domenica 2 aprile 2017

L'accuratissimo marketing simbolico delle rivoluzioni colorate sobillate dagli Stati Uniti


Risultati immagini per rivoluzione ombrellidalle scarpe da tennis agli ombrelli scaTTI DI UNA RIVOLUZIONE 

Massimiliano Panarari Stampa 1 4 2017
Il primo ministro russo Dmitri Medvedev ha una passionaccia per le Nike colorate, che sfoggia spesso. Sneakers dalle tinte psichedeliche che si sono convertite nel bersaglio allegorico dei cortei di protesta (stroncati nuovamente con la violenza) dei giorni scorsi a Mosca. E a cui i manifestanti, dopo aver raccolto l’invito a mobilitarsi lanciato dall’impavido blogger anticorruzione Alexey Navalny, hanno contrapposto le loro «normali» scarpe sportive, divenute l’emblema della loro battaglia. Le scarpe da tennis (e da passeggio) «comuni» e «abituali» della «generazione P.» (quella cresciuta interamente sotto la democratura di Putin, e senza grandi prospettive di futuro) contro le sneakers griffate di una classe dirigente che si arricchisce indebitamente. 
Ogni mobilitazione politica ha bisogno di simboli e rappresentazioni. Vale ancor più oggi che i moti di protesta si sviluppano spesso in maniera spontanea (e pacifica), in genere senza partiti politici o sindacati alle spalle, e come reazione indignata alla malagestione delle crisi economiche e alla corruzione di chi detiene il potere. Nella nostra epoca della democrazia post-rappresentativa, della consunzione delle bandiere ideologiche e del ritorno della politica dell’identità, i movimenti di opposizione scelgono sempre più di frequente quali loro simboli gli oggetti che hanno a portata di mano (o «di piedi», come in Russia). Per fare l’antropologia delle ribellioni contemporanee si rivela quindi molto utile la fenomenologia della vita quotidiana, nella quale si registra il divario tra il peggioramento delle condizioni materiali di vasti strati della popolazione e la dolce vita delle oligarchie e di certi establishment. 
A differenza dell’antipolitica in voga dalle nostre parti, però, in questi casi si segnala l’assenza di imprenditori politici del populismo, e chi scende in piazza anela a maggiori libertà e invoca il pluralismo, guardando alle affaticate democrazie liberali e ai welfare state occidentali con grande fascinazione. Così è stato per le manifestazioni contro il decreto governativo «salva-corrotti» in Romania, dove i partecipanti si univano formando l’immagine della bandiera dell’Unione europea: e qual è oggetto più quotidiano (e biopolitico) del proprio corpo? Analogamente fu per le proteste «delle pentole e delle padelle»: nell’Argentina tra fine Anni Novanta e inizio Duemila (i cacerolazos), in Brasile (a colpi di mestoli, pro o contro Lula e Dilma Roussef) e in Venezuela in occasione della contestata elezione del chavista Nicolas Maduro, che ha esasperato la sua stretta autoritaria proprio in queste ore facendo chiudere il Parlamento dal Tribunale supremo. Spostandosi agli antipodi (geografici e culturali), anche la quieta ed esemplare democrazia nordica islandese ospitò una rivolta delle pentole che, nel gennaio 2009, portò alla caduta del governo del Partito dell’indipendenza coinvolto nel collasso finanziario del Paese. Gli ombrelli multicolori sono il segno di riconoscimento del coraggioso movimento di Hong Kong. E (anche) sugli smartphone e via social viaggiarono le primavere arabe.
Oggetti di uso comune per cercare di tagliare il traguardo della condizione (una delle più difficili, purtroppo) di Paesi normali. E per generare audaci legami politici nella sfiduciata età della democrazia del pubblico. 
@MPanarari
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