mettermi in gioco». Interviene anche la vicesegretaria Debora Serracchiani: «Riusciranno Emiliano e Bersani a stare almeno 24 ore senza parlare di Renzi? Senza gridare il loro odio personale?».
( g. c; m. p) ©RIPRODUZIONE RISERVATA


Tanti fan ma anche mugugni Bersani debutta nell’Emilia rossa “Renzi il regista della scissione” 
L’ex segretario lancia il nuovo soggetto alla Polisportiva Modena Est: “Quanta bella gente”. E rassicura Gentiloni: non tema noi

SILVIA BIGNAMI Rep
«Renzi non sia umile. Non si butti giù. Il regista della scissione è lui. Ha fatto tutto lui. Il regista si chiama Matteo Renzi ». Non è un sorriso bonario quello che Pierluigi Bersani, dal palco di Modena, riserva all’ex premier, davanti alla sala da ballo all’interno della Polisportiva Modena Est, sormontata dalla grande sfera stroboscopica delle discoteche degli anni 80 e tappezzata dai manifesti delle serate del liscio. Profonda pianura padana. Sala piena di oltre cinquecento fuoriusciti convintissimi di andarsene dal Pd. Quasi mille per gli organizzatori. Anche se fuori, tra gli anziani che sorseggiano caffè mentre osservano gli “scissionisti” assieparsi per ascoltare l’ex segretario Pd, serpeggiano soprattutto critiche a chi se ne va: «Tutti manovrati da D’Alema. E dire che è quello che ha buttato giù anche Prodi». Nessuno però vuole entrare a protestare: «Ce ne andiamo, non vogliamo nemmeno vederlo Bersani ».
È la fotografia di un partito spaccato e un po’ incattivito. Che fa fatica a capirsi, e che forse non ne ha più nemmeno una gran voglia. Si capisce anche dagli applausi, più aspri quando si parla dell’ex segretario Pd. Dalla prima fila dove siede anche l’ex ministro Vincenzo Visco - che insieme a Bersani ha fondato Nens, la rivista economica alla quale è dedicata anche la raccolta fondi della serata - fino alle ultime file. In sala gruppetti arrivati da ogni provincia emiliana. Tanti tutti insieme, anche se la scissione non è decollata in Emilia Romagna, a cominciare da Bologna, dove nessun dirigente ha lasciato il Pd. Eppure Bersani sorride: «Ce ne siamo andati perchè ci siamo resi conto che il Pd a trazione renziana non era in condizioni di organizzare un campo largo di centrosinistra. E senza questo campo largo si va a sbattere contro un muro» aizza sin dalla prima frase. Quindi la scissione. Non era possibile andare avanti, insiste l’ex segretario, «anche se fino all’ultimo abbiamo provato a riprendere la situazione per i capelli». Alla fine ne è valsa la pena, sembra pensare: «Molta gente mi dice ‘finalmente so per chi votare’ e questo è un risultato, perché dobbiamo recuperare un popolo che se ne è andato ». E se ne è andato perchè nel Pd «sono mancati i luoghi di discussione»: «Si è visto quando Renzi non ha nemmeno fatto le conclusioni. Se ne è andato. Senza salutare, è partito per la California addirittura. Robe dell’altro mondo». Risate in sala. Amare.
L’ex segretario rassicura il governo Gentiloni. «Noi non saremo un fattore di instabilità, nè per il governo nazionale, nè a livello locale. Viene da un’altra parte l’instabilità» punge, alludendo allo #staisereno renziano. Vanno corrette però molte cose. Vanno tolti i capilista bloccati, «che minano la rappresentanza ». E vanno modificati i voucher, o «voteremo sí ai referendum della Cgil per abolirli». Lavoro, diritti, welfare. Bersani dà la sua ricetta. Rigetta l’idea che spaccando il Pd dia una mano alla destra e ai 5 Stelle: «È il contrario. Noi vogliamo aiutare il Centrosinistra contro le destre». Destre che oggi sono «sovraniste e protezioniste». Sono destre che vincono grazie agli operai e che «se non siamo noi a togliere i voucher, li tolgono loro».
L’ex leader Pd a sorpresa sembra ammorbidirsi solo quando parla dei Cinque Stelle. «Poco esperti, ma tengono in stand by la situazione. Impediscono che emerga qualcosa di ben peggiore e inquietante, che io sento grattando la pancia del Paese. Per questo noi dobbiamo essere alternativi alle destre ma sfidanti con i grillini. Dobbiamo incalzarli sulle loro proposte, migliorarle ». Ad esempio con il “lavoro di cittadinanza” proposto da Renzi? «Non ho capito bene cos’è» taglia corto Bersani lasciandosi andare al bagno di folla che lo accompagna alla cena di autofinanziamento da 300 persone che lo attende. L’ex segretario passa davanti anche a una piccola giara dove si raccolgono le offerte per Dp, il nuovo movimento. Poi si guarda intorno: «Guarda quanta bella gente, questa è la mia gente. Che bello rivedervi».
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