martedì 4 aprile 2017

Evgenij Evtusenko

Gli era permesso criticare antisemitismo, burocrazia e residui di stalinismo, ma che in qualche modo era destinato al ruolo di poeta ufficiale, se non omologo al potere sovietico, certo non fastidioso o pericoloso per esso 

Giuseppe Conte Giornale - Dom, 02/04/2017

Addio a Evtushenko il poeta dai mille volti 

È morto a 84 anni nella sua casa americana l’intellettuale sovietico più celebre e controverso, fu dissidente e cantore del regime 
Anna Zafesova Stampa 2 4 2017
In Russia un poeta è più di un poeta». L’incipit del poema del 1965 La centrale idroelettrica di Bratsk è stato forse il verso più famoso di Evgheny Evtushenko, il suo manifesto poetico e il suo programma di vita. La morte del poeta, nell’ospedale di Tulsa, Oklahoma, dove insegnava dal 1991, ha già riacceso la polemica che l’ha accompagnato per tutta la vita. Per i suoi ammiratori, russi e occidentali, è il più grande poeta russo del dopoguerra, l’erede di Majakovskij e Pasternak (accanto al quale ha voluto venire sepolto), un eroe del dissenso, un Nobel mancato. 
Per i suoi critici è un abile assemblatore di prolissi versi di attualità, un narcisista vanitoso e avido di riconoscimenti, un ambiguo servo del potere e, forse, anche un informatore del Kgb. Ma sicuramente è stato molto più di un poeta, e la sua morte, a 84 anni, mentre si preparava a celebrare con una tournee nei Paesi dell’ex Urss che doveva iniziare dal Palazzo dei congressi del Cremlino, chiude forse per sempre un’epoca in cui in Russia i poeti erano politici, modelli da imitare, rock star, dispensatori di verità e distruttori di regimi.
Nella sua dacia di Peredelkino, il famoso villaggio degli scrittori ormai inglobato nella metropoli, tra cimeli come disegni di Chagall e Picasso, c’è anche un ritratto di Evtushenko a opera di David Siqueiros, con una dedica che forse è il miglior riassunto del personaggio: «Questo è uno dei mille volti di Evtushenko. I rimanenti 999 li dipingerò un’altra volta». In 70 anni di letteratura Evghenij Aleksandrovich Evtushenko ha scritto migliaia di righe in versi e prosa, spaziando a 360 gradi tra argomenti e stili: poesie d’amore, poemi autobiografici e storici, canzoni e racconti. Ha girato e interpretato film, dipinto e fotografato, dedicandosi a ogni argomento: donne, politica, guerra, storia, con una facilità di componimento che gli permetteva di apparire in prima pagina della Pravda, accanto all’editoriale. Ha scritto di Cernobil e dell’Afghanistan, della crisi di Cuba e della perestroika, di Stalin e di Gorbaciov, spesso con punti di vista opposti sullo stesso argomento. 
La sua statura letteraria è sempre stata vista con scetticismo, ma la sua popolarità era immensa. Nato nel profondo della Siberia, iniziò a comporre da ragazzo, e divenne famoso negli Anni 50-60, quando nella Mosca del disgelo kruscioviano la poesia era diventata un fenomeno di libertà, una manifestazione di piazza, una subcultura alternativa all’arte ufficiale. I poeti leggevano le loro poesie ai piedi il monumento a Majakovskij, e radunavano folle all’auditorium del museo Politecnico, con gli ammiratori che li portavano in trionfo sulle spalle. Erano l’equivalente delle rockstar, e Evtushenko, provocatorio ed eccentrico non solo nei componimenti, ma anche nei vestiti e negli atteggiamenti, era l’indiscusso numero uno.
Quell’epoca finì, insieme al breve periodo delle speranze di un socialismo dal volto umano. Ma Evtushenko rimase, in un esercizio di equilibrismo che forse fu la sua opera principale. Denuncio ad alta voce gli «eredi di Stalin», difese il romanzo Non di solo pane di Vladimir Dudinzev (che gli costò l’espulsione temporanea dall’Istituto letterario), raccontò l’eccidio degli ebrei a Baby Yar a Kiev, un componimento quasi totalmente censurato perché era vietato parlare di Shoah, condannò l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e difese i dissidenti. Nello stesso tempo dedicava poemi a Lenin e alle centrali idroelettriche, denunciava il militarismo degli americani e il pacifismo dei russi («Se i russi vogliono la guerra» divenne quasi un inno), proclamava la sua fede nel socialismo e nella grande patria russa. Poteva permettersi molto più di chiunque altro: era uno dei pochi sovietici a viaggiare apertamente per l’Occidente, cambiava mogli (quattro, con cinque figli), sfoggiava giacche indicibili, si permetteva di fare l’americano a Mosca, era il volto «liberale» del Cremlino. Iosif Brodsky lo accusava di essere al soldo dei servizi: «Come poeta è pessimo, come essere umano peggio». Evtushenko aveva preso le distanze dal futuro Nobel: «Sarà dimenticato il giorno dopo», una frattura che cercò inutilmente di rimediare per tutto il resto della vita.
Una vita di amori, passioni politiche - ha incontrato Robert Kennedy e Fidel Castro, Brezhnev e Nixon - e compromessi. La perestroika lo vide in prima fila, eletto deputato a furor di popolo nelle prime elezioni semilibere del 1989. I ragazzi che oggi scendono in piazza nei pressi del monumento di Majakovskij probabilmente non l’hanno mai sentito nominare. Per i loro padri resta il simbolo di un’epoca. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI



Evtusenko, anche i palloni hanno le lacrime 
Sport. Agosto ’89, lo sport sovietico celebra il grande calciatore e lo scrittore lo omaggia con i versi «Il portiere abbandona la porta». Così il poeta e romanziere russo - da poco scomparso - narrò le gesta del mito Levjasin 
Pasquale Coccia Manifesto Alias 8.4.2017, 13:50 
Eugenij Evtusenko, poeta e romanziere russo, se ne è andato qualche giorno fa stroncato da un infarto. La ginnastica e la corsa, le aveva praticate nelle scuole dell’Unione Sovietica di Stalin. Erano anni in cui il Partito si era preposto di forgiare l’uomo socialista che, secondo le indicazioni diramate dall’Istituto di cultura fisica di Mosca, doveva essere superiore anche nello sport ai figli mollicci dell’occidente borghese. Amava il calcio Evgenij Evtusenko, fin dalla Rivoluzione d’Ottobre passione di operai e intellettuali dell’Unione Sovietica, ma assai inviso ai dirigenti del Pcus. Sfruttando la sua altezza di un metro e novanta, nel 1949 all’età di 17 anni, il giovane Evgenij tentò il provino presso lo Spartak Mosca, ma gli andò male, sembra a causa di un bicchiere di vodka bevuto per allentare la tensione alimentata in vista della prova calcistica, e in qualche modo anche per dimostrare agli amici che ormai era abbastanza grande da concedersi una trasgressione. Sicuramente la vodka non lo aiutò affatto a coordinare la sua arte pedatoria, perciò fu caldamente invitato dall’allenatore ad occuparsi di altro. Evtusenko abbandonata qualsiasi velleità calcistica si dedicò alla letteratura, sua seconda passione, ma non si allontanò affatto dal campo dello sport, soprattutto quello narrato, tanto che in quello stesso anno Sovetskij Sport (Lo sport sovietico) gli dedicò un’intera pagina sulle due passioni che il poeta nutriva in maniera viscerale: il calcio e la letteratura e da quel momento cominciò a collaborare con l’organo sportivo sovietico. 
RAGNO NERO
A dimostrazione del fatto che quella passione per l’arte pedatoria non si affievolì mai, anche quando era diventato un poeta conosciuto in tutto il mondo, Evgenij Evtusenko era allo stadio di Mosca anche in una giornata uggiosa dell’agosto del 1989, quando l’establishment sportivo sovietico, ma anche quello politico, decisero di anticipare i festeggiamenti per il compleanno di Lev Jasin, detto il Ragno nero per il colore della maglia che indossava, ritenuto tra i migliori portieri della storia del calcio, tanto che resta ancor oggi l’unico numero uno al mondo ad aver vinto il Pallone d’Oro, la massima onorificenza per un calciatore. Il sessantesimo compleanno di Jasin, che cadeva il 22 ottobre, fu anticipato ad agosto per il precipitare delle precarie condizioni di salute del portiere della nazionale sovietica, affetto da un male incurabile, che se lo portò via sette mesi dopo, il 20 marzo del 1990. 
AL MICROFONO
Il giorno dei festeggiamenti per Lev Jasin, nonostante il cielo basso e plumbeo di Mosca, a migliaia accorsero allo stadio dove giocava la Dinamo Mosca, la squadra che faceva capo al ministero degli Interni, in quell’occasione il poeta Evtusenko, con due fogli in mano bagnati dalla pioggia battente, lesse dalla tribuna d’onore dello stadio la poesia Il portiere abbandona la porta, che aveva composto in onore di Lev Jasin. I versi di Evtusenko celebravano il grande coraggio di Jasin, quando con spirito ribelle usciva dallo stretto perimetro della porta, il Ragno nero osava abbandonare anche l’area di rigore per andare incontro agli avversari e impossessarsi del pallone, per gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, un gesto ritenuto spericolato, soprattutto dalla rigida scuola calcistica sovietica: «È una rivoluzione nel calcio/ Il portiere esce dalla porta/ e in questo nuovo e strano ruolo/ avanza come un attaccante».
Il campo di gioco e il campo politico per Evgenij Evtusenko si mescolano fin troppo facilmente, anche se la lettura di Il portiere abbandona la porta avviene in piena perestrojka con Gorbaciov al potere, i versi scritti su quei due fogli bagnati dalla pioggia non risparmiano il potere calcistico e politico: «Soffiava/ gelosa del coraggio/ la boria falsamente tifosa/ portiere/ non mettere il naso fuori dall’area di rigore!/ Poeta non metterti in politica!». 
ONORIFICENZE 
L’anticipo di quel compleanno, celebrato in pubblico e con i più grandi onori riservati a Lev Jasin, che nel vocabolario sovietico veniva indicato come «eroe del popolo» rappresentò anche una delle ultime manifestazioni di un periodo storico e di una nomenklatura sportiva e politica al tramonto.
Anche gli ultimi versi che Evgenij Evtusenko lesse al microfono di quella giornata piovosa sapevano di addio a Jasin, un portiere che prima della memorabile giornata di festa aveva già ricevuto grandi onorificenze dagli organismi sportivi internazionali, come l’Ordine d’oro al Merito da parte della Fifa, massimo organo del calcio mondiale, ma anche l’Ordine olimpico da parte del Cio. Nel 1967 in patria Lev Jasin era stato già insignito dell’Ordine di Lenin, massima onorificenza in tempo di pace. La poesia di Evtusenko Il portiere abbandona la porta si conclude con questi versi: «Come un amico/ un amico bistrattato/ si stringerà alla guancia/ non rasata/ sussurrerà che lei non ha vissuto invano. Anche i palloni hanno le lacrime/ sui pali fioriscono le rose/ ma solo per un portiere come lei!»

1 commento:

mogol_gr ha detto...

Nixon era comunque un Repubblicano.